La Nutrizione Artificiale: vantaggi e svantaggi. - AssoCareNews.it - Il tuo quotidiano

2022-10-08 21:46:12 By : Ms. Ally Xu

La Nutrizione Artificiale (NA) è una procedura terapeutica mediante la quale è possibile soddisfare i Fabbisogni nutrizionali del Paziente non in grado di alimentarsi sufficientemente per la via naturale. Se ne occupano Infermieri, Infermieri Pediatrici e Medici.

I soggetti per i quali è necessario il ricorso alla NA sono:

La nutrizione artificiale può essere effettuata domicilio (si parla in tal caso di nutrizione artificiale domiciliare –NAD) quando il paziente è in condizioni cliniche stabilizzate e presenta un ambiente familiare idoneo.

La nutrizione enterale è sicuramente più fisiologica (con effetto enterotrofico, stimolazione attività del complesso endocrino gastrointestinale) ed ha costi inferiori rispetto la NP; quindi è indicata in tutti i casi in cui l’intestino è funzionante.

E’ generalmente controindicata in pazienti con:

In tali situazioni si ricorre alla nutrizione parenterale.

Molte sono le vie d’accesso al tratto gastro-enterico, quelle più frequentemente utilizzate sono:

Il caposaldo storico della NE è a tutt’oggi il sondino naso gastrico (SNG). Tale presidio infatti nonostante metta a nudo la patologia del paziente, alterando l’immagine corporea con ripercussioni sulla sfera sociale, per la sua facilità di posizionamento, basso costo e contenute complicanze, resta ancora, nonostante lo sviluppo tecnologico, la prima scelta nella somministrazione della NE per trattamenti che non vanno oltre i 30 giorni, in assenza di rischio di aspirazione della miscela nelle vie aeree e di gravi stenosi invalicabili delle alte vie digestive. In previsione di periodi superiori è opportuno prendere in considerazione la PEG, la PEJ e la digiunostomia chirurgica.

Un gran numero di pazienti ospedalizzati richiede un supporto nutrizionale per un periodo di tempo inferiore alle quattro settimane realizzato, nella maggior parte dei casi, con il SNG. L’impiego di sondini sottili (6-8Fr) ha favorito l’adesione al programma nutrizionale per maggiore collaborazione da parte del paziente, nonché ha determinato una notevole riduzione delle complicanze legate all’uso di quelli a calibro maggiore (> 12 French) quali riniti, faringiti, esofagiti, stenosi esofagee ed emorragie del tratto gastrointestinale da erosione della mucosa esofagea e gastrica.

Posizionamento Sondino Naso Gastrico: il ruolo del Medico, dell’Infermiere e dell’OSS in presenza di corretta procedura.

È una sonda di poliuretano da 8 Fr dotata di parte terminale che tende spontaneamente ad arrotolarsi senza perdere la sua pervietà. Introdotta per via nasale, la parte terminale si arrotola nello stomaco e viene trascinata dalla peristalsi oltre il piloro ed il Treitz (generalmente in 12-24 ore). La sonda è perfettamente tollerata anche da pazienti pediatrici, può rimanere per mesi senza dare decubiti ed è completamente resistente ai succhi gastrici e duodenali. L’impiego di tale sonda riguarda soprattutto le pancreatiti acute medio-gravi, che richiedono l’assoluta necessità di infondere i nutrienti in tempi brevi, oltre il Treitz (Nutrizione enterale precoce per combattere lo spiccato ipercatabolismo che caratterizza tale condizione patologica). La sonda di Bengmark non richiede il posizionamento endoscopico e/o radiologico che spesso ritarda l’inizio della terapia nutrizionale, di fondamentale importanza in pazienti altamente catabolici.

Utilizzando sondini naso-digiunali a doppio lume (lunghezza superiore a 110 cm) con aperture per l’aspirazione gastrica, si è risolto il problema dell’elevata pressione gastrica da stasi o paresi, somministrando contemporaneamente la miscela nutrizionale a livello digiunale. Tali sonde sono utili nel periodo post-operatorio per una NE precoce, impossibile altrimenti per la paresi gastrica sempre presente dopo interventi chirurgici, o in pazienti con fistole del tratto gastrointestinale prossimale, perforazioni o incontinenza dell’anastomosi.

