136 - PICCHIARELLI, STRAONGOLAPRETI, STRINGOZZI E STROZZAPRETI - Orvietosì.it

2022-10-08 23:27:04 By : Mr. Chuanbiao Xu

136 – PICCHIARELLI, STRAONGOLAPRETI, STRINGOZZI E STROZZAPRETI tutti della famiglia degli umbrichelli

Acqua e farina, più povera di così la cucina contadina umbra non poteva essere. Da tempo immemore, nelle campagne e nelle tavole nostre figurano gli umbrichelli, cioè pasta degli umbri ma anche con richiami al feroce anticlericalismo nostrano che voleva i preti strozzati con le stringhe delle scarpe. Per la verità, io ho memoria di questo cult della cucina regionale solo dai primissimi anni settanta, li alla Taverna della Malanotte nelle iniziali edizioni delle Giostra dell’Arme di Sangemini. La regola vuole gli umbrichelli conditi semplicemente con sugo di pomodoro e pecorino, ma diverse sono le varianti, una delle quali è la seguente: fatto l’impasto con acqua e farina, “abbicate” gli umbrichelli rigorosamente a mano. Preparate quindi un sugo di pomodoro, possibilmente quello di casa, fatto cuocere a fuoco medio per quindici minuti senza soffriggere con abbondante Aglione della Valdichiana umbra (Città della Pieve, Monteleone d’Orvieto, Montegabbione, Fabro, Ficulle, Orvieto, ora in odore di DOP), metà schiacciato, metà frullato. Condite il tutto con abbondante pecorino stagionato di Norcia.

I luoghi Qualche trattoria umbra ma difficilmente ci sara’ l’aglione

Il Vino Direi un rosso di buon corpo come il Decugnano dei Barbi di Orvieto

Dico la verita’. Considero la cucina giapponese, specie di pesce, di altissimo livello. Ricordo un tempo ormai lontano, nella Bulgaria ancora comunista, in un bel locale per turisti, un maestro di coltello ci preparo’ in un attimo un filetto di spigola a forma di rosa. Crudo e straordinario., da prestigiatore piu’ che da cuoco. Sto’ sushi da fast food pero’ non mi piace. Suggerisco una piccola variante, mia e quindi umbra. Procuratevi dei filetti di coregone e di trota salmonata, gamberi di fiume e riso arborio. Bollito che sia il riso, impastatelo con la polpa dei gamberi e con il succo delle loro teste, facendo delle polpettine. Prendete quindi i filetti, schiacciateli fini, sovrapponeteli e poneteci nel mezzo la polpettine, il tutto nella misura di un suppli’, arrotolandoli poi con l’apposita macchinetta per il sushi che troverete su e bay per meno di 10 euro, salandoli leggermente. Preparate poi una salsa verde con crema di rafano, prezzemolo frullato fine in olio stravergine umbro e un tocco esotico di Tabasco verde, qualche mandorla tritata. Infilate il vostro sushi d’Umbria all’interno di una sottilissima striscia di lardo che l’avvolga tutto e passatello molto brevemente in forno a 180 gradi solo per ammorbidire il lardo facendo attenzione a non cuocere il pesce che avrete pero’ abbattuto in precedenza. Versateci sopra la salsa.

I luoghi A casa vostra

Il vino Un bianco umbro come l’Orzalume orvietano

Il mese scorso, a Terni, in mezzo all’afa che piu’ afa non si poteva, a due passi dal Tribunale, un forno antico mi ha fornito antica golosita’ ovvero la pizza grassa. Cosi’, insieme a caro amico gourmet, ovvero ghiottone, ci siamo concessi questa untuosa golosita’ ternana che voglio rappresentare come una millefoglie salata e popolare dove, al posto della crema, sta trionfante lo strutto!

Un po’ complessa la ricetta che prevede farina, lievito di birra, acqua Sangemini, mezzo etto di strutto ed altrettanta misura di pecorino grattugiato e guanciale stagionato a cubetti con buona dose di sfriccioli, residui della lavorazione dello stesso strutto. Formate l’impasto incorporando il lievito alla farina, il sale, l’acqua ed il pecorino ed infine strutto, guanciale e sfriccioli. Impastate ancora, schiacciate in teglia e mettete al forno dolce a 60 gradi per quattro ore ed un’ora fuori. Ripiegate l’impasto su se stesso e fate lievitare ancora per altre due ore e poi definitivamente allargate la pizza. Lasciate ancora riposare un paio d’ore e rimettete al forno a 240 gradi per 15 minuti.

I grassi Olio stravergine d’oliva umbro e strutto di casa

Il vino Persino un frizzante di qualita’ come il Decugnagno dei Barbi brut di Orvieto

I luoghi il forno vicino al tribunale di fronte a Palazzo Spada.

Lu biforcu ossia il villano a Terni, burino a Roma, sempre uomo di scarsa cultura e per nulla raffinato. Il tutto a perfezione incarnato da tale Medved, altissimo papavero putiniano, il quale pensa che chi mangia rane, i francesi di Elisa Gervais all’Auberge de Vonnas o spaghetti pomodoro e basilico, gli italiani del Don Alfonso Iaccarino 1890 a S.Agata dei Due Golfi o le salsicce di fegato, i tedeschi del Brat wurstglockein di Norimberga, siano i trogloditi che si oppongono , con tanta volgarita’, al sogno espansionistico della Grande Russia. In realta’, e’ un deficiente, nel senso proprio del latino “deficiere” cioe’ mancante, scarso di adeguata conoscenza, in materia gastronomica e probabile assuntore, stando alla sguardo perso, di dose massicce di distillato di patate. Forse potra’ essergli di giovamento questo mio piccolo suggerimento.

133 – SPAGHETTI CON LE RANE (ricetta di Alberto Casasole di Orvieto) CON ANTIPASTO DI MAZZAFEGATE BARZOTTE

Procuratevi degli spaghetti grossi di un buon pastifico umbro e delle rane, meglio dei nostri stagni o corsi d’acqua e pulitele togliendoli gli ossicini. Mettete a lessare la pasta e nel frattempo predisponete in una padella olio stravergine d’Umbria e aglio rosso in camicia di Colfiorito per un rapido soffritto cui aggiungerete all’ultimo del prezzemolo fresco finemente tritato e un goccio di salsa di pomodoro. Tuffateci le rane pulite, aggiungete sale e peperoncino e buttateci dentro la pasta cotta al dente, mescolando il tutto. Nel frattempo ed in attesa, vi sarete gustato un simpatico antipasto di salsiccia umbra di fegato ovvero mazzafegata mezza secca con pane di Strettura.

Il vino Un rosto orvietano di Madonna del Latte

I luoghi Per le rane, la sagra estiva di Tavernelle di Panicale

132 – LEPRE ALLO SPIEDO Fino ad anni recenti, la cacciagione non si congelava e si lasciava frollare a lungo in luoghi freschi, in particolare nelle cantine arieggiate e poco umide. Cosi’ ricordo non solo e non tanto mio nonne Enrico, che andava a caccia alla domenica ma in cerca di tordi e merli, ma Oliviero Sciri, conservatore del Monte Peglia, cui bisognerrebe titolare un itinerario tra quei purtroppo romiti boschi, che conosceva di beccacce e palombe ma anche di lepre ad altra selvaggina di pelo. La difficolta’ vera pero’, dopo la frollatura, era cucinare le carni dure della lepre che meriterebbero lunghe cotture le quali, tuttavia , ci farebbero perdere in gusto e sapori forti e veri di selvatico. Preferiamo quindi lo spiedo alle altre cotture e se non abbiamo una lepre frollata andra’ bene anche una congelata da 2 0 3 mesi. Facciamo marinare qualche giorno in vino rosso, bacche di ginepro, rosmarino e salvia con chiodi di garofano e stecche di cannella. Salvaguardate le interiore per il sugo, riduciamo la lepre in pezzi non molto grandi, saliamo e pepiamo q.b., infiliamo la carne allo spiedo con un pezzo di pane ed una foglia di allora tra una parte e l’altra, facciamo rosolare senza brace sotto ma a distanza con la sola fiamma. A cottura ultimata, quando la lepre risultera’ ben cotta ma non troppo asciutta, serviamo caldissima con il sugo di colatura che avremmo avuto modo di recuperare durante la cottura.

I luoghi In casa di qualche amico cacciatore e buongustaio Il Vino Un rosso intenso ed importante come un Sagrantino Colpetrone L’olio di spennellatura una DOP Umbria o meglio un moraiolo nostro in purezza

Era di maggio, tra bande verdegialle d’innumeri ginestre, per ricordare Gozzano, e casci , per ricordare parole piu’ nostre, la primavera offre vere e proprie delizie della cucina povera, di largo uso in Umbria. Infatti i fiori di maggio, cosi’ rigogliosi dalle nostre parti, costituiscono una golosita’ a basso costo, facili da reperire ed ancor piu’ facili da cucinare , come diremo di seguito.

131 – GINESTRE E FIORI DI ACACIA FRITTI

Procuratevi quindi dei grappoli d’acacia fioriti, da non confondersi con altri inflorescenze simili di tipo umbrillifero e non pendule, nonche’ delle ginestre fiorite, che si dicono non commestibili e perfino velenose contrariamente a mia diversa e ripetuta esperienza che ne consente la degustazione, evidentemente trattandosi di tossicita’ termolabili. Passata i fiori freschi in una pastella di acqua e farina di media consistenza e friggeteli in abbondante olio stravergine umbro con burro chiarificato. Salate e servite caldissime.

Il vino Un bianco fresco e fruttato, come quello delle terre di Assisi

L’olio Uno stravergine umbro, DOP Assisi

I luoghi Di nuovo a casa vostra

Delle regole umbre di credenza Ogni piatto tipico, pere essere tale, soggiace a regole ben definite, diverse da posto a posto, ma sempre da rispettare. Ne “Gli osti custodi” di Beppe Bigazzi ovvero le sentinelle della credenza, questi assumono il ruolo di conservatori della tradizione culinaria di territorio. Tale fondamentale e primaria funzione, se rinunciata, li rubricherebbe necessariamente alla piu’ comune e perfino banale sottocategoria di chef aut similia e non a quella, assai piu’ nobile, di cuochi, sempre lontani e distanti dalla regola. Si servono cosi’ fiorentine ben cotte, vini “della casa bianchi o rossi “, costine di maiale ma senza pepe, l’agnello no perche’ “sita” di agnello e non si mangiano lumache, rane ed anguille perche’ viscide. Se si richiedono piatti fuori regola per favore, veri cuochi ed osti, dite semplicemente no ; questo bastera’ a conservare la tradizione, lasciando a lor signori il sushi n 128 !

Spalla e pancetta di maiale, 70 e 30 di cinturello orvietano

5 grammi di pepe nero fresco appena macinato per ogni kg

27 grammi di sale per ogni kg

2 spicchi d’aglio macerato in vino rosso

Un capace norcino della zona

I luoghi le molte trattorie veraci d’Umbria

Pasqua annunciata dalle Palme torna tra sacro e profano sempre con gli stessi riti, dalle processioni del Cristo morto alle colazioni ed ai pranzi nostri umbri. Qualche anno fa, insieme a mia moglie e la mamma di Federico Miglio, titolare dell’omonimo ristorante orvietano, in deroga al menu’ del locale, ci accomodammo in un tavola all’aperto per godere del primo tempo della stagione tiepida, con pollo arrosto, fave fresche, pecorino e vino rosso. Claque ripetuta di passanti e curiosi, presi dal profumo. Aggiungerei capocollo, uova sode e torta al formaggio per completare il pranzetto pasquale e primaverile.

I luoghi Ovunque in Umbria al tempo pasquale

Il vino Un bel rosso d’Umbria come il ciliegiolo di Narni

In primavera si possono gustare piatti semplici e freschi, come quello che suggerisco.

128 – TORTELLI CON CAPRINO – Tirata una sfoglia sottilissima, si procede come per i cappelletti o se svuole come i tortelli, riempendo l’impasto con caprino erborinato per una parte e l’altra di pate’ di fegatini di pollo e d’oca o anatra. Fate cuocere brevemente la pasta in brodo e disponete i tortelli su un piatto di portata su cui avrete fatto colare una salsa di gamberi fiume e mentuccia. E’ necessario gustare il piatto in abbinamento con un muffato o una vendemmia tardiva tipicamente umbra.

Il vino Perticaia di Custodi Orvieto

Il Formaggio I caprini erborinati semistagionati di Todi

I gamberi di fiume Quelli della Valnerina

Fra non molto, inizia il Carnevale. Festa a noi umbri cara per i dolci fritti piu’ che per le maschere ma, almeno a casa mia di un tempo, anche per i maccheroni dolci, specialita’ assoluta che dovrebbe essere raccolta e riproposta dai migliori cuochi. E’ ricetta antica , ancora coltivata dagli attenti cultori e dalle famiglie custodi della tradizione regionale, che vi racconto brevemente.

Gli ingredienti per questa delizia del palato sono, oltre i maccheroni, pan grattato, noci tritate, zucchero semolato, cacao un po’ dolce un po’ amaro, cannella in polvere, alchermes e rum fantasia, scorza di limone grattugiata, che avrete l’accortezza di dosare con intelligenza e misura. Fate quindi lessare i maccheroni in acqua non salata e mischiate tutti gli ingredienti impastandoli con un po’ d’acqua di cottura dove quindi tufferete la pasta poco scolata, mischiando nuovamnte il tutto. Ricoprite il composto e ponetelo in frigo per dodici ore prima di gustarlo.

I luoghi Solo a casa, mi risulta

Il Vino Un muffato d’Umbria od anche un vin santo vecchio

Tappe di gola in Umbria, ovvero trattori e trattorie nostre per integrare o meglio ricordare quelle che offrono le eccellenze di primi del territorio adeguatamente acconciate come

126 – SPAGHETTI ALLA CARBONARA, piatto senza madre o figlio di tante madri, tra cui l’Umbria. Deve essere crema vellutata ma non liquida, un rosso intero ed uno e basta di uova che non abbiano conosciuto frigo, guanciale stagionato e croccante, pepe fresco.

Il migliore Trattoria del Conte Orvieto

127 – SPAGHETTI CON IL RANCETTO variante umbra dell’amatriciana, che sostituisce gli spaghetti con gli umbrichelli rigorosamente di casa

Il migliore Trattoria Numero 13 Perugia

128 – PENNE ALL’ARRABBIATA al posto di aglio, olio e peperoncino, col sugo di pomodori freschi d’orto suo

Il migliore Trattoria Quiete di Caiano Baschi TR

L’olio Lo stravergine d’Umbria nuovo e nuovissimo

Il Vino Rossi forti d’Umbria

Nell’annosa controversia tra Re Liutprando e le genti dei territori di Spoleto, che mal sopertavano il sovrano, Papa Zaccaria riusci’ nell’azione pacificatrice tra Longobardi e rivoltosi recandosi piu’ volte a Terni. Qui, tra accordi sulla liberazione dei prigionieri, proprieta’ di castelli e sigle di tregue, il Pontefice ebbe modo di gustare le famose anguille del Nera e del Velino marinate con alloro e vernaccia cosi’ come di quei posti e’ la ricetta riportata in un bel libro di Sauro Mazzilli sulla Valnerina di cui ho perso titolo e copia, di cucina povera dei pastori di Castelluccio in transumanza.

Procuratevi ed anzi costruitevi un cilindro di canna di bambu’ aperto sui due lati e riempitelo con pezzi avanzati di pecorino nostrano, chiudendo poi la canna con due spicchii di pera. Mettette il tutto in gratella sulla brace lenta di un camino fin tanto che non avrette realizzato lo “squaglio” del formaggio per poi versalo, con le pere, ancora bollente sul piatti di portata come dessert tutto umbro.

I luoghi Solo a casa

Il Vino Un bianco splendido d’Umbria come l’Aurente di Lungarotti

Giovedi’ andai a caccia e ammazzai una beccaccia…..

Cosi’ l’incipit di un vecchio indovinello popolare che concludeva “venerdi’ me la mangiai, peccai o non peccai?” giocando sulla dizione mela. Nella realtà, ormai non basta più andare a caccia di beccace di giovedi’ o in qualunque altro giorno, essendo selvaggina praticamente introvabile. Ai fortunati che di qualche capo del pregiatissimo volatile pure dispongono, suggerisco la ricetta piu’ antica e tradizionale dell’Umbria, ovvero i

Procurato il prezioso capo, sparato o starnato che dir si voglia e soprattutto non surgelato, estraetene tutte le interiora senza lavarle in alcun modo e, con un goccio di buon rosso, ripulitene la cavità svuotata per estrarne il sangue residuo, prezioso come le interiora. Su un tegame versate un giro d’olio, uno spicchio d’aglio in camicia ed una foglia di salvia fresca, due capperi, una piccola buccia di limone senza bianco che poi toglierete nonche’ le interiora della beccacia tal quali salvo un sommario spezzettamento. Fate ammorbidire il tutto a fuoco lento fintantoche’ l’impasto non abbia assunto un colorito grigio di media intensità, tendente allo scuro. A questo punto, spalmatelo su crostini sottili di pane cotto al forno al legno per accompagnare le beccace che avrete cucinate allo spiedo , insaporite con limone e salvia e sale qb, ed unte di stravergine umbro alla stregua di qualunque altra spiedata di uccelletti.

Il vino Un rosso d’Umbria di grande corpo, come il Sagrantino Colpetrone

I luoghi  I casolari contadini d’Umbria

E’ una ricetta tipica de “Il Boccone del Prete “di Porano curata da Fabio Fringuello, cuoco artigiano, che racconta di due grandi eccellenze di territorio, ovvero della fagiolina del lago perugino , legume a maturazione differenziata che impone una raccolta manuale assai complessa, e del baffo, ovvero del guanciale umbro, in realtà diffuso nella norcineria nazionale ma che da noi assume quella caratteristica di forte salatura che lo diversifica da tutti gli altri. La semplicita’ di esecuzione e l’ottimo risultato gastronomico, fanno di questo piatto, insieme alla celebrata chianina IGP cotta al sangue nell’enorme focolare del locale e servita su pietra calda, il “cult” di questo caratteristico locale.

Fate insaporire la fagiolina dopo averla lessata in una padella con gli odori tradizionali quali sedano, carota e cipolla in un rapido soffritto con l’aglio rosso in camicia. Pronto che sia il legume, servite caldo aggiungendo il baffo croccante che avrete ottenuto scottandolo in padella con aceto nostrano e salvia.

Il locale Il Boccone del Prete Osteria Umbra Porano

Il vino Un rosso, stante la presenza di aceto nel piatto, non molto strutturato come il Rosso Orvietano di Poggio Cavallo

Apriamo una nuova pagina della Conventicola con l’aiuto di giovani cuochi o cucinieri per raccogliere il meglio della ristorazione umbra, innovatori cum grano salis, con a cuore la tradizione e nel contempo aperti alla ricerca di sapori nuovi ed antichi. Pablo e Francesco Pellegrini, davanti al Duomo di Orvieto, ci suggeriscono:

Cercate uova freschissime non di frigo, cuocetele in acqua acidulata per cinque minuti per poi passarle in acqua ghiacciata, tenendole in frigo. Tritate delle nocciole e conditele con il loro olio e sale Maldan, poi tostatele a 170 gradi per dieci minuti. Lessate delle patate rosse di Colfiorito per poi frullarle a cutter con poca acqua di cottura, burro e panna fresca, mettendole al sifone. Tritate ora del tartufo nero di Norcia, soffriggendolo velocemente in olio ed aglio con succo di limone e sale qb. Sul piatto mettete la spuma di patate ,poi le granelle, l’uovo tolto dal frigo e spellato coperto con altra spuma e granella , guarnendo con scaglie di tartufo.

I luoghi Ristorante i Pellegrini Orvieto

Il Vino Brut Gran Cuve’e 2016 La Palazzola Stroncone TR

Il tartufo Nero di Norcia

Che profumi, quelli della pizza nella mia Sangemini degli anni 50!Anna, la nonna dell’indimenticato Don Peppino De Cesaris, si affacciava alla finestra di rimpetto casa e mi diceva “Picchie’,la voli npo’ de pizza col rosmarino?” Poi nei forni di casa e di campagna, con la cipolla, le alici, i fiori di zucca, i funghi, pomodoro e mozzarella, su teglia grossa e nera , imbattibile!

Impastata acqua, farina e un po’ di lievito madre e sale q.b., tenendo al caldo della madia. Appena cresciuto l’impasto ,stendetelo sulla teglia e bucarellatelo con le dita delle mani, poi un giro d’olio, il condimento a piacere come sopra e qualche minuto di forno a legna cado di 400 gradi. Buon appetito!

Il vino casareccio, bianco o rosso o l’acquaforte (Sangemini)

Settembre, andiamo, e’ tempo di.. mangiar, potremmo dire, ai primi, lievi brividi d’autunno, perche’ il cibo rifocilla e scalda ma soprattutto fa compagnia. Predisponiamo quindi insieme una piccola lista di cucina di fine estate, con anatra muta delle nostre bellissime campagne, tartufo scorsone ed un piccolo omaggio ad una grande Regione europea come la Spagna.

