“Ti conosco, mascherina!”. Davvero? La “mascherina” e la “maschera”, queste sconosciute… a coloro che l’indossano | Korazym.org

2022-10-08 22:41:43 By : Mr. Leon Ye

La mascherina è indubbiamente l’oggetto di cui da alcuni mesi si parla di più e che è diventato il più ricercato oggetto in questo tempo di coronavirus. Ma ti conosciamo, mascherina? O maschera? Dedichiamo a loro questa parola del giorno per il tempo di pestilenza… come fu già nel medioevo. “Ti conosco, mascherina” è un modo di dire usato generalmente in contesti scherzosi e dal significato piuttosto chiaro. Un tempo, in epoca medievale, quando le feste in maschera erano molto frequenti, l’espressione veniva usata per annunciare a qualcuno che lo si era riconosciuto anche se aveva il volto coperto da una maschera. Di qui ha avuto origine il suo utilizzo in modo figurato, con il significato di “non mi inganni, ti conosco molto bene” ed espressioni simili. Con tale espressione ci si rivolge a colei che pensa di ingannarci o nasconderci qualcosa per farla sapere che, in realtà, a dispetto delle sue dissimulazioni, le sue intenzioni sono piuttosto chiare. Infine, “Ti conosco, mascherina” è anche il titolo di un film del 1943 diretto da Eduardo de Filippo.

L’illustrazione rappresenta l’abito del medico della peste, incisione su rame di Paul Fürst del 1721, che rappresenta Doctor Schnabel (Dottor Becco) – raffigurante l’abbigliamento per allontanare la morte a Roma, circa 1656 – con una filastrocca macaronica satirica ritmata in distici ottosillabici (Vos Creditis, als eine Fabel, | quod scribitur vom Doctor Schnabel). Figura 79 in “Die Karikatur und Satire in der Medizin: Medico-Kunsthistorische Studie von Professor Dr. Eugen Holländer”, 1921. Il testo della filastrocca dice più o meno così: “Cosa è scritto del Dottor Becco Che fugge dal contagio E da esso ne strappa il suo salario Cerca cadaveri per guadagnarsi da vivere Proprio come il corvo sul mucchio di letame Oh, credimi, non guardare altrove Perché la piaga sta mettendo Roma in ginocchio. Chi non sarebbe terrorizzato Di fronte alla sua canna o bastone Da cui parla, anche se muto, comunicando la sua decisione. Così tanti credono che lui, senza dubbio Sia stato toccato da un diavolo nero Il suo inferno è il “portafoglio” E le anime che cerca sono oro”. Nel medioevo, durante le pestilenze, per visitare i malati di peste e prendersene cura, i medici, per proteggersi dal veleno (infezione) erano soliti indossare una lunga veste cerata. Il loro volto era avvolto da una maschera: davanti agli occhi hanno grandi lenti di cristallo; sopra il naso un lungo becco riempito di spezie profumate, a un doppio scopo, in primo luogo coprire i miasmi emanati dai corpi degli appestati e secondariamente offrire una difesa, seppur debole, dal contagio per l’inalazione dell’aria. Tale maschera viene appunto definito “maschera dello speziale”. Tra le loro mani, coperte da guanti, portano una lunga canna con la quale indicano quali medicinali prendere.

La maschera è un manufatto o un indumento che si indossa per ricoprire totalmente o parzialmente la figura umana per nascondere colui che la indossa e dissimularne l’identità. Utilizzata fin dalla preistoria per rituali religiosi, ma la si ritrova anche nelle rappresentazioni teatrali o in feste popolari come il carnevale (in Italia è presente una ricca tradizione di maschere regionali). In tutto il mondo, le maschere possono essere molto diverse fra loro per materiale (stoffa, gomma, plastica, ecc.), forma (tratti zoomorfi, facce buffe, ecc.) e colore (nero, bianco, rosso, blu, ecc.). La maschera può riprodurre lineamenti umani, animali o del tutto immaginari, ed è generalmente fornita di fori per gli occhi e la bocca. Viene indossata nelle società di interesse etnografico in funzione magico-rituale, per rendere simbolicamente presente un’essenza divina o demoniaca, o per scopi bellici, al fine di incutere terrore al nemico. Il suo significato è comunque strettamente legato ai valori culturali dei singoli contesti comunitari che l’adottano.