Trova indicazione quando esiste la necessità di attuare un’alimentazione a lungo termine in pazienti incapaci di deglutire, ma con apparato digerente integro. La PEG fu introdotta nel 1980 negli Stati Uniti e descritta per la prima volta da Gauderer e Ponsky; i quali la proposero come valida alternativa alla gastrostomia chirurgica, dimostrando una significativa riduzione della morbilità e mortalità per mezzo della tecnica endoscopica. Al momento attuale la PEG è una tecnica di somministrazione semplice, sicura, reversibile, con basso costo e facilità di gestione. Presenta complicanze minori (infezione della cute peristomale) facilmente risolvibili, mentre le complicanze maggiori (4%) (fascite necrotizzante e perforazione intestinale) richiedono un trattamento immediato e sono gravate da un’elevata morbilità e mortalità.

La PEG ha ormai sostituito il SNG nella NE che si protrae oltre un mese. Le indicazioni alla PEG sono indicate in tabella 1.

Tab 1 – Indicazioni alla PEG

Esiti di ictus cerebri Paralisi pseudo bulbare Demenze in stato avanzato M. di Parkinson, M. di Huntington Sclerosi multipla Sclerosi laterale amiotrofica Neoplasie cerebrali

Neoplasie capo-collo Neoplasie dell’esofago

Sclerodermia Dermatomiosite con interessamento esofageo

In pazienti con patologie oncologiche splancniche complicate da sindrome occlusiva o subocclusiva la PEG può avere indicazione a scopo puramente decompressivo. Il posizionamento di una PEG con finalità decompressiva andrà considerato di volta in volta con molta attenzione valutando bene i benefici e i rischi legati alle possibili controindicazioni quali: ascite imponente, carcinosi peritoneale in stadio avanzato, alterazioni anatomiche successive a pregressi interventi chirurgici o la presenza di condizioni generali particolarmente critiche.

Non possiamo però trascurare alcuni casi particolari che presentano controindicazioni assolute o relative a tale metodica (Tabella 2).

Tab. 2 – Controindicazione assolute e relative alla PEG

accertata inagibilità del tratto gastroenterico

pregresso intervento chirurgico su stomaco o esofago

ulcera gastrica o duodenale in atto

spettanza di vita inferiore ai 30 giorni (giudizio clinico e indice di Karnofski <30)

ipertensione portale con varici gastroesofagee

obesità con BMI >30 kg/m2

severa compromissione cardiaca – insufficienza cardiaca – angina pectoris instabile – -aritmiainstabile

– pressionesistolica>200mm/Hg – recente infarto del miocardio

grave squilibrio elettrolitico ed acido-base insufficienza epatica o renale terminale

grave endocrinopatia o diabete mellito scompensato

Al paziente, dopo adeguata premedicazione (sedazione con midazolam, analgesia con petidina cloridrato, antibioticoterapia, riduzione farmacologica della secrezione acida gastrica, posizionamento accesso venoso) vengono monitorati i valori pressori, emogasanalitici e l’attività cardiaca (ECG).

Si effettua quindi una accurata tricotomia a livello epigastrico, si disinfetta la cute ed il paziente viene posizionato in decubito laterale sinistro per eseguire l’esame endoscopico che si protrae fino alla seconda porzione duodenale.

Si insuffla successivamente aria nello stomaco per far accollare la parete gastrica anteriore a quella addominale.

Si abbassano quindi le luci nella sala e si orienta l’endoscopio verso la parete anteriore, in tal modo la fonte luminosa endoscopica potrà essere individuata dall’operatore sulla cute dell’epigastrio.

Una compressione profonda sul punto rilevato (depressione della parete gastrica per l’endoscopista), indicherà il punto più idoneo al posizionamento della sonda gastrostomica. La depressione della parete gastrica conseguente alla compressione digitale e la transilluminazione della cute, indicano l’accollamento della parete anteriore dello stomaco alla parete addominale e la mancanza di anse intestinali o colon interposti.

La zona prescelta per il posizionamento priva di vasi principali, visceri, tessuto cicatriziale, è normalmente ad un terzo della distanza tra ombelico e il margine costale sinistro sulla linea emiclaveare, circa 2 cm sotto il margine costale sinistro. La mancanza della transilluminazione è una controindicazione r e l a t i v a alla realizzazione della tecnica. Come ulteriore precauzione, per assicurarsi che la zona di inserzione sia lontana da anse intestinali, previa anestesia cutanea, si introduce un ago da 21 Gauge nello stomaco, attraverso la parete addominale, tenendo in aspirazione lo stantuffo della siringa. Al rilievo endoscopico della presenza dell’ago nello stomaco, si può notare un ritorno di aria nella siringa.