120 – ANATRA MUTA RUSPANTE ALLA RABBIONA O CACCIATORA UMBRA CON TARTUFI

Procurati gli elementi sopra indicati, spezzate l’anatra a pezzi grossolani e disossatela, quindi ponetela in una capace padella con un soffritto leggero di olio stravergine umbro, spicchio d’aglio rosso di Colfoirito in camicia per arrosolirla un poco prima di aggiungere rametti di rosmarimo, sale e peperoncino. Avviata la cottura, aggiungete conserva di pomodoro quanto basta per ottenere una salsa abbondante e cremosa quindi vino rosso come un Corbara od un Orvieto od un Montefalco. Portata a cottura l’anatra e sfumato il vino, aggiungete una passata di alici e capperi da scaldare solo qualche minuto. Nel frattempo, avrete preparato crostini di fegato secondo l’uso umbro e, scaldato il forno a 120 gradi dove farete cuocere rapidamente gli scorsoni, ognuno avvolto in stagnola unta di olio tartufato e circondato da un’alice cantabrica. Non dimenticate di gustare l’anatra con pizza al testo e cicoria saltata.

I vini Rossi di Orvieto e Montefalco

L’olio Gli stravergini d’Umbria

I Luoghi La trattoria da Stefano, quando la faro’. Per ora, a casa propria.

I roventi muri d’orto del Poeta e della mia infanzia , mi riportano ai profumi dei pomodori in canna ed a quelli degli ortaggi in cesto ancora sporchi di terra raccolti in quei fazzoletti di terra sotto casa. Quelle delizie servivano per contorni cotti e crudi, insalate fresche ed odorose ed ,anche d’estate, per minestroni freddi e buonissimi

Un buon minestrone si fa anche a mezzagosto con molti ortaggi e verdure freschissime, prima pulite e poi tagliate grossolanamente . Indispensabili fagioli freschi o rinvenuti, bieda, scalogno, carotine , patate e quant’altro d’uso e compatibile. Preparate un soffritto con stravergine umbro, aglio rosso di Colfiorito in camicia con carota, cipolla e sedano tritati finemente in una capace pentola, aggiungente poi le verdure e gli ortaggi secondo la loro consistenza ed poi brodo vegetale quanto basta ad una minestra lenta ma cremosa. A fine cottura, mi raccomando, croste di parmigiano fino ad ammollo. Fate freddare e mettete in frigo qualche ora poi servite con un giro d’olio nostro ed abbondante parmigiano.

Il vino Bianco e freschissimo magari di Assisi

I luoghi I trattori ormai disdegnano il minestrone. Errore. Fatelo quindi in casa

L ‘olio Come al solito, uno stravergine umbro

N. 118 – TAGLIATELLE CON SUGO DI LEPRE

Maria Castrini detta Maria del Peglia per anni e piu’ di tutti, ha interpretato la memoria , la cultura e l’abilita’ delle cucine rurali tradizionali di quella zona. Una volta piu’ di altre , superandosi, ha cucinato tagliatelle fatte in casa con la sua straordinaria abilita’ col sugo di lepre. Vi assicuro, cucina stellata.

Occorre una lepre fresca con tutta la corata ed il sangue. Fate scaldare un soffritto con aglio, sedano,carota e cipolla dove farete rosolare la sola carne e le ossa dell’animale, che sara’ stato oggetto di una marinatura per 24 ore in vino rosso ed aromi, in particolare chiodi di garofano ed alloro. Aggiungete quindi il vino della marinatura e fate sfumare. A seguire pomodoro di casa o pelati schiacciati a forchetta. Fate sobbollire per alnmeno due ore poi aggiungete il sangue e la corata sminuzzata, lasciate addensare qualche minuto e togliete dal fuoco. Nel frattempo, col solo ausilio di braccia e mattarello, preparate l’impasto delle fettuccine dove, ad uova , farina e sale aggiungerete cacao amaro quanto basta che consentira’ ad una elevata elasticita’ . Fate quindi riscaldare il sugo, aggiungetelo di parmigiano e versatelo caldo sulle fettuccine appena cotte, unendo , a decoro, fiori rosso e frutti di bosco di analogo colore per spezzare la mono cromaticita’ scura della preparazione.

I luoghi Solo con Maria, ovunque sia

Il Vino Un rosso umbro di grande corpo come il Malbec Poggio Cavallo

L’olio Uno stravergine dop Umbria

N. 117 – UOVA SU UOVA E LASCHETTA FRITTA

Nell’estate del 68, in gruppo con amici a Monteleone d’Orvieto, ci avventurammo sotto il sole cocente del primo pomeriggio verso il Ripignolo, minuscolo affluente del Chiani a sua volta servente del Paglia, spalle nude e mutande Cagi, ognuno carico di un sacchetto di calce spenta che doveva servire, come purtroppo servi’, ad asfissiare il pesce di quelle acque dopo averle perimetrate con le pietre dello stesso fosso. Credo sia ampiamente prescritto, ma di un vero e proprio reato ambientale ci siamo cosi’, per l’invero assai inconsapevolemente, macchiati. Oltre, le laschette ovvero la lattarina di fiume , servirono poi a conviviale frittura che oggi suggerisco in accompagnamento ad uova di carpa trattate e servite su uovo sodo di gallina.

Acquistate in pescheria della lattarina di mare freschissima ed una carpa con le uova. Predisponente olio di oliva stravergine per il fritto con un po’ di burro chiarificato e portatelo al punto di fumo di 200 gradi, quindi infarinate la lattarina ed affogatela nell’olio cosi’ preparato. Nel frattempo, avrete tolto le uova dalla carpa, conservando il pesce per cucinarla come in precedente ricetta, le avrete pulite con sola acqua fresca e corrente quindi immerse in un salmoriglio di olio, abbondante succo di limone e sale. Fatele cosi’ cuocere per circa mezz’ora , quindi spalmatele sopra mezzo uovo sodo e servite accanto al fritto che dovra’ risultare caldo e croccante.

I luoghi Trattorie di lago sul Trasimeno

I vini Bianchi, poco alcolici e fruttai come la gran parte dei grechetti umbri

Procuratevi dei porcini maturi e spugnosi, del tipo edulis, frequenti anche in primestate al Peglia, raschiateli del terriccio e delle impurita’, sistemateli sulla gratella con due spicchi d’aglio e mentuccia fresca, quindi poneteli sulla brace lenta del camino con un giro d’olio. La cottura non li dovra’ seccare troppo ne lasciarli troppo crudi. Serviteli caldi ma anche freddi vanno bene.

Il vino Un rosso di corpo, come un Sagrantino di Montefalco Adanti

L’olio Uno stravergine d’Umbria DOP colli orvietani

I Luoghi Qualche trattoria umbra come Caiello a Baschi

Fu senz’altro e solo Alessandro Tommasoni da Terni, mastro generale comandante le truppe papaline durante l’assedio della guerra del sale del 1540, l’unico ternano a veramente sottomettere Perugia ed i perugini , i quali pero’ ,non domi, si dice siano ricorsi al pane sciapo proprio per non pagare comunque la gabella a Paolo III Farnese . Da tempo abrogata la tassa, il pane sciapo e’ invece rimasto, cult indiscusso della tradizione gastronomica umbra e paradossalmente chiamato pane di Terni e non invece, come sarebbe corretto, di Perugia, da utilizzare non solo tal quale ma anche in diverse ricette tra cui

Procuratevi ortaggi freschi come pomodori, sedano e cetrioli nonche’ profumato ed abbondante basilico e qualche fogliolina di menta, fateli a cubetti e mescolateli a pane di Strettura bruschettato, il tutto condito con stravergine di oliva umbro, sale, pepe e un goccio di aceto bianco

Il pane quello dei forni a legno di Strettura

L’olio uno stravergine umbro

Il vino un rosso di corpo e piacevole come il Lungarotti L’u’ 2019

I luoghi facilmente a casa

Sanno piu’ di Sicilia o, se si vuole, di Roma de na vorta che d’Umbria, ma e’ innegabile che da noi gli spaghetti col tonno sono entrati a pieno titolo tra i piatti consumati non solo per certe comandate festivita’, specie quelle natalizie, ma con frequenza quasi settimanale, specie il venerdì e i giorni di magro. Mia madre Gina li preparava in maniera molto semplice, sugo di pomodoro, tonno abbondante e pepe fresco. Io suggerisco una variante piu’ mediterranea ma di uguale facile preparazione.

Procuratevi spaghetti grossi, pomodori pelati, ventresca di tonno, buzzoname e filetti, pistacchi di Bronte, origano, acciughe salate, olio, aglio rosso, sale e pepe a mulinello. Fate bollire la pasta in abbondante acqua poco salata e, una volta scolata, aggiungetela del sugo che otterrete con poca cottura dagli ingredienti di cui sopra . Potete anche utilizzare alici fresche, sgombri od altro pesce azzurro, anche conservato, mandorle o pinoli al posto dei pistacchi, questo come variazioni della ricetta di cui sopra che vi avevo già in precedenza illustrato.

L’olio Stravergine d’oliva umbro

Il Vino Bigi Orvieto Classico superiore 2020

113 – ASSASSINA UMBRA è la pasta del giorno prima rifatta in padella nera, bruciacchiata e croccante come quella pugliese, salita all’onore delle cronache dopo la fiction del questore Lolita. I pranzi con gli avanzi, di cui abbiamo già scritto, sono caratteristici anche della nostra regione ma , diversamente dall’assassina pugliese, qui gli spaghetti andranno cotti lessati e poi rifatti. Ecco la procedura: Fate bollire acqua e sale su cui butterete la pasta, corta o lunga a vostro piacere. La condirete come d’uso ma con sugo di pomodoro, meglio se abbondante. Mettetela in frigo e tiratela fuori il giorno dopo per farla riscaldare in una padella nera di ferro non antiaderente fino a che non diventi scrocchiarella e bruciacchiata.

Il Vino Orzalume di Corbara di Orvieto, quantomeno eccellente

I luoghi Penso solo a casa

Rosa Baffo di Zaffarino, come risulta dalle cronache giudiziarie orvietane (Stefano Moretti “Le origini del fascismo ad Orvieto”, Intermedia Editore, ristampa 2019 ) fu balda giovane ventenne socialista condannata a due mesi di galera per aver incendiato, per protesta, nel 1919 due pagliai di grano. Rosa giustamente resisteva come un altro Baffo, Averino, che voglio immaginare suo discendente, che oggi ancora insiste e resiste con la sua ….carbonara. Nel carbonara day va quindi non solo citato ma celebrato , con la variante umbra di questo grande piatto, offeso da troppa cialtroneria d’oltremanica che lo vuole, udite udite,con panna, cipolla e prosciutto cotto

Gli umbrichelli acqua e farina vano fatti finissimi come spaghetti. Nel frattempo, sbattete un rosso d’uovo a testa insieme a pecorino e pepe per rendere un composto schiumoso ed affettate guanciale umbro stagionato, meglio se di scrofa, piuttosto sottile (non a dadini) che farete soffriggere tal quale in padella fino a bruschettarlo: Fate cuocere la pasta in acqua bollente e sale grosso, gettatela in padella col guanciale, saltate e mantecate con la schiuma uovo e cacio ma a fuoco spento evitando l’effetto frittata. Diffidate dalle imitazioni.

I luoghi Da Averino alla Mezza luna ad Orvieto

Il Vino Rosso umbro o meglio orvietano

Marinate la polpa di cinghiale almeno per un giorni nel vino rosso di corpo, rosmarino, salvia, carote ,bacche di ginepro e pepe grosso in grani .Prendete poi la carne cosi’ lavorata, asciugatela e passatela nella farina per metterla in tegame con olio stravergine ed aglio rosso in camicia a fuoco lento per almeno tre ore aggiungendo il vino della marinatura , sale e pepe o meglio peperoncino. A cottura quasi ultimata aggiungente un composto fatto con un poco di cacao amaro o polvere di cioccolato, uvetta, candidi e pinoli, amalgamando bene il tutto per versarlo poi sopra la carne cinque minuti prima di servirla caldissima

Il vino Sagrantino di Montefalco

L’olio quello eccellentissimo di Massimo Palmadori , a Portaria di Acquasparta

I luoghi La Volpe e l’Uva non c’e’ piu’: Provate a casa

Assassinio sull’accellerato Orvieto Stazione di Ficulle Esattamente in quel di Fabro scalo dove noi liceali degli anni sessanta scendevamo di ritorno da scuola verso le due e mezzo di ogni pomeriggio feriale dell’anno scolastico. A volte, di sera ed a mezzanotte, in quei posti dove sempre dovevi inventarti qualcosa, cucinavamo spaghetti aglio, olio e peperoncino anche alla pugliese, cioe’ , appunto, all’assassina,procedendo nel seguente modo

110 – SPAGHETTI ALLA FIAMMA – Gli spaghetti, mitici n.5 Barilla come lo Chanel, vanno disposti crudi sulla fiamma in una padella di ferro e bagnati con poca acqua, aggiunti poi gradualmente prima di olio stravergine poi di sugo di pomodoro anche abbondante, facendo attenzione a mantenerne la croccantezza (che non si avrebbe con la normale bollitura) e la “brucicchiatura” , aggiungendo due spicchi d’aglio senza camicia e peperoncino piccante. Fate saltare ed aggiungete, se piace, pecorino romano con la goccia. E l’Umbria? Li sotto casa di Roberto Lombroni, a Monteleone, nostra cucina storica.

I luoghi quelli citati, nelle case degli amici

Il Vino quelli grezzi e forti di casa e del contadino, bianchi color cognac e rossi viola

L’olio Il nostro stravergine d’Umbria di frantoio locale

E’ strumento fondamentale per la realizzazione di questa cucina atavica, insieme agli uccelletti, tordi ed altri consentiti, tasca del cacciatore e delle sue fatiche. Spiumati che siano , infilateli sullo spiedo, intramezzati uno dopo l’altro da un lardello di grasso e magro di maiale, un pezzo di pane ed una foglia di alloro , facendoli cuocere, fino a giusta croccantezza, senza brace sotto ma solo a fronte fiamma, salandoli giustamente dopo qualche minuto di girata, con un filo di stravergine ogni tanto. Si dovrebbe lasciare intonso il solo becco, ma e’ roba da maestri!

Il Vino Quasi d’obbligo un Sagrantino ma vanno bene anche rossi di grande corpo come il Malbec di Poggiocavallo di Orvieto

L’olio Uno dei tanti ricordati stravergini umbri

L’acqua Stavolta cercata di non invitarla

I luoghi Forse ancora da Angelino al Peglia ma solo credo su prenotazione

A Carpineto Romano, settanta chilometri dalla Capitale, mio padre Federico aveva portato la sua famiglia e con, con essa, un po’ d’Umbria, creando, col tempo, una sorta di simbiosi mutualistica per cui mia madre insegnava alle amiche conosciute nel cuore dei Lepini la differenza tra pampepato e pangiallo, tra umbrichelli e gnocchi a coda de soreca e cosi’ via. Scambio di esperienze culinarie e culturali: Li’ alle pendice del Sempreviva e del Capreo ho imparato l’usanza, tra l’altro di origine abbruzzese, della pecora “a ju callaro”, ju cotturu dannunziano, conviviale e primaverile. E allora andiamo, e’ tempo di migrar anche se ….non e’ settembre!

Procuriamoci un pezzo di pecora e molti amici, all’aria aperta e distanziati, mettendo nel mezzo della festa un callaro nostro d’Umbria, simile a quello carpinetano, riempito d’acqua fresca, sale grosso qb, qualche grossa cipolla ramata, carote , prezzemolo ed anche peperoni privati dei semi, bieda e cavolfiori ed immergiamoci la pecora , facendola bollire qualche ora. Filtriamo il brodo cosi’ ottenuto sopra pezzi di pane abbrustolito e coperti di pecorino grattugiato, julienne di limone di Amalfi e menta fresca per il primo e il lesso di pecora morbidissimo ed insaporito bagnato dal suo brodo tal quale per companatico.

Il vino Un rosso umbro leggero e fresco

I luoghi Nei campi nostri fioriti di primavera

107 – SFARRATO DI GRANO TURCO CON PROFUMO DI ARINGA DEL GOLFO DI GUASCOGNA SU LETTO DI ROVERE DI ALLIER

potrebbe forse scrivere qualche stellatissimo chef nel proprio menu’ in luogo della nostra assai piu’ povera dizione di polenna sulla spianatora, vero piatto principale dei contadini umbri, con antipasto di fame colla pertica e aringa appesa su cui strusciare quella dura . IL Covid non ci consente quella piacevole convivialita’ del pentolone girato per un ora sul fuoco del cammino, ma nulla vieta una polenta espressa (ce ne sono delle ottime) sulla spianatoia ed in famiglia secondo le seguenti modalita’ tradizionali umbre

Se volete evitate la procedura lunga che prevede una paziente girata, procuratevi una polenta istantanea che troverete facilmente in ogni bottega alimentare, pomodori pelati, costarelle e salsicce. Disponente quindi sul gas una capace pentola con mezzo litro d’acqua, sale grosso qb e un goccio d’olio portandola in ebollizione. Nel frattempo, avrete preparato un sugo con base d’olio stravergine umbro, aglio rosso di Colfiorito schiacciato in camicia, pomodori pelati sfranti con la forchetta dopo aver rosolato puntarelle e salsicce con cottura lenta bloblottante: A sugo pronto ed acqua bollita, versate lentamente la polenta che cuocera’ in pochi minuti , distribuitela sulla spianatoia tradizionale in legno e versatec i sopra il sugo ricco di spuntature e salsicce e parmigiano a coprire.

I luoghi A casa per forza ma anche con piacere

Il Vino Un bel rosso di corpo, come il Sagrantino di Montefalco

L’olio sempre umbro e solo d’oliva stravergine

N. 106 – ERBE FRESCHE E PROFUMATE

Torneranno i prati, raccontava Olmi nell’ultimo suo bel film sulla Grande Guerra. Anche quest’anno sara’ a breve cosi’, magari fuori dall’ALTRA grande guerra nostra e non dei ragazzi del’ 99 contro il virus e i prati ci faranno di nuovo dono di mille erbe spontanee e profumate che raccoglieremo anche per farne infusi forti e piacevoli Utilizzate le erbe fresche e profumate appena colte in primavera, in particolare menta e mentuccia che vorrete unire in infusione con uno specialissimo brandy prodotto in casa con il distillatore di rame di cui disponete ovvero acquisterete nella ferramenta sotto casa. Distillate solo vino trebbiano umbro in purezza, vitigno presente ovunque nella nostra regione, di poco costo e di ottima resa anche aromatica.

I luoghi Il garage di casa Abbinate il brandy con formaggio pecorino fresco e fuso.

Caco non sta certo per quell’ordinaria fisiologica necessita’ che tutti, piu’ o meno quotidianamente, svolgiamo, ma indica un frutto assai diffuso dalle nostre parti e spesso, purtroppo, consegnato a mera funzione decorativa stante la scarsa propensione alla sua raccolta. Questo tardivo dono dolce, a dicembre, oltre che per abbandonato ornamento, puo’ essere gustato tal quale oppure trasformato in splendide quanto inusuali marmellate ovvero lavorato come segue: fate macerare i cachi interi in alcol puro o in liquori secchi e forti per molti giorni in relazione alla maturita’ del frutto, ma non meno di trenta. Assorbito che abbiano il liquore, utilizzateli in accompagnamento ad un gelato all’olio di oliva ovvero altro di vostro gradimento, per un dessert di buon gusto e diverso

I luoghi Solo a casa

I vini Direi un Muffato della Sala od anche un brandy sempre umbro di casa Antinori od un Varnelli, mistra’ di poco fuori d’Umbria

Non e’ da confondersi con un qualche curioso copricapo e neanche con il tortellino bolognese, essendo pasta di uguale farcia ma di diverso aspetto: Nella tradizione umbra e’ luogo d’impegno culinario per le feste natalizie, da utilizzarsi con brodo di cappone e parmigiano abbondante da Natale alla Befana.

La pasta va fatta in casa, come tradizione insegna con uova e farina ed olio di gomito: Poi la pazienza di fare con la stesa dei piccoli circoletti da riempire con un pizzico d’impasto , richiudendoli uno sopra l’altro. Il dentro e’ fatto di tre tipi di carne, maiale, pollo e manzo, condito con mortadella, uovo, noce moscata, sale e pepe qb. Fatti i cappelletti, tuffateli nel brodo caldo e cospargeteli senza riserva di parmigiano.

I luoghi Poche trattorie tradizionali, molti focolari domestici

Il vino qui l’Umbria latita. E’ Natale, siamo buoni, concediamo all’Emilia il privilegio di un bel Lambrusco spumeggiante e fresco.

Da ragazzino, all’avvicinarsi delle festivita’ natalizie, mia madre era solita annunciare trionfante “ Oggi c’e’ la parmigiana di gobbi!” Che nome curioso, pensavo, mentre mi veniva in mente non tanto l’imponente ortaggio della stagione fredda ma un professore nostro dirimpettaio ,gobbo per l’appunto, per quanto cortese ed intelligente che fosse e quello che in Leopardi era il cofanetto delle sue ali per me rimaneva una irregolarita’ della conformazione fisica , senza concessioni poetiche ne botaniche. Fantasie ed impressioni di bambino che sparivano alla presenza non solo della parmigiana ma anche del piu’ semplice

Di elementare fattura. Un bel cardo, variante minore e tenera del gobbo, abbondante acqua salata dove farlo bollire per ammorbidirlo ulteriormente e renderlo non amaro, scodellarlo tal quale con aggiunta di olio stravergine di frantoio, limone, pepe ed abbondante parmigiano

Il vino Bianco e secco, uno delle tante cantine umbre

L’olio Adesso ancora nuovo, fragrante come quello del Frantoio Brizi di Orvieto

I luoghi Casa nostra, visto anche il Covid

Dei lattari, che non sono quelle vecchie figure che portavano il latte appena munto casa per casa fino agli anni 70, per lo meno dalle parti nostre, ma funghi che nascono nelle pinete i primi giorni di novembre, tanto amati a Terni quanto sostanzialmente sconosciuti nel resto dell’Umbria. La specie a cui particolarmente mi riferisco e’ il cd sanguiflus ovvero sanguinaccio, da non confondersi col sanguinello per habitat e forma , ottimo in cucina tanto altamente cangiante cosi’ da far esclamare a Sarafino de Pagliaroni , un contadino di Monteleone che conosceva solo, come i piu’, porcini e “rovole”, alla vista di un canestro di questi funghi che avevo raccolto abbondantemente “Ah! So’ la morte!

