Abbiamo scollegato in automatico la tua precedente sessione
Puoi navigare al massimo da 3 dispositivi o browser
Per continuare la navigazione devi scollegare un'altra sessione
Da mobile puoi navigare al massimo da 2 dispositivi o browser.
Per continuare la navigazione devi scollegare un'altra sessione.
Salva questo articolo e leggilo quando vuoi. Il servizio è dedicato agli utenti registrati.
Trovi tutti gli articoli salvati nella tua area personale nella sezione preferiti e sull'app Corriere News.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità nove pazienti su dieci hanno disturbi comuni. I primi dati del progetto inglese «Zoe Covid»
Si sta rafforzando, dagli studi preliminari e dall’osservazione dei pazienti, l’ipotesi che la variante Omicron (che ha cominciato a diffondersi in diversi Paesi il 26 novembre) provochi sintomi più lievi rispetto alla Delta . Servirà più tempo per confermare questo dato, ma la speranza è che possa essere iniziata quella fase discendente che ci condurrà a una convivenza «pacifica» con Sars-CoV-2. Poco prima di Natale è stato il direttore regionale dell’Oms Europa (Organizzazione mondiale della sanità), Hans Kluge, ad affermare che «sulla base dei primi casi di Omicron segnalati, l’89% dei soggetti ha riportato sintomi comuni: tosse, mal di gola, febbre ». Oggi, soprattutto nei vaccinati, può essere difficile distinguere una forma lieve di Covid dall’influenza o da un semplice raffreddore: tanto più è necessario rivolgersi al proprio medico, in caso di sintomi, e seguire le terapie prescritte, dopo aver fatto un tampone molecolare.
I rischi per i non vaccinati
Sembra comunque di poter affermare che, nei vaccinati con 2 o 3 dosi, l’infezione si stia manifestando come un’influenza leggera e di breve durata . I sintomi — seppure variabili da persona a persona — durano pochi giorni, poi spariscono. Più difficile dire cosa possa comportare l’infezione da Omicron nei non vaccinati: come abbiamo imparato, Covid è un «terno al lotto» e non è sempre possibile prevedere chi avrà forme gravi. Nell’ultimo report dell’Istituto superiore di sanità si legge che il rischio di ricovero in terapia intensiva per i non vaccinati rispetto a chi ha ricevuto la terza dose è 85 volte maggiore per gli over 80, 12,8 volte maggiore per la fascia 60-79 anni, 6,1 volte maggiore per i 40-59enni.
«Omicron ha bruciato i tempi — ha detto al Corriere Sergio Abrignani, ordinario di Patologia generale e immunologia all’Università Statale di Milano e direttore dell’Istituto «Romeo ed Enrica Invernizzi» —. In Gran Bretagna hanno stimato che il tempo di raddoppio delle infezioni con la nuova variante è di tre giorni. Contagia molto, anche se fortunatamente sulla stragrande maggioranza dei vaccinati sembra si manifesti con sintomi simili a una lieve influenza ». «Quanto ai tamponi, è ragionevole farli se ce lo impone la legge — ha aggiunto l’immunologo —. Poi quando sono presenti sintomi che fanno pensare a una malattia simile a Covid. Infine a 4-5 giorni dal contatto con un positivo. E per stabilire quando un paziente positivo si negativizza. In tutte le altre situazioni tamponarsi è uno scrupolo dettato dalla sensibilità individuale e a volte dalla propria ansia. Non abusiamone».
Perdita di gusto e olfatto
Nel Regno Unito, il progetto «Zoe Covid» tiene monitorato l’andamento della pandemia tramite un’app in cui i pazienti (circa 4 milioni) possono descrivere i propri sintomi. Come riporta il Guardian , la maggior parte degli utenti nelle ultime settimane ha segnalato naso che cola, mal di testa, senso di affaticamento, starnuti e mal di gola . Il 50% di chi aveva sintomi riconducibili al raffreddore è risultato positivo al Covid, ma non sappiamo quante di queste persone fossero vaccinate. Secondo Tim Spector, professore di Epidemiologia genetica al King’s College di Londra a capo del progetto «Zoe Covid», tre sintomi «classici» di Covid — febbre alta, tosse insistente, perdita di gusto e olfatto — risulterebbero invece meno frequenti a fronte della sempre maggiore diffusione della variante Omicron. I dati del progetto «Zoe», pubblicati sul British Medical Journal , andranno comunque confermati nel confronto con una platea di pazienti più ampia. Gli stessi autori rilevano che si tratta di prime indicazioni molto parziali basate sui casi positivi osservati a Londra, dove la variante Omicron è molto più diffusa che nel resto della Gran Bretagna.
Spector si spinge fino a chiedere all’Autorità sanitaria inglese di aggiornare (e ampliare) la lista dei sintomi per cui sospettare un’infezione da Sars-CoV-2: «I dati di Zoe mostrano chiaramente che nella maggior parte dei casi l’infezione si mostra simile al comune raffreddore, con mal di gola, naso che cola e mal di testa». Una conferma indiretta arriva da uno studio condotto all’Università di Hong Kong, secondo cui Omicron sarebbe in grado di replicarsi velocemente nei bronchi (quindi in una parte più alta del tratto respiratorio), molto meno nel tessuto polmonare profondo.
La variante Omicron causa sintomi lievi a 9 vaccinati su 10: i dati dalla Gran Bretagna
Perché il rischio di ospedalizzazione per la variante Omicron potrebbe essere molto più basso rispetto a Delta
Omicron causa meno ospedalizzazioni: il virus è più debole o è solo merito dei vaccini? Lo studio dell’Imperial College
La variante Omicron si replica molto meglio di Delta nei bronchi, ma non nei polmoni
Non ci sono ancora studi scientifici
Negli Stati Uniti, i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) indicano come sintomi attualmente più frequenti di Covid tosse, stanchezza e congestione o naso che cola. Anche negli Usa la perdita di gusto e olfatto risulta al momento meno diffusa rispetto a quanto avveniva con le varianti precedenti del coronavirus. L’epidemiologa Katherine Poehling, consulente dei Cdc, osserva però che i sintomi finora individuati si basano su alcuni casi positivi e non su studi scientifici. «È prematuro parlare di sintomi perché non ci sono ancora dati affidabili pubblicati» conferma all’Ansa il virologo Francesco Broccolo, dell’Università di Milano Bicocca. Quello che invece indicano i dati provenienti da Scozia e Nord Europa, prosegue il virologo, è che «i casi provocati dalla variante Omicron sono associati a un’ospedalizzazione decisamente inferiore, stimata in due terzi in meno, ma non è chiaro se questo si debba alla copertura vaccinale o a una minore virulenza della Omicron».
Un contatto veloce con i giornalisti della redazione Salute del Corriere della Sera
Autorizzaci a leggere i tuoi dati di navigazione per attività di analisi e profilazione. Così la tua area personale sarà sempre più ricca di contenuti in linea con i tuoi interessi.