La cute viene quindi nuovamente disinfettata e il paziente posto in decubito supino. Si completa l’anestesia locale, a tutto spessore (cute, sottocute, fascia muscolare fino ad arrivare alla parete gastrica), con una soluzione di lidocaina all’1-2% ca, prima di effettuare una incisione fino alla fascia muscolare, risparmiando il peritoneo.

Si introduce quindi un ago di tipo Seldinger da 18 Gauge che permetterà il passaggio di un doppio filo di nylon (metodo PULL) o di un filo guida metallico (metodo PUSH).

Tale procedura iniziale è comune a qualsiasi gastrostomia percutanea endoscopica, mentre le fasi successive sono diverse a seconda del Kit utilizzato.

Quello attualmente la più eseguito (e che qui descriveremo) è il metodo Pull, che prevede dopo la parte preliminare precedentemente descritta, le seguenti operazioni:

a) Passaggio di un filo doppio, dotato di buona resistenza (2 zeri di nylon o seta), attraverso l’ago, dopo aver rimosso il mandrino.

b-c) Il filo di nylon viene preso dall’ansa metallica dell’endoscopio e trascinato insieme allo stesso fuori dalla bocca.

d) Il filo è legato, con un nodo alla marinara, alla sonda gastrostomica.

e) Si raccomanda di tenere una mano a piatto sulla superficie epigastrica mentre tiriamo la sonda, che passa tra il dito medio e l’indice, per evitare traumi alla parete gastrica.

f) Esternamente la sonda si fissa alla parete addominale con una aletta di bloccaggio posizionato trasversalmente.

g) Si introduce il gastroscopio una seconda volta per controllare l’esatta posizione del “bumper”, che deve aderire alla mucosa gastrica senza comprimerla.

Nella tecnica Introducer, dopo gli steps iniziali comuni:

)Il metodo “Pull” permette a volte il posizionamento della sonda anche a livello delle prime anse digiunali in pazienti gastroresecati (parziali o totali) o affetti da patologie che sconsigliano di utilizzare lo stomaco a scopo nutrizionale. L’esame endoscopico preliminare deve consentire una nitida transilluminazione, facilitata spesso da uno stato di estrema magrezza del paziente, che permette l’aggressione dell’ansa digiunale, resa a volte difficile dai movimenti peristaltici che impediscono la penetrazione dell’ago da 18 gauge, condizione preliminare indispensabile per realizzare l’intervento. Una volta raggiunta l’ansa digiunale, si procede esattamente come già descritto per il metodo Pull a livello gastrico.

La Gatrostomia Percutanea Endoscopica (PEG), creando un punto fisso di ancoraggio tra stomaco e parete addominale, sicuramente ritarda lo svuotamento gastrico. Pertanto in pazienti con reflusso gastro- esofageo e/o semiparesi gastrica (per esempio da neuropatia diabetica), sembra quanto mai opportuno un prolungamento della sonda nutrizionale fino alla seconda porzione duodenale per evitare l’aspirazione del contenuto gastrico, causa di un notevole incremento della morbilità e mortalità .

Oggi, grazie ad appositi kit che includono il filo guida, una sonda per estensione digiunale specifica con punta terminale appesantita con pesi in tungsteno o con punta terminale elicoidale (a cavaturaccioli o “pig tail”) è possibile posizionare una estensione digiunale della PEG con una metodica semplice e poco costosa, anche se a volte meno precisa. Dopo aver effettuato la PEG, si fa passare attraverso questa un filo guida a J in acciaio flessibile teflonato che, preso dall’ansa o dalla pinza di coccodrillo del gastroscopio, viene trasportato fino alla porzione distale del duodeno, quindi si retrae molto lentamente il gastroscopio dal duodeno nello stomaco, dopo aver liberato il filo guida e facendo attenzione che lo stesso non venga dislocato.

Lungo il suo tragitto si fa scorrere una sonda digiunale ben lubrificata, facendola passare attraverso la PEG. Utilizzando tale tecnica, è possibile, che l’ansa o la pinza del coccodrillo pieghino la guida metallica che successivamente, al momento della rimozione, trascina con sé la sonda digiunale.

E’ opportuno quindi in tutti i casi verificare, con un esame radiografico dell’addome, l’esatto posizionamento della sonda, che deve essere almeno a 40-50 cm dal piloro.

L’uso di tale metodica viene attualmente utilizzata in pazienti con M. di Parkinson nella fase avanzata di malattia, dove i problemi di assorbimento del farmaco contribuiscono alla comparsa di fluttuazioni cliniche invalidanti.