Pulite i sanguinacci e fateli cuocere a fuoco moderato nella sola propria acqua. A cottura ultimata, aggiungete sale q. b. , pepe a mulinello, pomodori pelati e latte fresco di mucca, fino ad ottenere un sugo denso e cremoso col quale potrete condire la pasta o, ancor meglio, aggiungerlo ad uno spezzatino di carne di manzo. Una vera prelibatezza.

Il vino Certamente un rosso umbro, sangiovese o sagrantino

I luoghi Da Sara a Terni, vicino lo stadio

L’olio Siamo al tempo di quello nuovo, purche’ rigorosamente umbro

Eva a Sangemini era donna dell’ottocentottanta o giu’ di li’, mamma di Anna la quale era madre di Don Peppino De Cesari, monsignore acculturato capo segreteria, negli anni 80 del secolo scorso, del vescovo di Terni SE Gualdrini, uomo piissimo della cui particolare amicizia ancora meno vanto. Come d’uso nei piccoli paesi, con Eva eravamo parenti di grado piu’ o meno prossimo ed io bambino rispondevo, davanzale a davanzale, in via del Cataone, quando mi chiamava “Picchie’, cio’ la piazza colla salvia e la cipolla!” intanto che Carlino passava sotto casa col carretto dei fiaschi dell’acquaforte ovvero Sangemini. Oltre il ricordo, una suggerimento di cucina

101 – SCHIACCIATA CON LA CIPOLLA DI CANNARA

Solita procedura con farina a fontana e lievito di birra, impastare e sistemare il panetto in una ciotola infarinata, coprire con pellicola e raddoppiare il volume in circa un’ora. Poi strutto, olio stravergine umbro e acqua appena tiepida insieme a farina qb insieme a un pizzico di sale. Di nuovo il panetto con la croce e due ore di ulteriore lievitazione. Schiacciate l’impasto sulla teglia unta d’olio poi sopra fettine sottili di cipolla di Cannara e salvia spezzettata ed un po’ d’olio. Il tutto in forno caldo a 200 gradi per mezz’ora. Servite calda.

I luoghi Penso solo a casa

L’olio Quello umbro e nuovo delle nostre mole

Il vino Un bianco asciutto e fresco come Il Decugnano dei Barbi di Orvieto

Pizze grasse d’Umbria ovvero e non solo lumachelle e pizza con gli sfriccioli, dette orvietane le une e ternane le altre ma in realta’ diffuse un tempo in tutte le campagne d’Umbria. Per la verita’, la forma small della lumachella orvietana e’ opera di ingegneria culinaria avendo ridotto ai minini termini medesimo impasto grasso in forma small il pasticcio salato caratteristico di tutta la regione, non solo per sfizio estetico ma per differirne la funzione, da vera e propria pizzetta salata da piatto in tavola a spezzafame da saccoccia contadina. Cosi’ la pizza con gli sfriccioli detta ternana e d assai cara ai ternai e dintorni era assai frequente anche nel perugino . Date quindi all’Umbria quello che e’ dell’Umbria ed ad Orvieto e Terni quello che e’ di Orvieto e Terni

N. 100 – LUMACHELLA ORVIETANA E PIZZA CON GLI SFRICCIOLI DI TERNI

Gli impasti grassi ed i tempi di cottura sono sostanzialmente gli stessi. Acqua e farina insieme allo strutto, olio stravergine d’Umbria, sfriccioli per la ternana insieme a giusta quantita’ di latte, baffo cioe’ guanciale a dadini per l’orvietana, pecorino e un po’ di pepe. Forma tradizionale a pizza da teglia per Terni, a lumachella copiata sfacciatamente da Slow Food (plagio clamoroso)per l’orvietana. In forno a 180 per venti minuti per ambedue.

Il Vino Spumante Riesling brut La Palazzola Terni. Perlage raffinato, sapido e piacevole al palato, leggermente fruttato.

L’olio Adesso i frantoi d’Umbria con quello nuovo

I luoghi Qualche forno ad Orvieto e nell’orvietano per le lumachelle, un forno anonimo a duecento metri da Palazzo Spada a Terni per la pizza grassa.

Arrizzette comma’ lu jornu e’ fattu, lu porcu sta strilla ju’ lu stallitto arrizzete comma’ ce sta lu sole te po’ pija’ chi corbu ju lu lettu! ……

Cosi’ recitava un’antica canzone popolare spoletina declamata da mio cugino Giuseppe, in abito da giullare medievale, alla Taverna della Malanotte, in quel di Sangemini in occasione della Giostra dell’Arme nell’ottobre del 1971, dove si beveva al ritmo della Filomena (Filome’ Filome’ voglio stare insieme a te, sul sofa’ sul sofa’ collo zigheto zigheto za’) e si mangiavano

N. 99 – PICCHIARELLI AL SUGO FINTO

che qui voglio arricchire con la carne “dellu porcu” . Basteranno acqua e farina e l’impasto tradizionale per fabbricare i picchiarelli o, se si vuole, umbrichelli, con l’ausilio della chitarra abruzzese e da finire a mano ” abbicando la pasta”: Per il sugo, pomodoro e ritagli vari di carne di maiale , lentamente portati a cottura su fuoco dolce ( a blo’ blo’), Il tutto cosparso infine con abbondante pecorino

Il vino Un rosso d’Umbria, quanto piu’ corposo possibile

I luoghi La Taverna della Malnotte, Rione Piazza Sangemini, fino all’11 ottobre prossimo

Quand’ero soldato In quel di Foligno, i miei vennero a trovarmi ed insieme ci recammo nella vicina Cannara per far visita alla gia’ anziana Edda, la mia levatrice, in quanto un tempo si nasceva in casa senza necessita’ di medico ma con sola ostetrica. Sono poi, anni dopo, tornato in quel piccolo borgo alla ricerca non piu’ di Edda, che non c’era purtroppo piu’, ma della sua mitica cipolla; tuttavia, quando chiedemmo ad un oste antico se ce ne fossero disponibili, ci rispose “Si, sottoterra!” Giusto, non era tempo ma quando lo sara’ cucinatela cosi, in combinazione di altro prodotto degno di menzione e gia’ citato come la pera di Monteleone e la castagna di Melezzole

N.98 – ZUPPA DI CIPOLLA DI CANNARA CON CASTAGNE DI MELEZZOLE E PERA DI MONTELEONE Provate questo piatto con gli ingredienti indicati che vanno sciolti lentamente in un coccio da forno di Ficulle, le castagne dopo averle lessate e spellate , le cipolle e le pere a julienne li per li’ sopra un sottile strato di olio stravergine umbro e burro appena scaldati. Fate gradualmente sobbollire aggiungendo brodo vegetale quanto basta e croste di pane casareccio, poco sale e pepe generoso: A cottura quasi ultimata, internazionalizzate il piatto con fette di gruviera e mettete al forno a 180 gradi quel tanto che basta a far prendere colore al formaggio.

Il vino Difficile l’abbinamento. Penserei a qualche metodo classico delle nostre zone, come il Decugnano dei Barbi di Orvieto

I luoghi Credo solo a casa

Benedetto Burli e’ stato intellettuale, pianista jazz, politico radicale di sinistra, plurilaureato in Italia ed alla Sorbona, mio professore di filosofia al liceo di Orvieto, citta’ che pero’ lo ha completamente dimenticato. Io no. Non ho dimenticato neanche i ciclostili in cui, per distinguere illuminismo da romanticismo, disegnava una rosa , disezionata tra petali, stelo e spine per i primi, intera, integra e profumata per i secondi, quella stessa rosa, nella forma spontanea, denominata in Umbria canina, nome appioppato ad un casale da alcuni amici svizzeri che, in quel di Magione, negli anni settanta, decisero appunto di sposarsi. Cercandoli per la festa cui fummo invitati, domandammo ad un contadino nostro incontarto per strada , dove fosse quell’immobile ,citandone il nome “Mai nteso mentua’” ci fu risposto, cosi’ come , sono sicuro, non avrete mai inteso mentua’ la seguente ricetta di

N.97 –  ROSA CANINA E MAGGIO FRITTO

Quand’e’ tempo, raccogliete rose canine e ginestre fiorite, dette maggio. Le prime sfogliatele ed unite i petali ad una fresca insalatina di campo, condita solo con olio umbro, limone e sale e le seconde, nonostante si sostenga siano velenose, non risultando pero’ vero per lunga, ripetuta e diretta prova ed esperienza, friggetele brevemente, dopo averle velocemente passate in una pastella di acqua e farina, avendo cura di mantenere i fiori attaccati al gambo che vi servira’ da bacchetta da degustazione e ausilio ad una facile cottura.

I vini Bianchi e secchi d’Umbria.

I luoghi Le campagne umbre a primavera

Brancaleone da Norcia, nel reclutare la sua sconclusionata armata, volle significargli chi esso fosse ed intervenne “ Avrete sentuto nomare, suppongo, Groppone da Figulle! “avendo in risposta “Mai cuverto”: Quello splendidissimo film rivive ancora in un prodotto magico della terra di Ficulle, la sella di maiale o groppa ovvero groppone, che, insieme ad altri ingredienti, serve per la

Che vorrei suggerire senza panna, ma con ricotta e pecorino. Utilizzate tagliatelle o linguine, conditele e spadellatele, lesse che siano ed al dente, nell’impasto di pecorino di Norcia e ricotta di medesima provenienza, sale e pepe qb, acciughe cantabriche dissalate, salsiccia umbra spezzettata, nero di Norcia o scorzone estivo maturo a crudo o appena scottato ed infine, a fettine sottili e crude, il Groppone di Ficulle. Occorre dopo che disponiate di un buon letto dove riposare.

Il vino un rosso di gran corpo come diversi cabernet franc o sauvignon umbri

I luoghi Le trattorie di Norcia, in particolare Il Granaro del Monte

La bottega La macelleria di Ficulle dove vendono il Groppone

La fagiolina del Trasimeno e’ una DOP Umbria, un tempo quasi scomparsa ed ora tutelata dal marchio e dal Presidio Slow Food. Si raccoglie con difficolta’ perche’ matura a scalare. Da ragazzo, iniziai a conoscere questo multicolore fagiolo recandomi casulamente a Castiglione del Lago. Lo vidi dentro un sacchetto a casa ed ospite di Ferruccio Lamborghini che descrisse il fagiolo ed il prodigio delle sue fuoriserie, prodotte per stizza di Enzo Ferrari che gli disse “Ma va la’, che vuoi fare le sportive tu che produci trattori !”: IL tutto sorseggiando un rosso di gran corpo prodotto nella tenuta dal nome scontato di “Sangue di Miura”

N.95 – BAFFO CROCCANTE E FAGIOLINA

Fate cuocere la fagiolina in acqua e sale, poi mettetela in padella con un soffritto di stravergine e finissimo di aglio rosso di Colfiorito, sedano, carota e cipolla. A fine cottura, aggiugete il baffo croccante come in precedente ricetta ma senza aceto. Il vino Un classico, Campoleone Tenuta Lammborghini. Merlot e sangiovese in barrique lunga di rovere francese. Il vino acquista particolare suadenza e corpo che ricordano la prugna matura, il cuoio ed il tabacco. Finale lungo e persistente L’olio L’Olio del Duca DOP Colli del Trasimeno: Fresco e leggero per la presenza dell’agogia, cultivar autoctono.

C’e’ un piccolo locale ad Orvieto dove fanno una pizza che ricorda quella delle teglie del tempo contadino e dei forni a legna, scaldati a 500 gradi con fascine ed affrico e cerro, e, puliti dalla cenere, utilizzati per pizze profumate di rosmarino, cipolla, pomodori di casa, fiori di zucca , mozzarelle ed alici, schiacciate su sbilenche teglie artigianali e condite col giro d’olio nostro d’Umbria. Cito tale minima pizzeria solo perche’ appare unica memoria e baluardo alla scadente pizzeria di Orvieto e della nostra regione, dove propinano improbabili impasti e lievitazioni alternativi, fantasie del condimento cui mancano solo avocado ed ananas, almeno spero,nell’inganno di piacevoli belvederi ed acque lacustri ma pur sempre improbabili.

Armatevi di farina 0, impastatela con acqua corrente ed un pizzico di minerale effervescente, fatela rinvenire al caldo per qualche ora dopo aver aggiunto lievito non istantaneo, rimpastatela ed ancora in caldo, magari in madia, per qualche altra ora. Nel frattempo, avrete scaldato un forno a legna si da rendere la cupola interna completamente bianca. Condite le pizze con gli ingredienti sopra suggeriti e compresse nelle teglie, infilandole nel forno caldissimo.

I luoghi da Claudio al Vicolo ad Orvieto

Il vino Bianco e fresco, amabile Orvieto Classico DOP

Don Antonio Cinelli fu dottore in giurisprudenza gia’ negli anni 30 del secolo scorso e forsanche in utroque jure poiche’ dopo fu prete e parroco storico di S. Giovenale di Orvieto, splendido esempio di architettura romanica. Personaggio curioso ed amabile, di buona forchetta, governo’ con me ed altri per lunghi anni l’IPAB titolata alla marchesa Cristina Piccolomini Febei, piu’ nota come S.Giorgio. Un giorno, in consiglio, fummo avvertiti che il reverendo si era sentito male ed aveva ricevuto l’estrema unzione. Immediatamente ci precipitammo al capezzale dove trovammo Don Antonio seduto sul letto ed in assoluta buona forma :”Beh! ci disse “ sono stato male e mi hanno dato l’olio santo: si vede che fa bene! Penso pero’ che non bisogna abusarne!” Aveva certo ragione il parroco , di quello santo sicuramente no ma di quello , straordinario, umbro e stravergine d’oliva ..quanto ce ne pare!

N.93 – GELATO ALL’OLIO DI OLIVA

Bisogna disporre di una gelatiera, anche di tipo domestico e per ingredienti latte fresco di pecora, zucchero raffinato ed olio d’oliva umbro q.b. Otterrete un gelato pastoso e piacevole al gusto quanto originale ed elegante nella presentazione L’olio Uno qualunque delle tante eccellenze umbre DOP. In particolare, in omaggio a Don Antonio, un Colli Orvietani DOP Umbria

Il vino Se lo trovate, un vin santo di casa e d’annata

E’ classicamente, almeno per noi umbri, una parte del fegato del maiale, di buona regola non piu’ grande di un mezzo pugno, generosamente avvolta nella ratta, ovvero rete della stessa bestia e cucinato come diremo. Nella mia memoria, Re del fegatello e’ il piu’ volte richiamato Riccardo Salticchioli di Porano, di professione barbiere e di passione cuoco di paese, che, con amore infinito, tagliava, preparava e cuoceva su infiniti spiedi i fegatelli, specie nella stagione piu’ fredda, tra dicembre e gennaio, per l’ammazzatura. Unico, indispensabile, fedele compagno, uno spiedo sul focolare. I fegatelli, nella misura indicata, vanno avvolti in ratta, salati e pepati allegramente, infilati sullo spiedo tra una foglia e l’altra di alloro. Dovranno risultare ben cotti, quasi bruciati ma nel contempo morbidi e vagamente rosati all’interno.

Il vino Un rosso di gran corpo tra i molti d’Umbria

I luoghi Di regola e nel tempo giusto, tutte le trattorie che dispongono di un camino e di legna di cerro e d’affrico giustamente asciutta.

E’ oggetto di piacere goloso in esatta contraria misura dei consigli di quel dotto e erudito nutrizionista dai baffi e capelli bianchi ospite permanente di Bruno Vespa cosi’ da allungare parcelle da mille euro per un quarto d’ora di visita. Immagino solo per un attimo la faccia di tanto costoso medico suggeritore di passati di frutta e carote di fronte al budelluzzo affumicato, cioe’ i budelli minimi del porco adeguatamente lavorati, affumicati ed insaporiti di semi di finocchietto selvatico, cotti alla brace ed in grado di sviluppare, colante colesterolo, un fumo da vaporiera. In omaggio a tanto sfregio dietetico, un gruppo di volenterosi si e’ riunito per anni a Porano, all’osteria umbra de Il Boccone del Prete, vulgo culo di gallina storicamente graditissimo ai preti (e non solo!), per celebrarne i fasti. Del budeluzzo racconto anche la facile preparazione

Ponete sulla brace i budelluzzi fino renderli asciutti e croccanti cosi’ che abbiano scolato tutto il loro grasso esterno. Metteteli caldissimi tra due fette di pane casareccio bruscato spremendo il budelluzzo. Buon appetito e , mi raccomando “Attento n’To’, n’tunta’’!”

Il vino Un rosso umbro di gran corpo

I luoghi Solo su richiesta al Boccone del Prete di Porano

Quella tiepida prima mattina del 19 settembre 1979 dormivano in mutande Cagi io e mio fratello cugino Giuseppe, tranquilli ,in comune letto di casa mia a Sangemini , quando fummo risvegliati da un fortissimo boato seguito da distacco di calcinacci cadutici sulla testa e da uno scuotimento violento delle mura. Senza fiato, chiesi a Peppe che pareva dormire “Lo senti?” e lui, che non dormiva ma ero solo bloccato dalla paura, rispose “Lo sento si!”. Pensare che la sera prima ci eravamo recati in una trattoria sui Monti Martani, di fatto l’epicentro del terremoto poi noto come quello della Valnerina, dove , dopo una lauta cenetta e gustato caffe’ e Fernet, il cameriere ci sfilo’ sotto il naso un piatto di spaghetti al tartufo che la nostra gola, con la mente fuori controllo, ci impose di richiedere e mangiare “post prandum”. La mattina quegli spaghetti ancora presenti in noi furono appunto “shakerati” , eccome!

N.90 – SPAGHETTI AL TARTUFO NERO

Ci vorrebbe il nero di Norcia ma in tempi estivi andra’ bene anche lo scorzone a condizione che sia di buona qualita’ e profumato, cosa che di rado accade. Fate lessare degli spaghetti grossi o se credete degli umbrichelli, ciriole o delle fettuccine di casa in abbondante acqua salata. Nel frattempo, avrete preparato un condimento a base di tartufo nero grattugiato e scottato in olio stravergine umbro insieme ad uno spicchio d’aglio rosso e due alici schiacciate con la forchetta. Versate la salsa sulla pasta appena scolata aggiungendo ulteriore tartufo grattuggiato o meglio a scaglie di un certo spessore se si tratta di scorzone.

Il vino Puo’ andare bene anche un rosso di corpo contenuto e senza eccessivo tenore alcolico, come molti IGP umbri

L’olio una DOP DEI Monti Martani

I luoghi Moltissime trattorie umbre specie nel periodo di massima disponibilita’ dello scorzone, da luglio ad ottobre

Senti l’estate che torna. Oggi , dopo il Covid, allora …

titolo di un fantastico, sul finire dei sessanta, pezzo de “Le Orme” gruppo di rock progressivo d’avanguardia che disegnava le mie emozioni musicali da adolescente, con Aldo Tagliapietra in Jesus scampanati e svaroski, capelli a mezze spalle e Rickenbacker da sogno per me che strimpellavo Eko da 10.000 lire. Tra queste sonorita’ passava il tempo mio e quello di una schiera di adolescenti della provincia umbra piu’ recondita , l’alto orvietano paesano, nati nei primi cinquanta o giu’ di li’, salvi i frequenti brek gastronomici, dove a piu’ concrete dolci realta’ mi restituiva mia madre Gina, come a d esempio “il budino” ovvero latte alla portoghese, che non e’ per niente un cream caramel, e di cui mi sorella Letizia ha gelosamente conservato la ricetta

N.89 – LATTE ALLA PORTOGHESE DI MAMMA

Occorrono sei rossi d’uova da sbattere con sei cucchiai di zucchero insieme ad un litro di latte bollente, una buccia di limone, sei albumi montati neve e una tazzina di caffe’, mescolando il tutto in uno stampo d’alluminio di giusta forma e misura nel cui fondo avremo versato dello zucchero con un poco d’acqua per ottenere il caramello di copertura. Immergere poi lo stampa in una capace pentola per 3/4 , coprire e far bollire per un’ora , avendo cura di versare l’impasto avanzato man mano che il composto si ridurra’ in cottura per colmare la misura. Volendo, potete arricchire con uno stelo di vaniglia e polvere di cioccolato amaro Perugina

La via del pecorino, preziosa come quella della seta, si snoda dalla Sicilia alla Toscana in particolare, e, per “erbali fiumi silenti” attraversa l’Umbria di Castelluccio, dove i pastori transumanti migravano nel tempo di settembre, sempre ricordando il Poeta, ma anche le parti nostre piu’ vicine, regalandoci formaggi di rara bonta’, da apprezzare tal quali, freschi o stagionati, cotti e crudi, sempre accompagnati da un buon bicchiere di vino, meglio se bianco , secco e fresco. Una eccellenza frugale, quella del cacio di pecora, che voglio ricordarvi nella forma “sguagliata” che mi madre era solita prepararmi per colazione in quei lontani e mitici anni 60.