Numerose ricerche etnoantropologiche hanno distinto le differenti funzioni della maschera all’interno delle varie aree continentali. In linea molto generale, la maschera è strumento con cui captare la forza soprannaturale degli spiriti e appropriarsene, utilizzandola a beneficio della comunità. Spesso è associata al culto degli antenati. Il soggetto umano o animale è il più diffuso; essa deve comunque assomigliare allo spirito sul quale si desidera agire, nascondendo colui che la indossa. Tuttavia la maschera non è un travestimento con il quale si cerca di nascondere la propria identità personale, l’uomo mascherato non vuole farsi passare per una divinità, ma è la divinità stessa che lo possiede. Nell’antica Africa venivano usate maschere per nascondere il volto e rappresentare il Dio. Le maschere africane in casa, per superstizione, si accaniscono contro una persona con disgrazie malanni, che la possono portare sino alla morte. La maschera è diventata – significativo per la cultura europea e segno dei tempi – principalmente un oggetto usato per celare la propria identità, per esempio durante feste in maschera o a carnevale. È usata con lo stesso scopo da molti personaggi immaginari della narrativa e dei fumetti. E nella sua forma diminutiva è diventato la nostra compagna “fuori casa”. In psicologia, indossare una maschera è una metafora per distinguere i tipi di atteggiamenti tenuti nelle diverse situazioni della vita, quindi si può indossare la maschera dell’impiegato, come quella del burlone o del marito e ognuna in realtà non maschera nulla, ma permette di mostrare un lato della propria personalità. Infatti, noi non siamo solo amici, compagni, lavoratori, politicamente schierati ecc. ma siamo l’essenza che interpreta tutti questi ruoli. In ambito grafico è un’immagine che può essere inserita sovrapposta ad altre immagini per creare effetti di composizione. In elettronica è la parte dell’interfaccia utente di un programma, con la quale l’utente può interagire per compiere diverse operazioni. Etimo e significato di “maschera” e “mascherina”. Il sostantivo femminile “maschera” (di cui il sostantivo femminile “mascherina” è il diminutivo) è di etimo incerto. Una prima ipotesi lo vorrebbe di origine preindoeuropea, da “masca” (fuliggine, fantasma nero). Una seconda ipotesi, non incompatibile con la prima, lo deriverebbe dal latino tardo e medievale “mascara” (spettro, essere demoniaco) e “masca” (strega). Si trova traccia dell’origine del termine nel provenzale “masc” (stregone) e nell’antico alto tedesco “Maska”, attestato nella forma “Masca” nell’Editto di Rotari del 643 (“strigam, quod est Masca”), tuttora utilizzato in tal senso nella lingua piemontese. Dal significato originale si giunge successivamente a quello di fantasma, larva, aspetto camuffato per incutere paura. L’evoluzione linguistica portò probabilmente all’aggiunta di una “r” facendo assumere al termine la forma dapprima di “mascra” e successivamente di “mascara”, forma attestata dal sec. XIII. Alcuni studiosi hanno suggerito una derivazione dell’etimo dalla locuzione araba “maschara” o “mascharat” (buffonata, burla), derivante dal verbo “sachira” (deridere, burlare), importata nel linguaggio medievale dalle crociate. Tuttavia tale vocabolo è già presente in alcuni testi anteriori alle crociate. Il Dizionario etimologico italiano di Carlo Battisti e Giovanni Alessio lo riconosce come relitto del sostrato pregallico, riconducibile al termine baska da cui abbiamo il verbo francese rabacher (antico francese rabaschier), fare fracasso. Si è dunque probabilmente giunti ad una sorta di processo di assimilazione all’interno del significante “maschera” sia dell’aspetto primordiale di “anima cattiva” o “defunto”, sia di un aspetto goliardico e festoso. Con il lemma “maschera” si indica: 1. Apparecchio che, applicato sul viso, si presta a ottenerne una contraffazione o a renderne impossibile il riconoscimento, di solito fatto di cartapesta, stoffa o altro materiale plastico ed è impiegato a scopo magico o rituale (per es. per raffigurare con efficacia antropomorfica l’essenza divina o demoniaca), bellico (per incutere terrore al nemico), scenico (per sottolineare con materiale evidenza il carattere e la funzione di un personaggio), di divertimento (come quelli per lo più grotteschi e spesso molto semplificati che si usano per il carnevale). Per estensione, travestimento attuato a scopo di divertimento. In senso figurativo, simbolo di trucco o belletto sgradevolmente accentuato o di modo clamorosamente strano e ridicolo di acconciarsi e vestirsi e anche di finzione ipocrita. 2. Personaggio tipico della Commedia dell’Arte italiana, con nome, costume, atteggiamenti, qualità peculiari, spesso caratteristici di una determinata città o regione e mantenuti nel folclore. Inserviente (nei teatri veneziani del Settecento fornito di maschera e tricorno), che nei locali di pubblico spettacolo è addetto a controllare il biglietto di ingresso o ad accompagnare lo spettatore al suo posto. 3. Aspetto del viso che denuncia e sottolinea marcatamente una particolarità di ordine psicologico. 4. In semeiotica, aspetto del viso che denuncia una patologia dell’individuo; facie. 5. Maschera leonina, nella sindrome della lebbra. 6. La fisionomia del defunto, rilevata direttamente con la tecnica del calco (maschera mortuaria). 7. In architettura, elemento decorativo, plastico o pittorico, che rappresenta un volto umano in atteggiamento tragico o comico. 8. Dispositivo da applicarsi sulla faccia, specie a protezione delle vie respiratorie o degli occhi: maschera antigas; maschera subacquea, che permette la respirazione e consente una visione chiara degli oggetti sommersi; in chirurgia, maschera anestetica, intelaiatura metallica o in plastica ricoperta di garza, posta sul volto di un paziente per somministrare, per via inalatoria, un anestetico; in cosmesi, maschera di bellezza, sorta di mascherina di garza fittissima, impregnata di sostanze medicamentose, che copre completamente il volto a eccezione degli occhi e della bocca, usata specialmente per idratare la pelle del viso. 9. Schermatura per delimitare l’efficacia di una sorgente luminosa. Attrezzo per bloccare il pezzo e guidare l’utensile durante una lavorazione meccanica.