La soluzione a tale problema si è ottenuta con l’infusione continua del farmaco nel duodeno, in una formulazione gelificata di LevoDopa, mediante estensione digiunale di una sonda gastrica posizionata solo a tale scopo, il che offre una opportunità di terapia antisintomatica più efficace rispetto alle formulazioni orali tradizionali.

Poiché i parkinsoniani sono affetti da disfagia ingravescente, spesso ancora oggi trascurata e complicata con numerosi episodi di ab ingestis con conseguenti ricoveri ospdalieri, si può utilizzare la PEG a scopo nutrizionale (per evitare la malnutrizione) e la sua estensione digiunale a scopo terapeutico (per l’infusione continua di Duodopa®).

L’infusione di levodopa direttamente nel duodeno consente al paziente di mangiare quando e come vuole, poiché non vi è più competizione, a livello dello stomaco, nell’assorbimento e nel trasporto della levodopa da parte della componente proteica degli alimenti.

Se vi sono problemi gravi di deglutizione ed il paziente necessita di una nutrizione enterale, la seconda uscita della PEG può essere utilizzata a questo scopo anche in contemporanea all’infusione di levodopa.

L’utilizzo dell’estensione digiunale della PEG a scopo terapeutico per la somministrazione continua di Duodopa ha pemesso una migliore efficacia di tale farmaco nel trattamento del Parkinson.

Nella nutrizione parenterale i nutrienti sono somministrati direttamente nel torrente circolatorio.

Nella nutrizione parenterale periferica la somministrazione di sostanze nutritive in forma semplice avviene direttamente in una vena periferica. Sono utilizzate in genere le vene di maggior calibro dell’avambraccio (vena cefalica e basilica).

Le vene periferiche però non tollerano miscele nutrizionali ad elevata osmolarità. Avendo infatti un diametro minore ed un flusso più lento rispetto a quelle centrali risentono maggiormente dell’insulto irritativo, tollerando pertanto l’infusione di miscele con osmolarità fino a 850 mOsm/litro per un periodo di tempo limitato.

Ciò comporta un apporto calorico limitato che non copre completamente i fabbisogni calorici del paziente soprattutto se questo è ipercatabolico.

Tale tipo di nutrizione trova pertanto indicazione in quei casi in cui non è richiesto un apporto calorico elevato (integrazione ad un’alimentazione insufficiente per os, subocclusioni intestinali, fistole a bassa portata, malattie croniche intestinali in fase acuta) per un periodo di breve durata (15-20 giorni).

Nella NP periferica si utilizzano i cateteri venosi periferici.

Questi sono realizzati con materiale biocompatibile (teflon, poliuretano, silicone) e a seconda del tempo di permanenza si possono classificare in:

In caso di una nutrizione parenterale superiore alle due settimane o con fabbisogni calorici elevati dove sono richieste miscele nutrizionali iperosmolari (> a 850 mosm/l) sono necessari i cateteri venosi centrali.

I cateteri venosi centrali (CVC) esterni possono essere:

Obiettivamente si riconoscono perché i primi fuoriescono di alcuni cm dal sito di venipuntura dopo un tragitto sottocutaneo facilmente individuabile.

Assistenza Infermieristica a Paziente con Catetere Venoso Centrale (CVC).

I CVC a breve termine sono in poliuretano di vecchia generazione e possono essere mantenuti in sede per un periodo non superiore ai 30 gg.

Vengono utilizzati per un supporto nutrizionale pre e post operatorio o in fase di cachessia neoplastica.

I CVC a medio termine sono in silicone, a punta aperta (catetere di Hohn) e possono rimanere in sede tre-sei mesi.

Questi cateteri, utilizzati come accessi vascolari a lungo termine, sono realizzati con materiale biocompatibile e biostabile, devono essere riconoscibili radiologicamente, non devono interagire con le soluzioni infusionali, o favorire la coagulazione. Generalmente sono realizzati in silicone, più raramente in poliuretano associato ad un rivestimento idromerico capace di ridurre l’adesività piastrinica.

Sono caratterizzati da una porzione intravascolare ed una porzione extravascolare tunnelizzata nel sottocute che fuoriesce a circa 7-8 cm dal sito di venipuntura. Una o più cuffie di Dacron sono inserite nel tratto extravascolare del catetere; queste stimolano la crescita del connettivo sottocutaneo creando sia una barriera contro la penetrazione batterica, sia un punto di fissaggio ai tessuti circostanti senza necessità di punti di sutura esterni. La cuffia di Dacron deve essere collocata a qualche cm dal punto di emergenza del catetere dalla cute.

L’evidenza della cuffia al di fuori del punto di uscita del catetere deve far pensare ad una dislocazione del catetere con imminente rischio di rimozione accidentale.