Occorre solo ricotta di pecora freschissima, zucchero e caffe’ . L’abilita’ consiste esclusivamente nel maneggiarla bene cosi’ da rendere l’impasto giustamente cremoso. Per i piu’ golosi , si potra’ aggiungere un po’ di crema di gianduia od anche della piu’ reperibile Nutella, che sara’ commerciale quanto vi pare ma pur sempre…Nutella!

Il vino Un mio caro amico di S Maria di Monteleone d’Orvieto, che apprezzava il vino, mi diceva che non mangiava la ricotta perche’……”nun ce se beve il vino!”

I luoghi A casa e nelle trattorie dove offrono ricotta vera.

N.88 – Formaggio fresco di Greppo Lischieto su pane di Strettura con patate di Colfiorito e guanciale nostrale

Tagliate nel mezzo verticalmente una pagnotta di pane di Strettura, meglio del giorno prima. Scavate tanta mollica da far spazio ad una formetta del cacio di Greppo lischieto, infornate a 180% involgendo il tutto con carta di alluminio, per 30 minuti insieme, ma con propria teglia, alle patate prima lessate e poi avvolte nel guanciale, stesso tempo e stessa temperatura. Buon appetito

Il Vino Un bel rosso di corpo, anche un semplice ma importante Sangiovese igp Umbria

Mio fratello Paolo, negli anni settanta, prima di esser assunto all’INAIL, aveva svolto per un lungo periodo l’attivita’ di medico condotto, cosi ‘ si diceva, a Montegabbione. Borsetta tonda alla mano, si reco’ una volta presso un contadino che abitava in una casetta sullo “scapicollo” che guarda Monteleone, precisamente San Lorenzo. La moglie dell’omino ci offri’ un uovo fresco “sudato” sotto la brace e da bersi crudo, come facemmo intanto che osservavamo la stessa intenta a cuocere un sedano ripieno, secondo la maniera veronese e, per quello nero, trevinana ma a modo suo, senza che nessuno glielo avesse insegnato se non forse la madre o la nonna.

N.87 – SEDANO ALL’USO DI TREVI CON VARIANTE

Procuratevi un bel sedano, nero se possibile, fatelo bollire quanto basta per conservarlo morbido ed integro. Tagliatelo orizzontalmente in due parti e riempite l’incavo con un bel sugo di carne bovina e salsiccia che avrete preparato secondo l’uso tradizionale. Torcete un poco il sedano quasi a richiuderlo, passatelo al forno dolce per 15 minuti poi nella pastella e quindi friggetelo. Potete aggiungere se volete mozzarella, formaggi morbidi o besciamella.

Vini Come tutti i fritti, un bianco secco e fresco, tra i tanti d’Umbria

I luoghi La ricetta e’ tipica di casa

I pagliari o pagliai vivono ancora nella mia memoria anche se, mi rendo conto, intere generazioni, le piu’ giovani almeno, non li hanno mai visti, al massimo limitandosi alle per nulla poetiche rotoballe (ma ve lo immaginate Van Gogh se avesse dipinto campi arsi di giallo invasi da questi orribili rotoloni!) .Insieme ai pagliai l’aia , sull’aia i pranzi di trebbiatura, sui tavoli all’aperto con, per prima cosa, i crostini di fegato bagnati da un goccio di brodo d’oca:. Calde e polverose estati di tanti anni fa, cibi semplici d’Umbria contadina, replicabili con qualche suggestione nordista anche sulle tavole d’oggi

N.86 Tagliolini in brodo di coda di manzo e gallina vecchia con i fegatini di pollo

Provate a fare in casa i tagliolini , la cui vera difficolta’ sta nel tagliarli finissimi ( soccorre alla mente Luciola d’Angelino Ciampani nella Monteleone d’Orvieto che,negli anni settanta ,stagliuzzava capelli d’angelo, piccole nubi di sottilissima pasta di casa, irripetibili !) altrimenti ricorrete alla Coop. Fate un bel brodo di coda di manzo e gallina, profumato di sedano , carote e cipolla , carne che utilizzerete per il secondo (io ho fatto una bella vaccinara!) e, a parte, preparate i fegatini di pollo secondo la tradizionale ricetta che vuole burro, acciughe, salvia, rosmarino e capperi cotti morbidi in padella . A cottura ultimata, tagliate i fegatini in piccoli pezzi ed aggiungeteli al brodo caldo nel quale farete cuocere i tagliolini. Una golosita’!

I luoghi Troverete un piatto simile in molte trattorie ….venete mentre in quelle umbre saranno reperibili con piu’ facilita’ i crostini di fegato: Quindi , la minestra va fatta a casa!

I vini Un bel bianco d’Umbria, magari un Orvieto classico abboccato

Costituiscono uno sfizio popolare facilmente realizzabile, in casa, con modica spesa. Per questo da noi in famiglia, in anni passati ed ancora, si utilizzava frutta e verdura sulla tavola di cena, per stare leggeri e gustare della sapidita’ di questi semplici e preziosi doni della terra, di diversa provenienza ma componenti tradizionale della nostra cucina povera regionale. Posso suggerire una variante con pesce “ambiguo” come l’anguilla.

Insalata di arance, finocchi, pere ed anguilla

Occorre una bella anguilla o capitone, quelle grossa per capirci, da sistemare come abbiamo gia’ in precedenza illustrato: Infiliamola quindi sullo spiedo con l’alloro o, in mancanza, in forno, con cottura lenta a 180 gradi e sfiammata finale a 220, attenti a non perdere il grasso della pelle seccandolo troppo. Nel frattempo, avremo tagliato orizzontalmente una o piu’arance, pulite delle pere dure e spezzettato un finocchio, disponendo il tutto su piatto di portata e condendo con stravergine d’Umbria, sale, pepe e finocchietto selvatico. A questo punto, uniremo l’anguilla che saleremo leggermente ed il suo intingolo, magari aggiungendo mirtilli , ribes e more per bilanciare l’acidita’ .

I luoghi solo a casa

Il vino Orvieto Classico abboccato

salutava Giampiero Pattuglia, fornaio a Monteleone d’Orvieto, gia’ fante piumato in forza della sua altezza non proprio watussiana, lo Stefano Lombroni da me inviato a rifornirsi di pagnotte, confondendolo col fratello Massimo che per i bersaglieri aveva servito come complemento, diversamente da lui che proprio non aveva servito, comportandosi un po’, come ricordava D’Annunzio nella prefazione alle Osterie d’Italia di Hans Barth, come colui che confonde” il latino dei Clerici con quello di Orazio”. Comunque , il pane era destinato all’osteria abusiva, non censita, ratione temporis,dal sitibondo crucco, che avevamo impiantato li’ dal Giuliano Vanni, dove preparammo uno splendido agnello condendolo con lo zucchero invece che con il sale. Stante la piacevole combriccola, ci piacque lo stesso ed in particolare

N.84 – I ROGNONI IN PADELLA

che gustammo in separata sede. Questo interiore dell’abbacchio viene spesso considerato uno scarto non adatto alla cucina. Grave errore: Bastera’ semplicemente mettere i rognoni per un po’ sotto l’acqua corrente, poi pulirli da qualche eccesso di grasso, macerarli rapidamente in buon aceto di vino, salarli e peparli, farli cuocere in padella a fuoco non troppo forte ed appena divenuti croccanti gustarli , aggiunti di un filo di stravergine nostro,per quello che sono, una leccornia della cucina povera umbra.

Il vino Un bianco fresco d’Umbria, come quelli di Assisi

I luoghi Per forza a casa, in tempo di Pasqua e Corona

Il cibo al tempo della leva e’ stato per me quello consumato nell’estate del 74, di stanza e di complemento al Reparto Armaioli di Terni, commensale obbligato del Circolo Ufficiali a 1.000 lire al giorno, con cuoco un soldato grasso, basso e tondo che propinava, solo di domenica , un piatto per nulla raffinato e rubricabile tra le cucine degli avanzi, ma cosi’ buono da perdonargli le indiscusse magagne disciplinari (dormiva su di una branda rovesciata non allineata e noi zitti in quanto minacciava il Guttalax nei piatti!): Quasi mezzo secolo dopo, ho ancora nel naso e nel ricordo quel

Occorre un bel “ maccarone “, per esempio i rigatoni Bella Italia dell’Antico Pastificio Umbro di Foligno nella loro splendida confezione riproducente il Teatro delle Marionette del Carnevale di Venezia, trafilati al bronzo ed a lenta essiccazione, mozzarella poco liquida e saporita come quella di Colfiorito, burro e parmigiano, sugo di carne. Fate lessare i maccheroni in abbondante acqua salata e stendeteli su di una teglia imburrata, soprapponendo ad ogni strato uno di mozzarella a fette sottili, burro e parmigiano,il sugo di carne e cosi’ via, avendo cura di completare l’ultima stesa di parmigiano solo verso la fine della cottura che dovra’ avvenire per qualche minuto in forno caldo a 180 gradi e qualche altro a 220 per ottenere la crosticina e la croccantezza del piatto. E’ possibile ed anzi consigliabile utilizzare i maccheroni cosi’ conditi avanzati il giorno prima.

I luoghi Penso solo a casa vostra

I vini Un rosso di discreto corpo come IL Decugnano dei Barbi rosso Umbria

Oggi, per scherzare e un po’ spezzare la consueta narrazione, appena Carnevale, tra strufoli e cicerchiate nostre, fritti, mi raccomando, solo con lo stravergine d’Umbria aggiunto di burro chiarificato per aumentare il punto di fumo, una bella canzoncina…..anche per sfottere un po’ i grandi chef!

Ma che bonta’, ma che bonta’, ma che cos’e’ questa robina qua? Mmm!

Vitello delle Ande? Bovino della Gallura? Barolo delle Langhe? Aleatico dell’Elba? Cioccolato svizzero? Cacao della Bolivia? Cacca!?!?

Da “Ma che bonta’” di Enrico Ricciardi, pezzo del 1977 cantato da Mina. Geniale!

N.82 – IL ROAST BEEF DI MAMMA GINA

era cucinato da mia madre in suo particolare modo, si da somigliarsi poco al classico rost-beef all’inglese, scuro all’esterno e rosa nel cuore. Il nostro era invece di medesimo colore dentro e fuori, pur riuscendo morbidissimo. Mia zia Luciana , gia’ professoressa di scienze , ora alle soglie dei novanta, grande amante della buona cucina e donna di gusto, mi ha detto qualche giorno fa, quando sono andatoa Sangemini a salutarla, che, pur con la stessa ricetta che gli aveva dato mia madre, il rosbiff di cui trattasi non gli riusciva uguale. Vediamo allora di raccontarlo traendolo dalla mia memoria gastronomica familiare. E’ necessario un controfiletto, meglio di chianina IGP umbra, speziato con aglio rosso di Colfiorito e rosmarino, adeguatamente salato e pepato. A parte, preparate un salmoriglio semplicissimo di olio stravergine d’Umbria, brodo di carne od anche di dado, un poco di sale , vino bianco secco qb e un po’ di succo di limone in foglia che terrete da parte. Oliate una padella capace e fate perdere , a fiamma bassa, liquidi al pezzo di carne. Continuate la cottura girando il controfiletto ogni tanto aggiungendo gradualmente il salmoriglio fintanto che, alla fine, avrete ottenuto una carne morbida alla forchetta e cotta in modo omogeneo anche all’interno, che, se rimarra’ piu’ rosa, andra’ bene lo stesso anche se non sara’ cosi magico come quello di mamma.

Il vino Un bel rosso tannico e robusto, sempre d’Umbria

I luoghi Ogni tanto dal Conte ad Orvieto

Delle dolci acque d’Umbria ne abbiano gia’ parlato in questa nostra rubrica breve per raccontare di tante nascoste specialita’ gastronomiche lacustri, poco apprezzate stante consolidata tendenza che tende a privilegiare, ingiustamente, le cugine maggiori di acque salate :per la verita’, io stesso ho scarse frequentazioni lacustri locali o no, con piccole eccezioni su Bolsena. Per il resto, straio, ombrellone e sapore di sale. Solo in cucina mi sono dilettato di pesce di lago, con risultati alterni in quanto ognuno dovrebbe stare sul suo ed i cuochi non si in; tuttavia, voglio suggerire una ricetta provata e che reputo ben riuscita quanto di facile realizzo

N 81 – IL COTECHINO DI MARE

Procuratevi diverse spezzature di pesce di lago, evitando, se possibile, quelle eccessivamente spinose, preferendo lo sfilettato. Marinate il pesce con pepe verde a grani, qualche ago di rosmarino, zenzero e magari, se piace, origano ed altre spezie mediterranee, affogando il tutto in vin d’Orvieto secco .Lasciate al mollo ed al fresco per una notte, quindi recuperate la polpa , tritatela non troppo finemente bagnandola di olio e limone con aggiunta del pepe a grani e dello zenzero recuperati dalla marinata.Infilate il tutto in un budello sintetico, quello ordinario per salsiccia, e fate cuocere il salame in acqua aromatizzata con quel che resta della marinata e brodo vegetale. Raggiunta che sia la giusta consistenza, affettate il cotechino che servirete caldo accompagnato da una purea di patate.

I Luoghi Solo a casa

L’olio Stravergine di oliva sottozona di Soleto.

Piu’ della memoria visiva, soccorre allo scritto quella olfattiva che mi ha riportato, nelle appena trascorse vacanza natalizie, a quei giorni di fine dicembre sul calare degli anni 50, a Sangemini, quando mia madre Gina, cuoca straordinaria, preparava il panpepato, insuperabile dolce ternano, dove si accavallano sentori di spezie ed aromi di frutta secca, miele e caffe’, assemblati con forza nella farina sopra la spianatoia. Mia sorella Letizia e’ certo tutor di tanto dolce tradizione e non mi ha fatto mancare, neanche quest’anno, l’assaggio di un

Spezzate mandorle e noci e fate rinvenire un po’ d’uvetta. Scagliate del cioccolato fondente e tagliate a cubetti del cedro candito. Mettete quindi in un recipiente la frutta secca, una scorza grattugiata di arancia, il cedro insieme a cannella, noce moscata e pepe. Aggiungete il cioccolato sciolto in bagnomaria insieme a miele e mescolate bene il tutto con vinsanto e caffe’. Versateci sopra cacao dolce ed amaro e farina, dategli forma di panpepato e ponete i cupolotti su di una teglia con cartaforno. Fate riposare un quarto d’ora e mettete al forno a 150 gradi per mezz’ora. Gustate freddo

Il Vino Vinsanto d’Umbria o muffato o vendemmia tardiva di Orvieto

I luoghi Qualche trattoria ternana

Un tempo, in Umbria, si allevava la capra facciuta, piu’ precisamente in Valnerina, anche in quel di Monteleone di Spoleto, dove proprio dopodomani si celebra l’antico rito della minestra di farro di S.Nicola distribuita dal locale parroco in ricordo della venuta del Santo in quella terra alta e fredda e si vende alla fiera quella carne. Oggi, qualche avventuroso pastore fa pascere ancora quegli ovini (uno anche a Narni) che danno capretti dalle carne eccellente. Ne mangiammo una volta con l’amico Giorgio Massarotti di S.Lorenzo di Monteleone, stavolta di Orvieto, nascosti tra il pino nero del Peglia, cucinati come segue , con la specifica che l’amico di tordi ne mangio’ ben otto.

N.79 – CAPRETTO DI FACCIUTA RIPIENO DI TORDI

Fate cuocere il capretto in forno a legna ben caldo, cioe’ col tetto bianco, dopo averlo picchettato di sale, pepe, rosmarino e lardelli di maiale e ben unto d’olio stravergine nostro d’Umbria, tenendo a mente la regola di un’ora ogni due chili di peso, bagnando di tanto in tanto di vino bianco secco d’Orvieto. Nel frattempo, avrete fatto girare sullo spiedo senza brace sotto due tordi a persona, salati ed aggiunti di una bacca di ginepro sotto le ali, con la tradizionale cottura lenta o veloce secondo il volo dell’uccello. Terminate che siano le due cotture, avrete cura di inserire nella pancia del capretto i tordi gia’ cotti, facendo scaldare ancora in forno il tutto per un quarto d’ora ulteriore. Servite dopo aver richiuso con spago di cucina l’animale, presentandolo intero contornato di raponzoli od altra erba di campo.

I luoghi I focolari di casa

Il Vino Rossi potenti d’Umbria

Nei secondi settanta, mio cugino Giuseppe, in quel di Sangemini, si era procurato un piccolo cane da tartufo, pagandolo una somma per lui molto alta a quel tempo. La bestia si rivelò poi solo animale da ingrasso, attesa la sua totale incapacità olfattiva, si da considerarlo affetto da sinusite cronica. Collocato diversamente il cane, ci rifacemmo della voglia di tartufo in una trattoria sui Monte Martani, proprio la sera prima del terremoto della Valnerina che ci coinvolse appieno la mattina successiva verso le sette, con pioggia di calcinacci ed intonaci sulla testa e sui corpi coperti di sole mutande ,distaccatisi subito dopo il terribile boato che ci risveglio’. In ogni caso, da allora e nonostante il ricordo di paura, il tartufo fa parte della mia cultura delle eccellenze culinarie d’Umbria, da Norcia, per il nero pregiato, a Citta’ di Castello e Fabro per la trifola bianca, un po’ ovunque per lo scorsone. Tra i possibili utilizzi, ne consiglio uno, appunto la polenta con la trifola o il nero di Norcia

Utilizzate la polenta tradizionale a grana grossa e giratela un’ora sul pentolone, dividendo l’onere della giratura tra più persone perché la polenta richiede convivialità. Stendetela calda sulla spianatoia in legno e mai sul piatto, quindi cospargetela abbondantemente di tartufo, nero o bianco che sia ma non scorzone.Volendo, potrete distribuire sulla polenta un uovo sfrittellato a testa.

I luoghi Macerino, sopra Acquasparta, a casa della Maestra.

Il Vino un rosso di corpo come il Malbec di Poggio Cavallo di Orvieto

Nel piovoso agosto dell’ottanta, a Monteleone come al solito, notai, annoiato al bar della Benna, un via vai curioso e silente di gente con i cesti in mano, accuratamente ricoperti “Che porte?” “So rovole!” “Ndo lae trovate ! “Verso Piegaro!” “Famme vede!” Scoperto il cesto apparvero arancioni e trionfali, anzi cesarei, una decina di ovoli boni, anzi bonissimi. Decisi allora di attrezzarmi ed il mattino dopo mi avviai verso il Ripignolo, fiume sacro di quei confini e, a sera quasi tardi, dopo gia’ esser tornato una volta a casa, contai 132 ritrovamenti:non importa se non ci credete, e’ veramente vero. Come fare per cucinarli, essendo fungo che poco e niente si presta all’essiccazione odal sottolio. Vi racconto un modo

N.77 – INSALATA DI OVOLI E PERE

Procurarsi ovoli non e’ per nulla facile, neanche a caro costo. Ipotizzando comunque una loro disponibilità ,vi armerete di un tagliatartufi con il quale otterrete delle sottili lamelle dal fungo. Contemporaneamente, tagliate sempre a lamelle una pera di quelle belle sode, aggiungendo noci sgusciate e pistacchi e, soprattutto, erba di campo, meglio se raponzoli. Mischiate il tutto aggiungendo sale e e pepe.

Il vino Provate un rosso di buon corpo, ricorrendo con fiducia al noto Sagrantino

I luoghi D’autunno, in qualche trattoria di territorio, tipo Gianfranco sopra Fabro

Riccardo Salticchioli di Porano, un tempo artigiano barbiere, è un cuoco di paese, bravo, appassionato e… curioso. A lui si deve una ricetta specialissima di cottura del coniglio, materia prima che reperiva presso alcuni fratelli contadini, ora scomparsi, che vi racconto

N. 76 – CONIGLIO NOSTRANO ALLO SPIEDO

Procuratevi un coniglio nostrano di quelli grandi, fatelo a pezzi non molto grandi ma giusti, e mettetelo ad insaporire per un giorno in una bagna di vino bianco, salvia, rosmarino e, io dico, un po’ di menta piperita insieme ad abbondante finocchio selvatico e bacche di ginepro schiacciate. Tolto dalla marinata, il cui liquido conserverete per la cottura, infilate i pezzi in uno spiedo sopra ad una brace abbondante di affrico e cerro, ad ogni pezzo di coniglio, avvolto nella ratta di maiale, seguirà un pezzo di gunciale di maiale, una foglia di salvia ed una di alloro, un pezzo di pane secco casareccio, sale e pepe quanto basta. Portate a cottura bagnando di tanto in tanto col vino della marinata e stravergine d’oliva umbro.

I luoghi A Porano su invito, da Riccardo che sta a risistema’

Il Vino Un bel bianco d’Orvieto, foss’anche un Cervaro della Sala6

Mia moglie Antonella, tra le altre doti, possiede quella di fare gli gnocchi in maniera pressoche’ perfetta, cosi come gli umbrichelli trattati con la chitarra. Non poco per una che di professione fa la Consulente del Lavoro. Non so che patate usi, certo non quelle novelle che tendono letteralmente a scomparire in acqua ,forse le rosse di Colfiorito, ma l’impasto risulta morbido e maneggevole. La cottura brevissima con lo gnocco a galla sara’ completata da sugo che potra’ essere il tradizionale ragu’ di carne o semplice pomodoro e basilico od anche in bianco di piu’ formaggi e pepe. Qui suggerisco il ..