10. In informatica, schema che compare sullo schermo di un terminale per consentire un’immissione di dati controllata e strutturata. Con il lemma “mascherina” si indica: 1. Piccola maschera; in particolare, mezza maschera di seta, velluto, carta (detta anche bautta) che copre solo la parte superiore del volto, lasciando libera la bocca e anche il fazzoletto nero con cui certi malfattori si rendono irriconoscibili quando vogliono compiere atti di forza. Per estensione, nome di semplici dispositivi di tela o altro tessuto, talora rinforzati con gabbietta di filo metallico, da applicare davanti alla bocca e al naso per protezione dalla polvere (specialmente nell’esecuzione di determinati lavori), dallo smog, da possibili infezioni batteriche e virali, e simile.

2. Persona mascherata, nell’esclamazione “Ti conosco, macherina!”, rivolta a una persona che si riconosce nonostante la mascheratura e, in senso figurativo, a una persona che usa inganni e menzogne, per farle capire che si è scoperto il suo gioco. 3. Macchia di colore diverso sul muso di cane, di gatto o di altro animale: un micino bianco con la mascherina nera. 4. Borchia, ornamento in figura di maschera, usata in pelletteria, tappezzeria, ecc. (in questo significato, anche mascherino). 5. Nelle calzature, la parte principale e centrale della tomaia, talora anche di colore diverso, quando la punta e i quartieri sono costituiti da pezzi a sé. 7. Piccolo schermo, sagoma di materiale opaco, che si usa per limitare gli effetti di una sorgente luminosa. 8. In tecnologia, nome dato a sagome di cartone, di plastica, o di altro materiale, usate per delimitare l’area da colorare o verniciare, rimanendo nascosta la zona su cui non si deve depositare il colore; lo stesso che stampino e del termine inglese stencil. 9. Elemento di metallo o di plastica, eventualmente cromato o verniciato, che copre la parte anteriore del cofano di un autoveicolo, con aperture o trafori di vario disegno che hanno la funzione di permettere l’ingresso dell’aria e il raffreddamento del radiatore.