I cateteri tunnelizzati possono essere a punta aperta (Hickman) e a punta chiusa con valvola antireflusso (Groshong) che previene il reflusso ematico all’interno del catetere, non rende necessario il “clamp” e non determina il rischio di embolia gassosa in caso di deconnessione accidentale della linea di infusione.

Sono costituiti da due componenti fondamentali: il reservoir o PORT, impiantato sottocute ed il catetere venoso centrale, connessi fra loro tramite un sistema di raccordo.

La struttura del Port è simile ad un piccolo disco (camera) con una parte centrale rialzata (setto) e può essere prodotta in materiale plastico siliconato e in titanio.

Il catetere connesso al Port può essere a punta aperta o a punta chiusa con valvola antireflusso (i vantaggi di questi ultimi sono quelli già esposti per i cateteri tunnellizzati).

L’accesso al Port provvisto di camera avviene mediante puntura percutanea con un ago non-coring (ago di Huber a punta deviata ”non carotante”); un setto può essere perforato fino a 2-3000 volte circa.

Esiste una vasta gamma di sistemi impiantabili che differiscono fra loro per varie caratteristiche:

Per quanto detto, è possibile scegliere per ogni paziente il sistema impiantabile più adatto.

Sistemi totalmente impiantabili rispetto ai cateteri tunnellizzati presentano vantaggi quali:

– la necessità di uno staff infermieristico esperto per il loro utilizzo; – la necessità di aghi particolari (non coring); – la possibilità di stravasi per dislocazione dell’ago dal reservoir; – la non accettazione della puntura, soprattutto nei bambini.

E’ un catetere venoso centrale a tutti gli effetti con la punta posizionata nella giunzione atrio-cavale, ma con inserzione da una vena periferica del braccio.

Il PICC, come per tutti i cateteri venosi centrali, è indicato per tutte le infusioni di sostanze lesive la parete venosa, a breve, medio e lungo termine.

Il PICC può essere in silicone e poliuretano; monolume, bilume e trilume, punta aperta e punta chiusa.

Il PICC ha le stesse indicazioni dei cateteri venosi centrali “classici”:

Legate al momento dell’inserzione e sono:

Avvengono entro 24 ore dalla procedura e possono essere:

Anche di fronte ad un Rx torace negativo è importante controllare clinicamente il paziente (dispnea, dolore toracico, “tossetta stizzosa” assente prima del posizionamento), soprattutto se il medico impiantatore ne ha segnalato il sospetto clinico con aspirazione di aria al momento dell’introduzione dell’ago.

Possibile anche la presenza di:

Sono fortunatamente rarissimi, ma compaiono tipicamente alcune ore dopo l’infusione.

Prima di cominciare un infusione bisogna sempre accertarsi che il catetere sia posizionato in un vaso, mediante la manovra di aspirazione.

Si possono dividere: in non infettive e infettive.

a) malfunzionamento del CVC dovuto a:

– ostruzione da coaguli o da aggregati lipidici; – malposizione del CVC (posizione scorretta della punta); – attorcigliamento del catetere; – deposizione di una guaina di fibrina intorno alla punta del catetere – trombosi venosa.

b) problemi “meccanici” per:

Le infezioni da CVC rappresentano certamente una delle complicanze più gravi connesse alla terapia infusiva ed all’uso relativo dei cateteri stessi.

Tra i fattori principali responsabili ricordiamo:

Le infezioni correlate all’uso dei CVC possono essere divise in:

Non esiste un presidio “ideale” libero da complicanze e che offre il massimo beneficio per tutte le categorie di pazienti.

Diversi sono gli elementi che devono essere presi in considerazione nella scelta dell’ accesso di nutrizione artificiale, il tratto di intestino residuo, la durata del trattamento, l’età, le patologie associate ecc.

I progressi tecnologici riguardanti le vie di somministrazione per la NA, hanno contribuito a migliorare sia la qualità che la quantità di vita dei pazienti.

Il posizionamento di una via di somministrazione sia in NE che in NP, in mani esperte, non presenta oggi particolari difficoltà. La PEG ha confermato nel tempo la sua efficacia ed efficienza, sostituendo completamente il SNG nella NE di lunga durata.

Il posizionamento di un CVC/port, richiede una learning curve impegnativa per la notevole varietà dei presidi a disposizione e dei casi clinici da affrontare.

Un training scrupoloso per la corretta gestione delle vie di somministrazione e’ fondamentale per diminuire le complicanze e contenere la spesa sanitaria.

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