Procuratevi della polpa fresca di cinghiale possibilmente giovane e lasciatela marinare un giorno in buon vino rosso, alloro , pepe in grani , salvia , rosmarino , sedano, carota e cipolla di Cannara. Procedete quindi a passare nel tritacarne domestico meta’ della polpa , il resto tagliatela piccola a coltello.In una padella capace versate olio stravergine di oliva rigorosamente umbro e d un grosso spicchio di aglio che toglierete non appena indorato per fare spazio a sedano, cipolla e carota tolte dalla marinatura e finemente tritate. Fate soffriggere ed aggiungete la polpa di cinghiale insieme a sale ed un po’ peperoncin. Lasciate che la carne divenga di un bel colore bronzo per aggiungere foglie di alloro e vino della marinata un po’ alla volta, insieme a due o tre chiodi di garofano. Lasciate cuocere lentamente su fiamma moderata per almeno tre ore e piu’ e solo infine aggiungete un po’ di cioccolato amaro finemente tritato.Fate riposare una decina di minuti ed aggiungete la salsa sugli gnocchi appena scolati,

I luoghi Molte trattorie umbre

I vini e l’olio Rossi di corpo dell’Umbria e moraioli in purezza

L’oca nel suo grasso e’ metodo ormai desueto di conservazione del volatile ma di particolare valore aggiunto, passate il termine in considerazione della mia professione, e di grande originalita’ sia nella conservazione sia nella degustazione.

Procuratevi innanzitutto un capace recipiente di vetro a chiusura ermetica, il buzzicone appunto ed un ‘oca bella grassa , maturata proprio ad agosto. Pulite bene il volatile,svuotatelo delle interiora con cui farete eccezzionali sughi,e taglaitelo a pezzi abbastanza grossi, preservando integre le cosce.Fate bollire lungamente l’oca in acqua salata, schiumando e conservando il grasso di cottura a bagno maria. Tirate fuori l’oca completanete bollita, fatela freddare e procedete come segue: sul fondo del buzzicone stendete uno strato del grasso, foglie di alloro e rametti di rosmarino, qualche vago di pepe e sale grosso, quindi uno o piu’ pezzi di oca e cosi’ via fino a completamento. Se dovesse non bastare il grasso di cottura potrete , in quantita’ moderata,aggiungere dell’olio di oliva stravergine umbro trattato con succo di limone. Chiudete ermeticamente il barattolo dopo aver aggiunto un sfoglia di carta da forno sull’ultimo strato. Potrete conservare il prodotto per mesi e cucinarlo poi come meglio credete.

I luoghi Probabilemte solo a casa

Il Vino Varia al variare delle cucine adottate ma l’oca nel suo grasso preferisce vini tannici, come molti rossi d’Umbria.

Quante volte, dietro nel tempo, sara’ capitato a quelli piu’ adulti d’imbattersi in quelle piccole, calde ed intensamente odorose cucine di casa in Umbria, dalla cui stufa economica uscivano sentori d’arrosto, di sughi casalinghi, di quelle buone cose di pessimo gusto, per dirla col Poeta. Uno di quegli odori che mi porto ancora dentro e’ quello del salmi’ insieme alla faraone, questo saporitissimo volatile diffusissimo nelle nostre campagne

Faraona in salmi’ ovvero alla ghiotta – Parlando di palombe, abbiamo gia’ ben specificato come procedere per la ghiotta autentica. Quella che vi propongo e’ una edizione ridotta e semplificata, assai piu’ semplice. In una capace padella ponete olio stravergine umbro insieme al consueto aglio rosso di Colfiorito in camicia,lasciate scaldare ed aggiungete i pezzi di faraona gia predisposti e salati, fino a colorirli sempre a fuoco lento. Nel frattempo, avrete prediposto una salsa con polpa di olive nere o moraiole , un po’ di peperoncino, le interiore pulite e tritate dell’animale, un rametto di rosmarino, salvia ed una buccia di limone con qualche oliva intera, il tutto ristretto in vino rosso di buona qualita’ tipo Sagrantino . Composta che sia la salsa, la verserete sul volatile che avra’ preso colore, un bel marrone intenso, fino a cottura, avendo cura di aggiungere, di tanto in tanto, un po’ di vino ed acqua per allungare. Servite caldissimo su crostoni di pane di Stettura bruscato.

Il vino Sagrantino di Montefalco di uno dei tanti produttori di qualita’ tra Bevagna e Montefalco

I luoghi Trattoria da Sara a Moricone di Narni

All’inizio degli anni ottanta, in delegazione con Franco D’Aloia, cult del canottaggio italiano, ed al compianto amico Valentino Paparelli, studioso di costume regionale umbro e direttore dell’allora Azienda di Turismo di Terni, ci recammo in Bulgaria , nei pressi di Sofia, per stabilire relazioni con le autorita’ locali ai fini dell’organizzazione dei campionati internazionali di canoa a Piediluco. In quell’occasione, ebbi modo di gustare la vera cucina giapponese (in Bugaria si trovavano allora solo ristoranti etnici) con la mirabilia di un vero cuoco maestro di coltello che ,in un attimo, trasformo’ di fronte a noi dei filetti di spigola in una splendida rosa bianca dalle sfumature purpuree.Oggi molti ristoranti sedicenti giapponesi sono veri e propri cessi gastronomici dove proprinano riso bollito aggiunto di salsa piccante avvolto in pelle di apparente serpentello in 150 varieta’ tutte uguali. Lo stesso riso con cui in Italia ed anche molto in Umbria si preperano i

Cuocete abbondante quantita’ di riso, il carnaroli va benissimo,in abbondante acqua salata ed a meta’ cottura aggiungete salsa di pomodoro insaporita a parte con rigagli di pollo chiudendo la cottura con parmigiano in ricca dose. Fate stiepidre e gustatevi il risotto avendo cura di lasciarne una certa quantita’ per i suppli’ del giorno dopo., trascorso il quale formerete i suppli’ nella nota forma,avendo cura di inservi un filetto di mozzarella, dopo averli imbevuti in uovo fresco e pane secco tritato fino. Friggete in olio di oliva stravergine umbro e con un pezzetto di burro chiarificato per via del punto di fumo e gustate caldissimi. Altro che sushi!

Il vino Un bel bianco giustamente acido d’Umbria per controbilanciare la basicita’ indotta dalla frittura

I luoghi A Perugia, l’Altro Mondo

N.71 –  COLLO D’OCA RIPIENO

E’ necessario il collo di un’oca grossa e grassa, da privare dell’interno, recuperando la pelle in maniera la più integra possibile. Sbollentate il collo cosi’ lavato in acqua salata per renderne piu’ facile la lavorazione, raffreddatelo. A parte, avrete predisposto un impasto di salsiccia fresca, interiori dell’ oca e ritagli di carne della stessa tritati, pan grattato, prezzemolo, erba cipollina, scaglie di aglio rosso, parmigiano grattugiato, olio stravergine umbro, sale e pepe. Spalmate quindi l’impasto sula collo allargato, richiudetelo e cucitelo con spago da cucina anche nelle sommita’, mettendeolo quindi a cuocere in salsa di pomodoro in una capace padella oleata. La cottura sara’ teminata quando il collo farcito si rendera’ giustamente morbido. Lo potrete gustare a fette da solo o come condimento di tagliatelle di casa.

Il vino Va bene un rosso di buon corpo, un sangiovese di una delle tante cantine umbre

I luoghi Maria Castrini, a Collazzone , ai Morti di Fame.

Il Preside Prof Adamo Bonagura era considerato un po’ il terrore di noi liceali di quegli ultimi anni sessanta ad Orvieto. armati di eskimo e megafono contro la sua severita’ tardottocentesca . Doveva essere, in fondo, un liberale illuminato e non quell’ultraconservatore per il quale passava cosi’ da consentirci, fatto inusuale in tutta Italia, i 15 minuti di ricreazione in libera uscita. Cosi’ alle 11 in punto, il corso si riempieva di centinaia di ragazzi che eravamo noi in quegli anni, di risate, di tollerati schiamazzi ed anche di profumi di pizza e calzoni , della panna di Adriano e dei panini di un generi alimentari che si trovava li dove oggi vendono mutande e calzini. Io amavo un particolare tipo di panino, di cui oggi si conserva solo un lontano ricordo e piu’ precisamente

N.70 – SFILATINO CON IL TONNO

costituito da uno sfilatino lungo e croccante, caldo di forno, guarnito di lattuga fresca, sott’oli del buzzico di vetro fatti in casa che troneggiava sopra lo scaffale centrale in legno e buona quantita’ di tonno sott’olio oltre ad un tovagliolone di carta di protezione alla succulenta untuosita’ del prodotto. Il generi alimentari non c’e’ piu’ da anni, ma farlo a casa è facile, con la sola avvertenza di svegliarsi alle cinque come facevo io per prendere il postale da Monteleone ad Orvieto e fare poi colazione, alla 11 in punto

Il Vino Noi accompagnavamo, almeno l’ultimo anno di liceo, lo sfilatino col procanico di Foresi, li a piazza del Duomo.

Le merende antiche erano semplici, mai confezionate e fatte solo da nonne e mamme. Cosi’ sul finire degli anni Cinquanta del secolo scorso, mia madre Gina, puntuale alle cinque del pomeriggio, chiamava me bambino a rapporto, col duplice risultato di esercitare un efficace controllo di presenza sul territorio e di consentire allo sfamamento infantile. Vediamo una di queste merende,un po’ rivisitata, che si alternava a pane, zucchero e vino ovvero alla fettina di carne fresca con sale o limone, altr che salumi e fostati o dolciumumi impiastrati.

Occore solo del pane casareccio o cotto a legna del giorno avanti, tagliato a cubetti e fatto bruschettare in forno o, meglio, sulla brace. Sopra al pane, metterete pomodoro di campo a pezzetti, basilico fresco e qualche foglia di menta, dopo averlo abbondantemente imbevuto di olio stravergine d’oliva, un po’ d’aceto di casa e sale q.b. Lasciatelo mezz’ora in infusione. Non guasta aggiungere un cetriolo fresco e un po’ di sedano.

Il vino Un bianco freschissimo d’Umbria, asciutto.

I luoghi Di certo in casa, ma anche in qualche vecchia trattoria

L’olio Solo stravergine umbro, come quello del molino Brizi di Orvieto.

Cotto in padella con la tecnica dell’arrosto morto, da bambino, da ragazzo e da adulto (consentitemi di fermarmi qui) mi e’ parso sempre prelibatezza assoluta tra le non poche altre dell’Umbria contadina ormai quasi sparita. Tuttavia, in quest’Italia, gastronomica cosi’ diversa e variegata, il volatile di cui trattasi non trova identico apprezzamento ovunque, cosi’ che una volta, a pranzo da mia sorella ad Orvieto, un amico bolzanino del Val Gardena, ospite gradito, rimase sorpreso da questo piatto si’ da esclamare “Ma i piccioni si mangiano dalle vostre parti?” Ja, mein camerata, si mangiano eccome, con questra apprezzabile procedura, la piu’ golosa ma non certo la sola

N.67 – IL PICCIONE RIPIENO Considerando un piccioncino per uno, spiumate il volatile e svuotatelo, conservando ventrigli, cuoricino e fegatini. Nel frattempo, preparate un ripieno con pan grattato o meglio mollica bagnata ,mentuccia, aghi di rosmarino, aglio rosso, sale e pepe e poco olio stravergine rigosoramete umbro, a cui aggiungerete le interiora che avrete scottato ed insaporito brevemente in padella, amalgamando il tutto fino ad ottenere un impasto cremoso che riporrete all’interno del piccione, dopo averlo salato e pepato. Sistemate il tutto in una padella cosparsa di olio di oliva stravergine, spicchio di aglio in camicia ed iniziate la cottura a fuoco lento, aggiungendo gradualmente vino bianco secco da sfumare, coprendo il tutto.La cottura sara’ ultimata non appena il piccione apparira’ opportunamente colorito e giustamente morbido. Contornate con verdure cotte di campo.

I luoghi A Todi, la trattoria Umbria

I Vini Si puo’ provare un bianco, sia un grechetto che un Orvieto classico, anche abboccato od un rosso di medio corpo

era costume giovanile estivo per noi bardassi negli anni settanta, dopo averle pescate, con non poca fatica, negli stagni o giu’ al Ripignolo tra Monteleone e Fabro con la tecnica del fiore rosso di papavero o con improbabili mazze chiodate o con lampade a carburo, immersi in acqua con sole mutande Cagi ed esposti a dolorosissimi pizzichi di zanzare. Oggi, da quelle parti, reputo siano rimasti solo pappataci, essendo di certo scomparsi stagni ,ricagnoli e ranocchie. Si trovano comunque congelate, nella parte vietanamita dell’Umbria, vicino Ho Chi Min, in localita’ Pronto Green a Perugia comunque gradevoli ed buone per gli

N.67 – SPAGHETTI CON LE COSCE DI RANA

Servira’ un chilo circa di cosce intere di rana per quattro persone. Fate bollire le cosce in acqua salata, scolatele e spolapatele, privandole degli ossicini. A questo punto, ponete la polpa a soffriggere in olio stravergine umbro, glio rosso in camicia di Colfiorito, aggiungendo conserva triplo concentrato diluita in vino bianco secco. Fate consumare il tutto ed aggiungete il sugo cosi’ ottenuto agli spaghetti, cospargendo il tutto di prezzemolo fine e pepe a mulinello.

Il Vino Orvieto classico abboccato

I luoghi Tavernelle vicino Perugia, sagra della granocchia.

e’ stato veramente un nobile se non di sangue certamente d’animo. Se ne andato qualche giorno fa lasciando una traccia indelebile per chi lo ha conosciuto di uomo semplice , attaccato alla famiglia ed amico degli amici. Ricordo una volta, ormai anni fa, che, rivolgendosi ad un avventore tardivo per pranzo dellla sua trattoria di confine tra Orvieto e l’alto Lazio, in localita’ Buonrespiro, che chiedeva, quasi di primo pomeriggio, se si potesse ancora mangiare, rispose “Senz’altro, verso le sette e mezza!”. Cultore del cibo casareccio e del buon vino, proponeva tra l’altro alcune specialità mutuate dalla cucina romanesca in mezzo all’Umbria dei raponzoli e dei budelluzzi, come la

tipica del Mattatoio vecchio di Roma, paga degli scortichini, comunque conosciuta nel ternano, si ottiene da una lunga cottura della coda del manzo, tagliata ad anelli, stufata a fuoco lento per almeno tre ore,con sedano di pari peso della carne, carote e cipolla soffritta in stravergine nostro col solito aglio rosso in camicia, sfumata di vino rosso , coperta di pomodoro con sale e pepe quanto basta ed aggiunta infine di un po’ di polvere di cacao amaro. Sara’ cotta solo quando la carne si stacchera’ dall’osso.

Il vino Provate un bel rosso della Cantina Neri di Orvieto

I luoghi ovviamente la trattoria del Conte a d Orvieto

non e’ solo quella persa da Cenerentola allo scoccare della mezzanotte correndo via dal Principe ballerino ma, per noi delle campagne d’Umbria e non solo, e’ il pezzetto di pane intinto nel sugo o girato nel piatto a mo’ di golosa pulizia dello stesso. Per nulla elegante, risulta tuttavia una modalita’ di assunzione del cibo non suscettibile di sparizione, cecche’ Monsignor Della Casa o Cencio de Meco de Buconi ne dicano. Occorrono pero’, oltre ad una adeguato luogo dove esercitare il quasi truculento rito, due sostanziali elementi , cioe’ il pane di casa o di forno a legna ed un sugo saporito e rustico

N. 65 – Scarpetta col sugo rosso forte di chianina

Il pane potrà esser quello di Strettura o, se siete fortunati, quello sfornato da qualche forno contadino ancora in funzione. Per il sugo, procuratevi un bel pezzo di chianina, anche le parti meno nobili, che mischierete al ginocchio di vitello, le zampette pulite di pollo e qualche pezzetto di maiale. Preparate un soffritto con olio extravergine umbro con cipolla di Cannara, sedano nero di Trevi e carotine di campo, finemente triturati, con uno spicchio d’aglio rosso di Colfiorito in camicia. Fate rosolare a fiamma bassa la carne nel soffritto, aggiungendo un po’ di vino rosso a sfumare per poi aggiungere pomodoro di casa passato e conserva triplo concentrato. Fate sobbollire per almeno 4 o 5 ore, avendo cura di aggiungere un po’ d’acqua di tanto in tanto per rendere fluido il composto, ma non liquido, e non farlo attaccare. Versate infine il composto in coccetti magari di Ficulle e gustatelo per antipasto per nulla banale intingendoci il pane.

Il vino Un rosso umbro di corpo, anche di cantine locali

I luoghi Dove si lavora il sugo di chianina IGP, come il Boccone del Prete a Porano

La pasta antica di una giovane cuoca

di mestiere avvocato, moglie e parente di avvocati, Marta Parretti , e’ stata concessa, nella sua bellissima dimora orvietana, alle nostre attente golosita’, piu’ precisamente, oltre la mia, a quella di mia sorella Letizia, di Guido Barlozzetti e di Maurizio Castri, gia’ archeotipo di master chef di Beck e relativi consorti. Premessa la pasta da torta al formaggio e lumachelle e.c.c.e.z.z.i.o.n.a.l.i. con salame artigianale, dopo la richiesta cortese della padrona di casa di visionare da parte mia (mi teme!) le tagliatelle prima della cottura sparse al vento come splendissimi biondi capelli, ci siamo infine approcciati al desco per gustare le

N.64 – Tagliatelle grosse con l’uovo d’oca

che Marta ha cosi’ illustrato: farina 1 a fontana con sei uova di gallina e 4 d’oca, impasto tradizionale morbido e taglio grosso, secondo una scuola d’Umbria che si contrappone ad altra di trasparenza e sottigliezza, sugo di lunga cottura con carne mista e funghi di pioppo ovvero d’oppio, come, con richiamo improprio al papavero orientale e non certo arboreo,si dice ad Orvieto e in Umbria, molto parmigiano e se non erro pecorino.

Il vino Uno chardonnay non umbro, che quindi non cito, di alta qualita’ ma bissabile con alcuni chardonnay regionali, anche meno noti

I luoghi Orvieto, a mezzo Corso Cavour, casa Romoli Parretti e ,c on un po’ di fortuna, le tavole delle campagne d’Umbria, specie per la mietitura, quelle dei “machinisti” ,piu’ di rado quelle della”pula”

L’incappucciata Compagnia della Buona Morte impauriva i bambini che assistevano ad una delle tante processioni del Venerdi Santo in Umbria, seconde sole, per intensita’ emozionale e spettacolarita’, a quelle del nostro meridone o della Spagna del Sud. Il giorno dopo, pero’, si era inclini a piu’ laiche costumanze, fatte di pizze di cacio e capocolli fino al giorno di Pasqua dove trionfava l’agnello in mille modi. Ve ne raconto uno

N.63 – ZUPPA DI BRODO DI PECORA

Procutatevi un spalla di agnello e fatela bollire lungamente in acqua insieme ad una carota, una cipolla ed una costa sedano e sale grosso q.b.. Pronta che sia, versatela bollente su di una scodella su cui avrete posto delle fette di pane di Strettura ed un uovo fresco sfrittellato per ogni fetta, aggiungendo abbondante pecorino e pepe nonche’ sottili bucce di limone e foglie di menta.

Luoghi  A casa propria con la famiglia e gli amici

Il vino L’acidita’ di un bell’Orvieto Classico aggiunge equilibro al piatto

l’usava mia nonna Elvira, che era dell’ottocentonovantadue, per rammendare i calzini. Lo ricordo ancora, marrone e liso, con due tagli circolari verso l’alto l’uno ed il basso l’altro, come povero unico ornamento. Ricordo anche le uova vere dentro i gallinai contadini dove si raccoglievano e bevevano frasche, pulite sommariamente e solo qualche volta scaldate sotto la brace calde dei camini di un tempo. Ora i calzini non si rammendano piu’ e le uova dei contadini sono un ricordo lontano e sfumato ma l’incalzare della Pasqua le riporta al centro dell’attenzione e della mensa festiva, tal quale o sotto le forme di pizze salate o dolci, col capocollo e vino rosso o latte e caffe’, od ancora come

prendete un uovo freschissimo da qualche gallinaio ancora superstiste e procuratevi un capace cucchiaio da cucina. Forate l’uovo da ambedue i poli facendo fuoriscire tuorlo ed albume sul cucchiaio, versateci sopra del succo di limone ed un filo di sale, gustatelo cosi’ immaginando di stare al marchee’ des huitres di Cancale in Bretagna, il tutto sotto il cielo d’Umbria

Il vino Un bianco d’Umbria di buona acidita’ come un Grechetto di Todi

I luoghi Casa propria, a colazione o per aperitivo

McDonald’s e Donato de Meco

ovvero il parente sassone e il villano umbro. La grande industria internazionale ed il contadino nostrale, nel difficile raffronto, sono assolutamente alla pari ed alla pari potranno e dovranno competere sul mercato locale ed umbro perche’ ognuno, a modo suo, rappresenta il food, come si dice negli ambienti giusti, il”da magna” dalle parti nostre. A ben vedere, la loro produzione e’ piu’ vicina di quello che sembra, dagli hamburger alla fettina battuta di mia madre, il passo e’ infatti lieve e breve, come cerchero’ di dimostrare.

Occorre della polpa di chianina senza nervature e sfilacci, da battere a coltello e poi con la mannaietta. Successivamente, fatta fina e non a poltiglia, andra’ condita con olio emulsionato con del limone, sale e pepe. Predisponete poi dei piccoli ciambelloni salati (il ciambellone tradizionale senza zucchero e senza buco, con sale aggiunto e dimensione panino) che farcirete con la carne battuta, meglio cruda o appena scottata, intermezzata da raponzoli di campo ed una fettina sottile di primo sale, quello di Greppo Lischieto, sopra Montegiove di Montegabbione ma nel Comune di Piegaro in Provincia di Perugia, ed ancora uno strato ed uno strato. Non dimenticate un goccio di aceto di casa rosso.

Il Vino Un rosso d’Umbria, dal Sagrantino, anche passito, al Lago di Corbara all’Orvieto Rosso

I Luoghi Certamente e solo a casa propria

Il fagioli secondo del piano

Assai meglio di me, l’attenzione di cultori delle eccellenze orvietane, ha consentito a migliore divulgazione del fagiolo secondo del piano, noto dall’antichita’ ma molto rarefatto nell’attuale, nonostante sia divenuto meritoriamente presidio slow food. Io li compro da Costantino Pacioni, vero conservatore, ed un tempo, come me, consigliere regionale dell’Umbria , ora seduto su piu’ fascinoso banco in Piazza del Popolo nei mercati del giovedi’ e del sabato ,’ per poi utilizzarli dopo l’ammollo in tante possibile declinazioni. Ve ne racconto una per tutti:

N.60 – I FACIOLI COL GRASSO DI PORANO

Dopo l’ammollo, meglio con un po’ di bicarbonato disciolto nell’acqua, di almeno una notte, fate sobbollire i fagioli in acqua profumata di abbondante menta e salvia, senza disdegnare menta ed alloro. Cavateli dal recipiente e trasferiteli in ampio tegame col fondo lavorato collo strutto insieme ad uno spicchio d’aglio rosso di Colfiorito, aggiungendo sale ed abbondante pepe. Nel frattempo, avrete lavorato a parte “il grasso”, cioe’ i ritagli del maiale fresco di macello, lam”ciccia” dello scarto non diversamente utilizzabile, consentendo una prima cottura che, ancora calda, verserete sui fagioli insieme alle erbe profumate dell’ammollo. Vanno serviti caldissimi, consentendo a chi crede ancora sale e pepe.

Il vino Ci vuole un vino da truppa, come il Trani o il Barbera di Gaber, da noi quei bianchi bronzati dei contadini.C’e’ una cantina a Porano sotto il Teatro di S.Cristina. Provate li’.

I luoghi Solo su invito, da Riccardo Salticchioli a Porano, nella sua taverna sotto casa.

N.59 – PIGNA VERDE DEL PEGLIA IN INFUSO D’ALCOLE FORTE IN ZUPPA DI PINAROLI

Le pigne verdi vanno tenute infuse in alcol puro per almeno quindici giorni, in luogo esposto al sole. Liberato il frutto dal liquido, vi immeregeremo dei pinaroli, numerosi a settembre, ovvero, in mancanza, altri funghi reperibili tutto l’anno sul mercato, per almeno un giorno. Estratti che siano dall’infusione, vanno messi in padella senza liquidi per la loro cottura avendo avuto cura, nel frattempo, di predisporre in altro tegame del burro con prezzemolo e sale q.b., dove farete stufare i funghi imbevuti e spezzettati, per versarvi sopra del brodo bollente insieme a piccole quantita’ dell’acole rimasto. Servite la zuppa calda, spolverata di parmigiano e pepe di mulinello.

Il vino Un bianco piacevole e non impegnativo, come il grechetto di Todi, Roccafiore IGT Fiordaliso, Todi

I luoghi Da peppa e d Angelino, trattoria rustica e di fatto unica al Peglia.

Come per il caffe’ a Napoli, sarebbe bello se i ristoratori nostrani consentissero alla zuppa sospesa, cioe’ un primo piatto caldo con un bicchiere di vino, pagato da avventori sensibili a favore di un prossimo in difficolta’. Potremmo consigliare, per unire piacevolezza , gusto ed economicita’ ed Umbria, la seguente ricetta:

Occorrono verdure di stagione come il porro o la cipolla, la bieda, le patate, le zucchine, i piselli, fagiolini e fagioli, i ceci, i cavoli e chi piu’ ne ha piu’ ne metta. Tutto fresco e, per i legumi, secchi ed ammolati, non di scatola. Gli orti d’Umbria sono da favorire ai supermercati. Fate quindi rosolare in olio di oliva extravergine d’Umbria, aromatizzato con aglio rosso di Colfiorito, i singoli pezzi tenendo conto della loro consistenza e resistenza alla cottura. Aggiungere sufficente acqua di cottura, salate ed aggiungete un peperoncino per poi, gradualmente, aggiungere brodo di carne ed i pezzi del suo bollito. Fate sobbollire lentamente la zuppa in cui metterete infine scorze di parmigiano raschiate. Al momento del servizio, ricoprite di parmigiano grattugiato. D’estate, il minestrone e’ ottimo anche fresco di frigo. Il vino Consiglio un grechetto di Todi, semplicissimo e giustamente fruttato, da gustarsi fresco. Molti i produttori umbri, preferiamo pero’ le cantine tuderti

I luoghi Di nuovo La quiete di Caiano, a Baschi, che ogni tanto lo prepara secondo la superiore regola

L’acqua Leggerissima ed eccellente quella gia’ ricordata di Sangemini

La lampreda, pesce assai diffuso un tempo nei fiumi d’Umbria oltre che nell’intero areale europeo, oggi nella nostra regione ha ridotto la sua presenza a piu’ litati corsi e vige per esso un divieto assoluto di pesca. Tuttavia, qualora riuscissimo a trovarne un paio del peso complessivo di circa un chilo e poco piu’, potremmo provare a mischiare un po’ d’Umbria ed il suo migliore vino rosso, di cui diremo di seguito, con l’anima gastronomica di Bordeaux poiche’ la ricetta che suggerusco trae origine dalla cucina della Gironda dove questa sorta di anguilla abbonda e costiuisce un piatto importatiissimo che ha avuto modo di gustare per la crtesia della moglie del Sindaco di Caudrot, proprio sulllo stesso fiume e gemellato con Porano.

N.57. LAMPREDA ALLA BORDOLESE CON MALBEC UMBRO

La lampreda va curata alla stregua di un’anguilla, tagliandole la testa ancora viva e spellandola con l’ausilio di un canovaccio, dopo averla appesa ad un gancio. Recuperato tutto il sangue in una ciotola dove avrete messo un po’ di vino Malbec e scottato il pesce per qualche secondo in acqua bollente, liberatelo del cordone centrale, tagliandolo a pezzi non troppo grandi per farlo marinare per qualche ora. Fate soffriggere nel contempo olio extravergine umbro e scalogno a fettine sottile con cipolla rossa di Cannara con prosciutto di Norcia dadolato, per aggiungere uno spicchio d’aglio in camicia ed un cucchiaio di farina tipo zero spolverizzato sopra, mescolando il tutto insieme alla metà del liquido di marinatura ed erbe aromatiche, come la cipollina, la mentuccia e la menta, oltre salvia e rosmarino. Fate quindi soffriggere anche un porro tagliato a lamelle sottili facendovi rosolare i pezzi di pesce, fiammeggiando il tutto con Brandy italiano. Versate il tutto nella prima padella con due chiodi di garofano aggiungendo un po’ di zucchero di canna. A fuoco spento aggiungete qualche quadrettino di cioccolato amaro perugina e versate il liquido di marinatura rimasto facendo infondere il tutto per altri 10 minuti.

Il vino Di origine francese prodotto ad Orvieto, loc. Le Velette, da Poggio Cavallo, il Malbec 2016 e’ certamente il migliore dell’Imbria. Vera e propria inarrivabile eccellenza, è disponibile per sole 300 bottiglie, di elegantissimo nero. Presenta intensi sentori di frutti neri e rossi di bosco, catrame e cuoio bagnati, chiodo di garofano. Lunghissima persistenza, glicerine morbidissimi e giusta tannicita’ con un tenore alcolico di 15 gradi. Viola scuro quasi nero. Straordinario. Nel tempo, forse il miglior rosso d’Italia. Chi vivra’ vedra’.

L’olio Quello ancora nuovo delle mole umbre. Monocultivar moraiolo.

Maurizio Castri romano non di Roma per le sue origini monteleonesi, ha invitato me, Giudo Barlozzetti, l’avvocato Francesco Romoli e relative consorti ad una cena nella sua casa di Monteloene d’Orvieto, cucinando per noi, pur non essendo cuoco. Maurizio viene da un’esperienza professionale di programmatore enogastronomico di altissimo livello vissuta gomito a gomito con Heinz Beck e La Pergola dell’Hilton Cavalieri ed suoi orientamenti culinari risentono del suo vissuto: equilibrio delle speziature, cotture puntuali, ingredienti di assoluta qualita’, il tutto tradotto in un piatto garbato di assoluta tradizione umbra, esatto contrario di tutto quanto sopra, cioe’ la rabbiona, di cui diremo tra poco in ricetta. Ho voluto partecipare questa privata esperienza, di cui gli altri attori sono sicuro non si dorranno per averli citati, per la sua indiscussa originalita’:la reinterpretazione di un piatto della cucina umbra al limite della truculenza che si traforma in um manicaretto quasi elegante, senz’altro discreto ma soprattutto di buon gusto.

N.56 – LA RABBIONA Occorre petto di pollo, pancetta tagliata alta, salsiccia umbra, poco peperoncino, pomodoro, rosmarino, vino bianco e rosso, olio extravergine umbro dei colli orvietani e sale quanto basta. Mettete in padella la cane su un soffrittio di olio ed uno spicchio d’aglio in camicia, consentendo una cottura lenta sfumata prima col vino bianco e poi quello rosso, insieme al rosmarino. Quando la carne avrà ceduto adeguata quantità di liquidi e grassi al sugo di cottura, aggiungete il pomodoro, quello di casa se possibile. Fate cuocere ancora lentamente ed a lungo per consentire cremosita’ all’intingolo. Servite caldo accompangando con la torta sotto la brace e contorno di cicoria cotta. Il Vino Consiglierei un Sagrantino di Montefalco Adanti, sempre carico di giuta tannicita’ in equilibrio con un piatto ricco di grassi come la rabbiona. I luoghi Da Angelino e la Peppa al Monte Peglia, dove pero’ dovete ordinargli la rabbiona, in quanto la torta, sempre disponibile, viene accompagnata da salsicce arrosto, prosciutto o groppa, verdure, comunque ottimi.

Stavolta, invece della tradizionale ricetta e della piccola storia in accompagnamento, voglio, con cortese provocazione, cercare di scuotere la banalita’ dei responsabili della toponomastica orvietana e non solo, sempre proni a titolare vie e pizze a personaggi tanto illustri quanto passati ma soprattutto sostanzialmente estranei al territorio, da Mazzini a Vittorio Emanuele II, per fare un esempio, ovvero ad insulsaggini botaniche varie e diverse et similia. Reputo invece si possano illustrare, con buona pace di Prefetti reazionari e Sindaci restii, in luogo pubblico le eccellenze gastronomiche locali, secondo , sempre a titolo esemplificativo e sempre per Orvieto, lo schema che segue :

Corso Cavour in Corso della Bistecca del Curato, Via delle Otensie come Via della Mazzafetica,Via dei Salici in Via del Vin d’Orvieto,Via dei Gerani Via dell’Olio d’Oliva,Via dei Platani in Via delle Pornelle, Via dei Gelsi in via della Torta pasquale, Via dei Tigli in Via delle Biricocole, Via della Svolta in Via dell’Uccelletti, Via dei Tigli in Via della Palomba alla ghiotta, PIazza della Repubblica in Piazza del Pane sciapo, etc.

Forse sarebbe pubblicità gratuita e straordinaria in tempi di grande attenzione per il mangiar bene all’italiana ed all’umbra.

“Trippalasugor”. Cosi’ un giovane ristoratore orvietano emergente trasformo’ ironicamente, ma non troppo, il blasonatissimo logo Trip advisor, per riferirlo alle cucine casarecce d’Umbria, aggiungendo che il notissimo portale web era un po’ come Salvini, assai incline agli umori populisti e molto meno a valutazioni piu’ attente e ragionate. Avventori e non esperti, quindi, con le conseguenti cadute di pressapochismo, smania di dire comunque la propria e qualche rischio di concorrenza impropria e di fraudolente inserzioni. Cosi’, diversamente da quanto avviene per le guide piu’ tradizionali, compaiono in cima alla classifica di gradimento improbabili sedicenti “trattorie tipiche locali” che propinano piatti con lo spek, il traleggio e il mascarpone. Contrariamente,, bisognerebbe segnalare quei locali che praticano realmente cucina di territorio, facendo della ricerca gastronomica un punto di forza anche culturale. Voglio a tal fine ricordare Rolando Teofoli, un insegnante elementare del primissimo novecento e poeta dialettale ternano, che titola una sua piacevolissima poesia “La merangola” che “‘na vorta, a lu tempo de mi nonna,giu’ casa de campagna, la’ ‘n cantuccio piu’ assolatu, c’ea piantato st’arburillu mi nonna porettella”. L’arancia amara selvatica, la merangola o melangola, e’ curiosamente, come puntualmente annota la studiosa Isabella Dalla Ragione, un albero cartteristico anche se non autoctono, dell’Umbria meridionale, con presenza attuale, tra l’altro, anche a Cesi. La nonna del Teofoli, che ci racconta scomparsa “pe ‘na magnata de ciriole con l’ojio e l’ajiu, alla ternana” “co sto fruttu prelibatu tutto ci facea:li facioli giu’ la mola,lo cosciettu pillottatu, le costarelle de maiale, le braciole de castrato co ‘lu sugo de merangola, che e’ magna’ da gran prelatu “Eh!si, proprio un boccone del prete purtroppo quasi scomparso

N.54 – BRACIOLA DI FACCIUTA CON LA MERANGOLA

Cercate un capretto pesante di facciuta, capra della Valnerina che troverete ancora in vendita in quella zona, tagliate le braciole e battetele, speziatele con aglio e mentuccia, salatele e pepatele dopo averle marinate qualche ora in succo di merangola, quindi pontele su brace calda per una cottura forte e rapida.

Il Vino Ciliegiolo di Narni. Az. vitivinicola Sandonna Narni.

Vino rosso pallido, fermo e secco, di facile beva, con spiccati piacevoli sentori di ciliegia matura e viola mammola.

Mia madre Gina, cuoca di casa sopraffina, era legatissma alla tradizione culinaria del ternano ed anche, di ricasco e per somiglianza, a quella orvietana. In famiglia mangiavamo quindi una cucina sostanzialmente povera ma arricchita dalla sapienza gastronomica che derivava dalla conoscenza di vecchie storie della tavola umbra ed anche , almeno in parte, da quella romanesca. Cosi’ suppli’e carciofi fritti si incontravano con mazzafegate , sanguinacci ed intocco in un tripudio di profumi e sapori. In piu’, si trattava di cucine che non conoscevano congelatore, essendo rigorosamente legate alla stagione ed all’assoluta freschezza dei prodotti utilizzati. A novembre, mamma si recava sempre a Perugia dove, in Corso Matteotti, c’era il negozio storico di Bavicchi, dove si potevano trovate, insiema alle lenticchie di Castelluccio, la roveja e le cicerchie, le vere fave cottore, quelle cioe’ che, cuocendo lungamente in acqua salata, finivamo con l’ammorbidirsi per costituire uno dei piatti piu’ tradizionale e semplici dell’eccellenza umbra, cioe’

N.53 – LE FAVE SECCHE COTTORE Prima di tutto, e’ rigorosamente necessario utilizzare olio extravergine di oliva umbro nuovo di frantoio, finocchio selvatico in polvere o semi essiccati, fave cottore di prima qualita’. Fatte bollire lungamente quest’ultime in acqua salata, scodellatele ancora calde, cospargetele di pepe di mulinello, olio stravergine umbro e finocchio selvatico a vostro piacimento e gustatele con pane bruscato di Strettura. A volte, per antipasto, ho avuto la ventura di far precedere il piatto di fave da crostrini con le interiora integre di beccaccia. Superbo. I luoghi Privatamete, a Ripalvella di S.Venanzo, dal geom. Sciri Il vino Rosso di Montefalco Adanti, suadente, con sentori pronunciati di frutti di bosco, persistente e giustamente tannico L’olio Di frantoio umbro, prodotto tra ottobre ed i primi di novembre.

Forse a breve andremo a degustare la cucina umbra rivisitata che dall’inizio della rubrica ho cercato di raccornatrvi. Questa è un’anteprima che potrà essere rivista e modificata anche grazie ai consigli che vorrà darci chi legge.

Coppa in coppa con decoro di arancia rossa di Sicilia (Coppa umbra di maiale servita in coppa di champagne con buccia triturata di arancia Sicilia IGP) Tortuccia salata orvietana con fette di uova d’oca con uova di carpa marinate al salmoriglio con lo Strega (Tortino acqua e farina fritto servito con fette di uovo d’oca con sopra uova di carpa marinate un giorno in salmoriglio e liquore Strega )

Zuppa di facciuta della Valnerina con pane di Strettura, pecorino di Norcia affossato e julienne di cedro amalfitano (Pane di Strettura rifatto di due giorni bagnato di brodo di capretto pesante della Valnerina) Ciriole ternane di pizza pasquale umbra al cacio orvietano e pepe al mulinello (Ciriole fatte alla chitarra a filo grosso con l’impasto della pizza di Pasqua salata senza lievito con crema di cacio e pepe)

Carpa regina incannucciata in porchetta (Carpa grossa riempita delle interiora di porchetta avvolte in ratta, chiusa , avvolta di nuovo nella rete, cotta a 3/4 in forno e finita incannucciata) Petto di palombaccio con la salsa ghiotta in uso ad Amelia (Tolti i petti alle palombe, le carcasse vanno lavorate in salsa con gli uccelletti di becco fino e tordi. I petti vanno cotti come l’agnello alla francese, scuri fuori e rosa dentro)

Abete di sanguinaccio sangeminese e salsa alla menta fresca (Il sanguinaccio va lamelllato, composto in forma di piccolo abete e fatto poggiare su disco di cioccolato e piccolo tronco di cioccolato, servito su piatto verde.Sull’abete va colata la salsa di menta). Canna nursina con fichi Girotti di Amelia (Canna di bambu’ riempita di ricotta fresca locale e caffe’o cioccolato amaro 95% Perugina, chiusa con i fichi e poggiato su castelletto di fichi)

Terrina di lacustre con lavarello e trota rosa di Nocera Umbra con le loro uova (terrina di pesce di lago coregone e trota in gelatina con le loro uova) Gamberi di fiume in uso in Valnerina (Gamberi veraci umbri in salsa di aceto, prezzemolo, sale ed erbe fini)

Cappelletti tradizionali di piccione nel suo brodo e scaglie di tartufo bianco di Citta’ di Castello Pappardelle nere con la corata di lepre spolverate di fondente massimo Perugina servite in peperone giallo di Marsciano (Pappardelle a mano impastate con cacao amaro e con sugo di corata e sangue di lepre fresca, con pezzettini di fondente spolverati e serviti su peperone grosso)

Torello di chianina IGP in salsa perugina (Girello di vitellone chianino 12/14 mesi IGP frollato lungo con salsa alla perugina) Civet di beccaccia con il suo crostino (Zuppa ristretta di beccaccia , palombaccio e tordi con crostino delle loro interiora)

Pampepato ternano in crema di zenzero e pepe garofolato (pampepato tradizionale umbro con crema di latte , zenzero e pepe di Giamaica) Crostata piatta di diospiro vaniglia (Crostata non lievitata con marmellata di cachi)

Mi piace ricordare il vin d’Orvieto nella sua versione “artistica”, quella cioè offerta a pittori e scultori d’altri tempi in cambio od integrazione della paga. A Monteleone d’Orvieto, una minuscola antica edicola con una Madonnina, recava la scritta”Anno di poco vino”, doglianza dell’artista artigiano che la realizzò, ritenendosi pero’ poco soddisfatto per la mercede ricevuta, avara in vino. Oggi, la qualità non proprio eccelsa di questo un tempo eccellentissimo prodotto d’uva, ora reperibile sul mercato discount a poco più o poco meno di due euro a bottiglia, a dimostrazione incontrovertibile della banalizzazione corrente della sua offerta, ci pone di fronte alla necessità di sottrarre l’Orvieto alla canaglia commerciale corrente che purtroppo lo governa, producendo fiumi di prodotto, con un vegetativo consentito senza limiti pur in presenza di un freno quantitativo “bollinabile” a DOP all’interno di una produzione del tutto anarchica. Cosa possa esserci di “divino” in quest’Orvieto, oltre la deprimente cartellonistica grigioverde che ha letteralmente sporcato aiuole e spazi della città, è domanda senza risposta. Noi possiamo solo, all’interno della nostra piccola e modesta rubrica, provare a suggerire un abbinamento che possa comunque valorizzare la migliore produzione di questa antico ed un tempo nobile dono di Bacco.

N.51 – AMABILE E MACCHERONI DOLCI 

Procuratevi dei maccheroni trafilati al bronzo o mezze maniche insieme a noci tritate, cacao amaro, zucchero, cioccolato fondente Perugina, cannella, noce moscata, pangrattato e scorza grattugiata di limone, il tutto in giusta proporzione. Fate lessare la pasta, scolatela e ripassatela in padella con un po’ vino amabile Orvieto Classico e quindi unitela all’impasto degli altri ingredienti che avrete nel frattempo predisposto, utilizzando ancora un po’ di vino amabile per renderlo giustamente pastoso. Serviteli tiepidi a fine pasto come dolce. I luoghi Le case umbre da Natale a Carnevale.

Il vino Orvieto Classico amabile (abboccato) Bigi Orvieto Suadentissimo, piacevolmente persistente,in ottimo rapporto prezzo qualità

La nebbia agli irti colli… Ogni stagione porta in tavola sapori e profumi diversi, cosi’ l’autunno offre funghi, castagne e richiama a piatti caldi, infrequenti d’estate, come polente, zuppe, bolliti, spiedi di cacciagione per l’appunto di carducciana memoria. In Umbria, sopiti gli eccessi di altrettanto eccessive ed improbabili sagre, e’ ancora possibile riunirsi in pubbliche tavole dove la tradizione si mantiene con intelligenza, come a Monteleone di Spoleto quando il parroco da inizio, il 5 dicembre a mezzodì, al rituale antico del Farro di S.Nicola, distribuendo erga omnes la minestra di quel legume, festa che si concluderà dopo una vera sagra , la sera del nove con un tradizionale focone detto della Venusta. Usanze antiche e finalmente rispettate, come, adesso e’ tempo, nelle nostre campagne e nei forni a legna i N.50 – MARITOZZI COL MOSTO  Unite lievito di birra a farina, uvetta bagnata e strizzata, zucchero, olio extravergine d’oliva “novo” con mosto di vino rosso dolcissimo e un po’ di scorza di limone grattugiata.Fate crescere l’impasto al caldo per un paio d’ore e create poi delle palle ovali che disporrete in una teglia su ci avrete disposto una carta da forno imburrata, lasciando cuocere il tutto per 20 minuti a 180 gradi . Raffreddati che siano i maritozzi, cospargeteli di zucchero a velo e servitili dopo pero’ aver gustato una bella zuppa di farro di Monteleone cosparsa di polvere di funghi porcini secchi e pezzetti di castagne lesse. Un vero e proprio pranzo d’Umbria, contadino e di stagione.

Il vino Mosto rosso o bianco delle nostre terre L’olio Quello nuovo dei frantoi umbri Il luogo Monteleone di Spoleto per la festa del Farro di S.Nicola e la visita al carro romano.

Avanti! coi bucajoni della trebbiatura ! Eh si! L’Avanti ! e’ stata gloriosa e storica testata socialista mentre i bucajoni , ovveromaccaroni,della trebbiatura sono quelli offerti nel corso dell’omonima festa che per quasi vent’anni si e’ tenuta a Monteleone d’Orvieto a cura della locale sezione Torello Carloni,  capolega contadino ai primi del secolo scorso, bastonato dal regime. Stria politica a parte, offrivamo a quei tempi palombacci alla ghiotta, oche al forno a legna, salsicce e sul “focone”, pesce di mare al venerdì ed infine i Bucajoni della trebbiatura.  Tipici del periodo della trebbiatura, sono replicabili tutto l’anno. Procuratevi dei maccheroni, fischioni o mezze maniche, detti in campagna appunto bucajoni,trafilati al bronzo e resistenti in cottura, carne da sugo di “vaccina” e salsiccia di maiale, fegatini e durelli di pollo noché gli odori tradizionali. Fate soffriggere in olio extravergine umbro e spicchio d’aglio in camicia e, tirato fuori prima che bruci, aggiungete il trito di sedano, carota  e cipolla. A seguire, fate rosolare la carne da sugo che avrete tagliato a coltello, aggiungendo sale e pepe quanto basta ed un po’ di vino bianco da far sfumare. Rosolate che sia la carne, aggiungete abbondante pomodoro pelato e conserva triplo concentrato. Fate sobbollire almeno per tre ore e solo infine aggiungete i durelli e poi i fegatini tagliuzzati. Cuocete la pasta al dente, mettete un po’ di sugo sul vaso di portata e impastatelo con parmigiano e pecorino abbondanti, versate la pasta e poi il sugo rimasto ed ancora formaggio. Servite fumante. Il Vino Un bel rosso d’Umbria, sia cabernet che sangiovese in uno dei tanti blend di Cotarella. I luoghi In mezzo ai pagliari e comunque nell’aia a trebbiatura, o a casa vostra.

N.48 – SALSICCIA CON L’UVA FRAGOLA

e’ divenuta quasi un sogno, essendo assai piu’ poco coltivata in relazione al suo scarso utilizzo commerciale. Siccome e pero’ sta nella mia memoria infantile e mi piace quindi ricordarla, cosi’ come mia madre la spremeva sul pane casareccio di Carpineto Romano, dove sul finire degli anni 50 eravamo andati ad abitare seguendo i trasferimenti di mio padre daziere, che non sara’ Umbria ma dove il pane , salato, pagnottone e scuro e’ eccellente, insieme allo zucchero e un goccio di vino dolce rosso.La nostra regione ha sempre utilizzato i cibi poveri ed a settembre, quando tutte le uve maturano, anche quella fragola si poteva trovare per farci, oltre che pane zucchero e vino, anche la

Salsiccia con l’uva fragola

Abbisognano due belle salsicce nostre a persona, uva fragola in quantita’ adeguata, l’ultimo finocchio selvatico fresco e olio stravergine d’Umbria. Faremo quindi cuocere le salsicce in padella, insieme all’olio e dopo averle appena bucherellate con una forchetta, aggiungeremo gli acini integri di uva fragola, qualcuno soltanto schiacciato.Fate cuocere le salsicce non piu’ di 10 minuti, facendo sfumare un po’ di vino rosso e dolce nel padellino, ed aggiustando di sale e pepe. Cotte che siano le salsicce, cospargetele col finocchietto selvatico.

Il vino Il fragolino, solo quello vero, se lo trovate. In alternativa, Sagrantino di Montefalco Passito Adanti. Eccellente.

L’olio Provate a farvelo spremendo due chili di olive leccino o moraiolo o frantoio ovvero un loro mix delle parti nostre, denocciolate, con un torchietto del vin santo. Avrete un olio piccantissimo ed amaro ma amche una esperienza gustativa irripetibile. Se avanza, fateci la bruschetta per accompagnare le salsicce.

N.47 – IL TORELLO ALLA PERUGINA

Augusta et vetusta Perusia, luogo di grande fascino, storia e cultura, che fa parte della mia vita non solo per avervi vissuto negli anni dell’università e dell’impegno istituzionale alla Regione ma anche perché vi risiedevano antichi affetti familiari, in particolare, in Via del Giochetto, dove abitava la mia unica zia , Lina , sorella di mio padre, e dove stanziò per sei anni mio fratello, poi medico. Tuttavia, ad un sangeminese, residente nell’orvietano e Presidente dell Provincia di Terni, la puzza sotto il naso di qualche e più di qualche perugino non andava molto bene cosi’ come i granata del calcio, per i quali pure, nella stagione della A ,ho tifato, tanto le fere rossoverdi stavano in B. . Di quei tempi, ricordo un piacevole ristorante di tradizione e cultura di circolo futurista ( bellissimo!) d cui in particolare segnalo

IL TORELLO ALLA PERUGINA Procuratevi un bel girello di torello, cioè un vitello ingrassato,se lo trovate di bruna alpina, fegatini di pollo, petto di pollo, qualche alice, sedano, cipolla e carota , salvia e capperi, limone , vino bianco, stravergine umbro, sale e pepe q.b.Sminuzzati che siano gli ortaggi, predisponete un soffritto con l’olio ed adagiatevi il tocco di carne, meglio se legato. Rosolate a fuoco vivace, aggiungete il vino, abbassate, chiudete la pentola e fate cuocere per 20 minuti. Aggiungete quindi fegatini e pollo a pezzetti, sale e pepe e dategli altri 20 minuti di cottura. Passate il fondo di cottura al setaccio grosso insieme a capperi ed alici,aggiungendo succo di limone. Tagliate il torello a fette sottili accompagnandolo con la salsa. Il vino  Un bel bianco d’Umbria e perugino o giu’ di li’, come Sportoletti, ad esempio, ma non solo I luoghiTrattoria l’Altro Mondo Perugia, a lato di Palazzo Donnini.

N.46 – LA FRITTATA A TRIPPA

Prendete due uova freschissime per commensale, sbattetele in un giusto contenitore con un po’ di sale, pepe e mentuccia fresca. Predisponete quindi una padella calda su cui verserete le uova per farne una frittata. Cotta che si, procederete a tagliarla in strisce di circa due dita di larghezza che disporette sul piatto di portata cospargendole di sugo di pomodoro che avrete fatto cuocere in precedenza con solo un po’ d’olio nostro ed uno spicchio d’aglio in camicia, cospargendo il tutto di abbondante parmigiano grattugiato, proseguendo cosi’ striscia sopra striscia, aggiungendo infine ed ancora mentuccia fresca.

I luoghi La memoria mi riporta a Porano, ma poiche’ i cibi semplici sono disdegnati dai trattori, preparatela a casa, e’ semplicissimo

Il vino Va bene un bianco, anche mosso od adirittura uno spumantizzato . Nell’orvietano ed in Umbria ce ne sono di eccellenti a costi assolutamente contenuti.

da noi si mettono funghi, porcini e non, formaggi pecorini e caprini,salumi e , soprattutto, salsicce e mazzafegate, dette mazzafetiche, odorose d’arancia. L’operazione e’ piuttosto semplice ma abbisogna di due elementi essenziali, la qualita’ e la freschezza degli ingredienti e l’olio stravergine solo d’Umbria.

Parliamo quindi delle salsicce, un tempo reperibili solo nei mesi piu’ freddi ed oggi ad ogni pie’ sospinto. In effetti, sono da preferire quelle d’ammazzatura, fatte tra dicembre e gennaio, col porco macellato nei locali di casa e la carne, per stabilire la dose di sale e pepe, assaggiata in padeletta prima d’insaccarla. Tuttavia, molte estati fa,ad una festa di partito in quel di Monteleone d’Orvieto, giu’ a casa di Ginetto Garofani a S.Maria, spostammo le lacette indietro o avanti se si vuole e macellammo a ferragosto, ottenendo salsicce di rarissima bonta’. In quanto all’olio, conservante ed insaporitore perfetto, prestate attenzione ai noti rischi di intossicazione che eviterete sterilizzando i barattoli dopo averli passati in aceto e facendo attenzione a non lasciare troppo spazio tra una salsiccia e l’altra, conservando comunque tutti i noti riguardi che si usano per i cibi sottolio.

Pane di Strettura o casareccio con struscio d’aglio e spalmatura di salsiccia o mazzafegata sottolio.

Procuratevi del pane di Strettura (lo trovate alla Coop) od altro sciapo casareccio d’Umbria, bruscatello anche a gas e strusciatevi su un po’ d’aglio rosso di Colfiorito splamandoci sopra una salsciccia o una mazzafegata sottolio. Antipasto di eccellenza assoluta.

L’olio Uno qualunque degli straordinari stravergini d’Umbria

Il vino Preferite un vino leggero, non impegnativo, come l’Orvieto bianco o rosso di Poggiocavallo di Orvieto.

I luoghi Certamente a casa.

I fagioli del piano di Orvieto non sono, nonostante il nome, secondi a nessuno se non al grano maturato prima sugli stessi campi.

Questa vera e quasi sconosciuta eccellenza orvietana, promossa non tanto dalla vanagloria dialettica dei vari Citta’ Slow aut similia ma dalla costante umile attivita’ ed opera prodigiosa di conservazione e tutela dell’amico e gia’ collega Consigliere Regionale dell’Umbria Costantino Pacioni il quale , dal suo unico strumento di lavoro, un piccolo banchetto di legno,in Piazza del Popolo, di giovedi’ e di sabato,apre, per la gioia dei nostri occhi e della nostra gola, i sacchetti dello straordinario legume mostrandolo come gemma preziosa a pochi euro al chilo.

Piu’ del devastante ed inutile pino nero del Peglia, che non ci regala legna da ardere e neanche pinoli, si sarebbe dovuto proclamare il fagiolo secondo del piano di Orvieto, magari fatto farina per ostie del suo inarrivabile Duomo, insieme alla cattedrale e , non per ironia blasfema ma per doveroso umano riconoscimento, lo stesso Costantino, suo primo conservatore, patrimonio mondiale dell’umanita’.

N.44 – Fagioli secondi del piano con le zampette del porco

Forse d’estate sara’ piatto troppo forte,ma servito tiepido prima dell’oca al forno a legna con patate in accompagno per mezzagosto, certamente non disdice. Procuratevi quindi i fagioli secondi,quelli gialli, piu’ cremosi, e poneteli in un coccio prima cosparso d’olio umbro dove avrete fatto soffriggere uno spicchio d’aglio rosso in camicia ed aggiunto sale e pepe appena frantumato q.b. e qualche foglia di salvia fresca. Nel frattempo, avrete fatto bollire in acqua salata, fino ad ammorbidirli adeguatamente, zampi, musetto e guanciale di maiale che aggiungere te ai fagioli permettendo una lenta cottura coperta sulla brace del camino, aggiungendo di tanto in tanto vino bianco misto ad aceto di casa ed acqua.

Il vino Quello di Orvieto, rosso o bianco, purche’ prodotto ed imbottigliato ad Orvieto.

I Luoghi Il magico mercato di Piazza del Popolo di Orvieto, il giovedi’ ed il sabato, ed il banchetto di Costantino Pacioni. Le macellerie artigiane, quelle attente alla tradizione, di tutto l’orvietano.

A Terni, d’estate si soffre sempre di gran caldo. “E’una conca!”si dice. Non so se questa sia la causa ma l’effetto e’ certamento quello. Cosi’ nell’agosto del 74, costretto nell’antica Interamna dei romani dagli obblighi di leva, finita la docenza agli allievi armaioli, insiemi a due altri sfortunati colleghi ci recammo, esausti, d al cocomeraro della Stazione perche’ e’ vero che l’afa si combatte con le fette fresche, meglio gelate, dolci e brodolose del cocomero con aggiunta di birra e gazzosa, anzi non si vede a volte l’ora che venga caldo proprio per gustare quelle semplici delizie.I tempi pero’ cambiano ed anche l’umile cocubitacea si trasforma , tra l’altro, in …

N.43 – Cocomero in tazza con vinsanto, banana dolcissima e menta

…Tagliate nel mezzo, orizzontalmente , un cocomero sproporzionato, magari di 15 chili, ora che sta a 10 centesimi, gelato prima se vi sara’ riuscito, nel frigo.  la polpa a pezzi grossi che ridurrete in cubetti, limando il fondo del cocomero fino ad appiattirlo per tenerlo in tavola..Nello scavo del frutto, disponete zucchero di canna a piacimento e poi innaffiate con vinsanto vero d’Umbria.Rimettete i cubetti nella zucca verde, inaffiate ancora di vinsanto, aggiungete banana maturissima a rondelle e menta freschissima, lasciando un poco macerare il tutto al fresco, per servire poi con cubetti di ghiaccio ed ombrellini di carta,

Il Vino Vinsanto vero, di casa e d’Umbria, dal caratello

I luoghi Anche a casa, sotto il pergolato se c’e’,. E’ facilissimo quanto piacevole.

Seni e coseni, luoghi di ascisse ed ordinate che, in trigonometria , individuano e misurano gli angoli e che un mio compagno di liceo, alla maturita’, confuse probabilmente con la poccia sinistra e la coscia destra (sarebbe poi, evidentemente non a caso, divenuto medico!), semplicando alfa su alfa ed ottenendo cosi’, miracolosamnete, invece di una tangente, sen su cos, anche se c’e’ da dire che, ai tempi, eravamo veramente arrapati. Deluso e preoccupato, anche se poi licenziato, si reco’ con me ed altro poi medico in quel di Piediluco in quel di Terni, dove allora, eravamo nel ’71, si sosteneva la maturita’ scientifica per gli orvietani e dove, per rinfrancarsi un po’, mangiammo pesce di lago ed in particolare, per la prima volta per me i …

colazione tipica un tempo dei pescatori locali, oggi piatto importante della cucina lacustre regionale umbra. Occorrono semplicemente dei persici reali di piccole dimensioni, ovviamente freschissimi,ed un focarello di”cannuciole” di lago secche, sulla cui brace , in graticola, porrete interi i pesci, facendo attenzione a bruciacchiarli a dovere. Cotti che siano, toglieteli le lische e conditeli con olio umbro stravergine ed un trito di prezzemolo ed aglio rosso di Colfiorito, sale e pepe quanto basta.

Il vino Torre di Giano “Vigna il PIno” Lungarotti Torgiano

Trebbiano e grechetto maturati in legno, per un vino complesso e fruttato con lunghissimo e piacevole retrogusto.

L’Olio 6 novembre Frantoio Gaudenzi Sopoleto

Blend tradizionale umbro, con sentori pronunciati di carciofo e mela verde. Flos Olei 2013

I luoghi Da Giosefatta a Piediluco. Non per altro ma per i carbonaretti, questa tradizionale osteria sulla strada incompiuta della montagna.Una stalla.

l’anguilla giupellChiani. Almeno un tempo. Pietro Fattorini di Monteleone d’Orvieto, personaggio scontroso ed amabile nel contempo, era un mio grandissimo amico, nonostante la differenza di eta’di quasi trent’anni; con lui ho passato molto tempo, tra un esame e l’altro all’universita’,giocando a scala 40, con poste innocenti e parlando di politica di cui era appassionato. Pietro amava, oltre e forse piu’ delle carte,la pesca, alla quale attendeva caricando sulla sua 127 verde le canne per recarsi “giuppelchianti” a Fabro. Il risultato non era il pescato, di regola scarso od anche assente, ma il piacere di aver pescato su quei ricagnoli dove, di tanto in tanto,facevano capoccella anguille e ciriole (ce vorrebbe il tramaio, mi diceva, ma ‘n se pole!), come quelle di cui mi fece una volta omaggio un dipendente della Provincia di Terni e che dimenticai nel bagagliaio della mia Volvo 240 per ritrovarle, tra i sedili della stessa, qualche giono dopo ,ancora vive e vegete.

Procuratevi delle belle anguille grosse e grasse e fatele stare ancora vive in un bagno di Orv ieto classico per almeno tre giorni. Tolte che siano dalla bagna,tagliategli la testa (questa e’ la procedura!), senza spellarle. Taglietele a pezzi non molto grandi e fatele affumicare in unffumicatoio di casa, facilmente reperibile,favorendo essenze intense come il pino.Strisciatele quindi con polvere di peperocino piccante, facendole asciugare per almeno un giorno, per poi cuocerle in padella aggiunte di olio, sale e sfumate di nuovo co il vino di Orvieto.Il Vino Orvieto classico Luigi e Giovanna Barberani Orvieto Lago di CorbaraA parte il prezzo, assai elevato, si tratta di un Orvieto aggiunto di migliorativo di muffa nobile per almeno il cinque per cento.Questo conferisce estrema morbidezza e particolare intensita’ aromatica di frutta gialla al prodotto, ancor piu’ accentuata dall’invecchiamento per un anno in legno ed un ugual periodo di affinamento in bottiglia.

I luoghi Qualche trattoria del Trasimeno e, fuori d’Umbria ,di Bolsena o “La rosa dei venti” ad Albinia.

N. 40 – BAFFO ALA SALVIA CON ACETO CHIARACE

Procuratevi dell’aceto bianco forte di casa, quello con la madre dentro la damigiana, per capirci , fatelo bollire e versatelo caldissimo sulle chiarace schiacciate a mano e denocciolate, lasciandolo in infusione per una settimana. Utilizzatello quindi per sfumare la cottura in padella le fettine sottili di baffo (guanciale del maiale) , cosparso di salvia fresca e cotto senza olio, fino a bruschettarlo.

Il vino Umbria bianco IGT “Torre di Giano” – Lungarotti Corciano Bel vino, fruttatoed agrumato, asciutto e di buona struttura, con piacevole nota acidula ed adeguato retrogusto.

I  Luoghi Ristorante Radici resort La Chiaracia Castelgiorgio TR Va doverosamente segnalato questa splendidissima struttura dove il valentissimo chef Emanuele Mazzella offre, con il suo professionale e qualificato staff, una cucina di alta qualita’.Sono sicuro che vorranno interpretare al meglio questo mio suggerimento.

e’ nello slag umbro , la ciliegia che matura a giugno, priva della corposa intensita’ della duracina di pien’estate ma piacevolmente morbida e zuccherina. Nelle stagioni calde degli anni ’70, cosi’ care alla mia memoria, una piacevole divagazione dall’afa assillante era quella di individuare, di giorno,in quel di Monteleone d’Orvieto,gli alberi di chiarace, e , di notte,di soppiatto e poi mica tanto, coglierle col gusto e una paesana adrenalina da piccoli voleurs (uso un francesismo poiche’ il termine italiano mi pare brutto e sarebbe comunque improprio) il cui obiettivo era un bottino privo di valore venale ma ricco del piacere non solo delle ciliege ma del gusto della trasgressione e del divieto di vietare di sessantottina memoria, allora freschissima.

nata nell’ultimo scorcio d’ottocento, sarta e donna di casa, abile in ambedue le mansioni, conosceva molti piccoli segreti di cucina familiare come, ad esempio, il pane , zucchero e vino, il pane con olio e pomodori strisciati e l’uovo sbattuto, il cui ingrediente fondamentale era la sua assoluta freschezza che, con i soli rossi aggiunti di zucchero e maneggiati in un bicchierino, costituivano break ideale per noi ragazzotti, col crescere consentendo anche ad aggiunta di marsala. In omaggio a qulla carissima antica donna

N.39 – L’aperitivo d’uovo alla Moretti

Procuratevei un uovo d’oca a persona o di tacchina ma non di gallina, freschissimi,e fateli stare al forno a 65 gradi per trenta minuti circa. Tirateli fuori e forateli ad una estremita’ cosi’ da farvi entrate una cannuccia da bibita, quindi, con una comune siringa medica, inoculate all’interno dell’uovo un vin santo vero d’Umbria, fatto in casa, o, in mancanza, un marsala Morsi di Luce Florio od anche un Carpano Punt e Mes o un liquore Strega ovvero un wiskey totbato.

Disponete le uova in un cestino di vimini tipo quelli di David Lisei, Sindaco emerito di Montecchio ora abilissimo artigiano, sorseggiando con la cannuccia ed accompagnando con un bicchierino dello stesso liquore con il bordo cosparso di sale di Cervia.

Potrete anche, siamo d’estate, sbizzarrirvi copiando la grolla valdostana con un uovo di struzzo, che terrete al forno almeno un’ora, forato con un piccolo trapano leggero ed offerto con 7/8 cannucce da long drink e cappellino come coppa dell’amicizia.

N.38 – IL POLLASTRONE Del pollastrone ne abbiamo gia’ parlato.Tuttvia, qualche ulteriore ricordo sara’ possibile.

Negli anni di ultima ruralita’ in Umbria, sul finire del sessanta, spesso le contadine risalivano dai pollai verso casa col pollastrone vivo, a collo dritto e preso per le zampe. A volte, mia madre ne comprava qualcuno ;nonostante fosse dolcissima donna , aveva un rapporto laicamente cruento con gli animali da cortile destinati alla tavola, fossero polli, conigli o piccioni e, per i primi,interveniva decisa con le forbici la gola con  abilita’ chirurgica ,assai meglio di suo figlio dottore,li pelava e poi puliva per procedere alla loro cucina, fosse al forno, allo spiedo, arrosto , fritto o in umido, con il limone e il rosmarino ma anche, spettacolo, per fare la

Procuratevi una materia prima di eccellente qualita’ , cioe’ il pollastrone ruspante disossato da voi o dal macellaio, insieme a macinato di vitella e di maiale in egual misura, lingua di manzo salmistrata, un lardone, un tarufo scorzone, pistacchi pelati, due uova, una cipolla rosssa di Cannara,foglie di alloro, chiodi di garofano, brandy italiano. sale e pepe q.b.

Preparate un brodo saporito con le carcasse di pollo, l’alloro, i chiodi, la cipolla ,una carota e del sedano nero di Trevi. Staccate la pelle del pollo intera , delicatamente , e macinate la carne residua con tutti gli altri ingredienti, marinando nel brandy. Stendete il ripieno cosi’ ottenuto sopra la pelle del pollo ricavandone un rotolo che avvolgerete, legato, in un canovaccio a mo’ di salame, tuffandolo nel brodo e lasciandolo sobbollire per circa un’ora e mezza. Fate freddare per una notte con un piccolo peso sopra il salame e servite la galantina con una gelatina ottenuta dal brodo rimasto aggiunta di pistacchi polverizzati.

Il vino Cervaro della Sala Antinore Ficulle TR

Con la Rettore, splendido splendente. Straordinaria intensita’ aromatica e persistenza che fanno tutt’uno con l’accentuata sapidita’ minerale e giusta acidita’ e morbidezza.Assoluta eccellenza umbra.

di Pinotau, con Sophie Marceau, fu celebratissimo film degli anni 80, in Italia Il tempo delle mele. Piu’ del frutto che leva il medico di torno. Da noi, in erra contadina d’Umbria, era pero’ piu’ noto il tempo delle fave, a maggio quelle fresche a novembre le cottore, quando, bardassoti, s’annava appunto a sfava’. Bellissimo, nel nocentouno, Giuseppe Cardarelli, poeta dialettale orvietano, col suo racconto di baccelli “na munellata de munellacci”con di seguito alcuni piacevolissimi e divertetissimi brani: “Annavo a scola da le gnorantelle

e avronne avuto er piune stt’o ott’anni

una mattina cinque osse’e piu ‘ granne

m’abbrdonno e me fonno Cardarelle

ce vienge tune,no? dove? A baccelli……

Arrive che poi fussimo al cantone (de le frate)……

Voi figura’ che fune!Hai visto mae

quanno che arriva ‘r porco ma le mele’

l’hai visto?Sine?..imbe’, tu non trapele..

nun c’e’ gnuno che te svele

si che straccio ‘ e strugello in quelle fae!

Nun erono te crede, che se stava

‘ntramezzo le beccelle de le frate..

se siguitaa a struccia’, se straticava..

c’e’ fu uno, ‘r figlio dell’Abbate,

che da quante ‘n’aveva sradicate

ce sgronnolava tutto,e siguitava.

c’arvortamo su verzo la chiesa

e ‘nduvinace n po’ si cche e’?

Sett’otto frate che pareono guaste

a zompe e sarte giu’ per quella scesa

che noe, porette a noe, semo rimaste.

Semo rimaste proprio lli’ per lline

pero’ fu p’momento che Tonelle

dice : Man ‘chi gle preme la pelle

se sarve e a chi ‘ n je preme reste stine!

Te pare, figlio mio, a resta’ milline

con quell’ossesse dietro ch’a vedelle

sortanto a bracce arzate le budelle

tremavano mar corpo? Ah! Mbe’, me sa, si sssine

era tempo de restacce , si n’me sbaglio………

N.37 Minestra tiepida di baccelli freschi, cipolla di Cannara e baffo con julienne di limone d’Amalfi e ricotta salata.

Prouratevi delle fave freschissime e della bietola tagliata grossolanamente,fate bollire il tutto in acqua salata e, a cottura ultima, sminestrate in una scodella dove avrete messo delle croste gia’ bollite e decerate di parmigiano insieme ad un soffritto di cipolle di Cannara a rondelle fini e cubetti di guanciale. Completate in uscita con julienne di ricotta salata frammista a menta fresca e scorze di limone d’Amalfi chiudendo con stravergine umbro,pepe a mulinello e un ciuffo di finocchietto selvatico .

Il Vino Umbria bianco Villa Fidelia.

Blend paritario di grechetto e chardonnay, barriccato e poi affinato lungamente in bottiglia. Splendidissimo prodotto con sentori di burro vanigliato ma giustamente aciadulato con richiami di pompelmo rosa. Persistente e di buona struttura.

L’Olio Evo multivarietale DOP umbria “Frantoio Betta ” S.Girolamo di Perugia

Ampio ed avvolgente, con cartteristiche note di carciofo, salvia e rosmarino. Fruttato inteso tipico della dop.Eccellente.

I Luoghi Di nuovo da Renzo Caiello, tra Baschi e ad Orveito ,alla Quiete di Caiano, dove ho mangiato una bella minestra di fave fresche del suo orto.

Alemagna, Motta ed ancora e poi Eldorado, le tabelle smaltate e colorate con nomi stravaganti di gelati, da Coppa del Nonno a Piedone, facevano corona alle nostre estati lunghe e calde degli anni 70, quando con 100 lire si compravano cremino e “biretta”. Gia’, anche la birra, quella Peroni col tappo giallo in latta per pubblicta’ o Moretti col baffo, anche con gazzosa, che non c’entra nulla con la Sprite o magari Chinotto od aranciata amara SPellegrino. Che tempi quelli, giu’ dalla Benna a Monteleone, col juke bok con Azzurro di Celentano, o Mina o i Nomadi, tanto per dire. Di quella musica e di quei sapori, non c’e’ piu’ traccia, i ghiaccioli sono solo freddi, i cremini sciapi ed i cornetti duri.

Proviamo allora a farlo in casa , il gelato

N 36. CREMA GELATA ALLE ORTICHE CON IL SUO INFUSO CALDO

Procuratevi una bella gelatiera a sale, come una volta, mettetela in funzione dopo averla fatta adeguamentamente raffeddare e fabbricate una crema di panna fresca ed ortiche (basta sbollentirle in acqua bollente un solo minuto) in buona quantita’, mescolando il tutto con zucchero di canna ed un tantino di olio stravergine d’oliva, rigosoramente umbro. Non appena fatto il gelato, servitelo in coppa aggiungendo un infuso caldo in infusiera con limone di Amalfi , ortiche e finocchietto selvatico..

La birra Una classica Peroni o Moretti o Poretti. Fresca e schiumosa.

I luoghi Da Pisello, sotto Todi. Il nome non e’ grancosa come il locale. Ma sono gentili, si mangia d a trattoria e si spende poco. Conserva insegne di gelato . Una stalla

Tuber mlanosporum, aestivum et magnatum

in latino e che in volgare stanno per tartufo, nelle sue diverse declinazioni. Da ragazzotti. con mio cugino Giuseppe, musico alternativo ed universitario assai distratto, reclutammo in quel di Sangemini un canetto che ci venne, a caro prezzo, spacciato da tartufo con cui cercammo il pregiato tubero per volte e volte ed inutilmente per i boschi martani. Giunti alla conclusione di sopprimere l’animale, poi superata dall’inopinato intervento di un veterinario suo salvatore, ci dedicammo alla assai piu’ facile ricerca di funghi, abbondanti in zona e nel periodo, anch’essi piacevoli gastronomicamente. Cosi’ del tartufo, necessariamente per me da acquistare con prezzi e qualita’ assai diversi ma sempre elevati, rimane la memoria del tentativo e questa mia piccola ricetta di

N.35 – Uova in tartufo in sandwich

Procuratevi uova freschissime che non abbiano conosciuto frigorifero e del pane da sandwich. Lasciate bollire alcune uova per sette minute ed altre per tre. Liberatele dal guscio e spalmate con quelle meno cotte le fette di pane, aggiungenteve sopra del tartufo sfogliato sottile ( meglio bianco di Citta’di Castello o Fabro o nero di Norcia, risultando non idoneo lo scorsone) ed ancora rondelle di uova piu’ sode, ancora tartufo ed un po’ d’insalata, chiudendo il tutto co n altra fetta di pane intriso di uova molli. Una variante possibile e’ un tegamino di coccio su cui adagierete una fetta di pane da sandwich, un uovo fresco lasciando cuocere il tutto a bassa temperatura nel forno a legna , che avrete utilizzato il giorno prima e che sara’ rimasto leggermente tiepido. A fine cottura(puo’ volerci un’ora) tagliateci sopra un po’ di tartufo e un pizzico di sale e servite.

Il vino Un bel rose’ spumante di Madonna del Latte di Orvieto

I Luoghi Da Meo , a Citta’ di Castello. Un buon due stalle, anche per i tordi allo spiedo con il ginepro.

e’ territorio ricompreso tra la provincia di Siena e quella di Arezzo ma anche nell’area di un lembo estremo d’Umbria, tra M onteleone d’Orvieto e Fabro. Nei suoi terreni fertili, fanno parte del paesaggio i bovini bianchi che da questa prendono il nome cioe’ la razza Chianina, una delle cinque razze pregiate dell’Appennino centrale, per anni allevata per lavoro ed ora prevalentemente per l’eccellenza delle sue carni, praticamente le migliori al mondo per le specifiche qualita’ organolettiche e la particolare sapidita’ e tenerezza..

Ai tempi dei pagliaii, ora scomparsi, frequentevo qualche contadino monteleonese e , nei pranzi in campagna , per trebbiatura , compariva sui loro tavoli , oltre al tradizionale pollame e carne di porco, anche la cosiddetta vaccina, cucinata’ con semplicita’ e di solito un po’ dura perche’ rinveniente da capi esausti;in ogni caso, dimostrazione dell’uso almeno festivo di chianine o maremmane, nominate spesso come Rosetta o Rondinella ed abbeverate alle borghe campestri, utilizzate come fonte di riscaldamento in quanto le camere da letto dei casali erano poste proprio sopra le stalle.Per quel concerne gli usi piu’ nobili della carne chianina, vi raccontero’ quello in voga quando il padrone tornanava da viaggi d’affari per l’aquisto di bestiame o di sementi , festeggiando proprio con carne di qualita’ riservate alle grandi occasioni

Lombo intero di chianina al forno per le grandi occasioni

Procuratevi un lombo intero di chianina, bastante per una cinquantina di porzioni, facendolo frollare per almeno quaranta giorni in celle frigorifere a 2 gradi, meglio se di scottona, la giovane femmina cioe’ di non piu’ di di due anni che non abbia conosciuto il toro e sia quindi in calore, per cui il nome,che offrira’ carne marrazate di eccezionale qualita’ e tenerezza. Condite il lombo con qualche spicchio d’aglio rosso di Colfiorito e un po’ di rosmarino, strisciandoci sopra un po’ di sale grosso, senza eccedere e ponetelo quindi su un trespolo da porchetta o analogo nel forno a legna adeguatamente riscaldato, dove lo lascerete cuocere per piu’ ore finche’ non avra’ formato una crosta marrone e croccante.L’operazione e’ complessa e merita gente esperta ma e’ straordinariamente conviviale.

I luoghi Sicuramente Il Boccone del Prete di Porano, un tre stalle assoluto per la carne chianina.

Il vino Preferite un Sagrantino di Montefalco adeguamente invecchiato

N.33 – LE MANI IN PASTA

Quella buona, pero’ anzi buonissima, delle massaie d’Umbria. Eh, si’! Perche’ solo dopo i ventanni, età nella quale ho cominciato a mettere il cacio sui maccheroni, ho veramente imparato a conoscere ed apprezzare la pasta, di casa e non, nelle sue infinite forme, dagli spaghetti agli umbrichelli, dalle tagliatelle, alle pappardelle, ai rigatoni, alle mezze maniche, ai bucatini , agli schiaffoni e così via.

La caratteristica ed il valore aggiunto delle cucine d’Umbria sono però i sughi forti che, pur raccogliendo altre tradizioni, risultano comunque tipici, come quelli di castrato o di piccione, per fare solo degli esempi.

Di questa ricchezza gastronomica ancora raccontano alcune trattorie nostrane, testimoni quasi inconsapevoli dell’eccellenza, come Trattoria del Conte Orvieto Loc.Buonrespiro.

Fatevi preparare i rigatoni con la pajata, ora sdoganata, o le mezze zite con i pomodori al forno od ancora , checche’ se ne dica, la migliore carbonara orvietana.

Trattoria Le Querce Allerona scalo

Splendide le tagliatelle al sugo d’oca in cui si possono cogliere la sapidita’ della carne e la dolcezza dei fegati e delle interiore del volatile.

Certamente ed almeno una stella

La Quiete di Caiano Baschi

Tra l’altro, gli gnocchi di casa, che leggo come pasta,in sugo di carne rosso forte.

I Morti di Fame Collazzone – Non fatevi distarre dal pessimo nome. Li ci lavora Maria del Peglia, la migliore pastara d’Umbria, quella da duecento uova al giorno tra fettuccine, pappardelle e simili, tutte a mano col lasagnolo e sughi eccellenti della tradizione umbra. Per la pasta  tre stalle.

Il vino Quello rosso, veramente di casa, di Renzo Caiello della citata Quiete di Caiano.

L’olio. Ancora Caiello, il suo.

N.32 – Terni, trattori e trattorie ed anche d’Umbria

Mi sara’ consentita una piccola evoluzione a sprazzi della rubrica conventicolare per qualche indicazione su trattori e trattorie di Terni e d’Umbria e quindi, si badi, non sui ristoranti, fatica che lasciamo agli eruditi e dotti ispettori di Michelin, l’Espresso e quant’altro similare. Dopo essermi divertito “con gusto e de gustibus” con la Conventicola del Budelluzzo , Scrofudde e Citta’ Scro , mi sento di suggerire un percorso non a tre stelle ma a tre stalle, sulla via cioe’ di quei locali schiettamente popolari, spesso fuor di porta, osterie soppravvisute ma non banalI o dozzinali, tutori quasi incosapevoli della buona cucina di casa e delle nostre parti, tradizionale ma sempre sorprendente per ingredienti, semplicita’ e qualita’ degli ingredienti, che non saranno mai chiamati da Bruno Vespa a Porta a Porta in quento impegnati nei furiosi combattimenti sull’ultima linea del Piave dopo la Caporetto degli chef, delle tartare con il pop corn e la viola mammola, poveri fanti col grado di cuoco semplice ancora resistenti sul fronte della semplicita’ ed incuranti del fuoco delle mis en place in lino ornato, dei piatti di Hermes con i balconi del Gualdalquivir ed i conti da 500 euro. Prendiamoci per mano ed andiamo a trovarli questi eroi qualunque; ai migliori tra i migliori per qualita’ e sapori conferiremo l’onoreficenza delle “tre stalle” ma li ricordemo comunque tutti alla pari in questa nostra rubrica minima ma affettuosa.

Trattoria Da Sara a Moricone di Narni (TR)

Assai fuori porta, questa trattoria esiste e resiste dal 1927 con piatti assolutamente di territorio, offerti all’interno di un locale che un tempo fu sala di privata casa, dimessa e semplice e pertanto particolarmente piacevole. Consiglio gli antipasti di sottoli e crostini neri di fegato di pollo, le paste al forno e di casa, i tordi e gli uccelletti allo spiedo contornati da raponzoli con le alici. Di media, 25 euro. Merita la segnalazione ed una stalla.

N.31 – LA ROBBA COTTA, LO STUFATO DI QUINTI QUARTI DI MAIALE

Tipica dell’eugubino ma in realta’ cibo tradizionale di tutta l’Umbria, il cotto di quinti quarti di maiale e’ cucina poverissima e gustosa, adatta a stomaci robusti, per dirla, mi perdoni, con Artusi, categoria assi diffusa nelle nostre campagne di un tempo dove il lavoro nei campi era sudore e fatica vera e doveva essere conpensato dal punto di vista alimentare non certo con brioscine ma con piatti forti e truculenti come

Lo stufato di quinti quarti di maiale

procuratevi musetto, zampetti, coda , guanciale, fegati, milze e quant’altro che del maiale costituisce il quinto quarto, la parte cioe’ considertata, assai erroneamente, di minore pregio, ponendo il tutto, cosparso di sale, pepe, rosmarino, salvia ed aglio rosso , finocchio selvatico, maggiorana ed un bel cipollotto di Cannara, in una leccarda di coccio che porrete al di sotto di un cosciotto di maialino da girare alllo spiedo, anch’esso condito e picchettato con le stesse spezie. Man mano che il cosciotto prende colore, fate colare sullo stesso del grasso di maiale infilzato in uno spiedo e rigirato in carta gialla da macellaio , detto pillotto,dandogli fuoco e facendolo colare fiammaggiante sull’arrosto che trasferira’, nel contempo, la sua sugosita’ nella leccarda. Portate a termine la cottura, aggiungendo di tanto in tanto una spruzzata di vino bianco.

Il vino Umbria rosso IGT “CAPOFOCO” 2012 Chiucchiorlotto Vaiano Castiglione del Lago PG.

Tipico della zona, piacevoe e suadente gamay che ricorda il fiore di viola, in sapiente blend con montepulciano e merlot, un anno di barrique e sei mesi di bottiglia. Quindici gradi di piacevole potenza alcolicsa

L’acqua Quelle inutilizzate della Fonti di Tiberio a Castelviscardo TR , oligominerale termale potabile

I luoghi Qualche trattoria di Gubbio, se si ricordano di Balduccio Cartolari detto Cacarella che vendeva la robba cotta sopra foglie di fico, come mi disse una volta il carissimo amico Pierluigi Neri, Sindaco emerito di Gubbio e mio brilantissimo collega di Giunta regionale dell’Umbria.

N.30 – SPAGHETTI CON IL TONNO

quelle del tonno, pero’, potremmo rifarci agli spaghetti con questo ricercatissimo pesce, secondo tradizione assolutamente siciliana ma diffusa ovunque ed anche da noi in Umbria, si da condivederne l’appartenenza. Reputo che il suo largo uso derivi anche dal suo basso costo in relazione alla qualita’ ed alla resa di cucina , come fu un tempo per il baccala’.la facilita’ di preparazione e’ ulteriore vantaggio di questo piatto che vi propongo in una mia rivisitata ed arricchita versione

Spagetti col tonno e le alici secondo Stefano Moretti

Procuratevi degli spaghetti grossi di Gragnano ovvero reginelle o mezze zite, due scatole di tonno di prima qualita’ ed una di ventresca dello stesso, un vasetto di alici, pinoli, pistacchi e capperi di Pantelleria, olive nostre in salamoia, pomodori pelati e menta fresca. Fate soffrigere in ampia padella stravergine umbro e aglio rosso di Colfiorito in camicia, aggiungete le olive, il pomodoro ed un po’ di conserva a vostro piacimento, poi i capperi, consentendo ad una breve cottura. Nel frattempo, mettete a lessare la pasta ed aggiungente al sugo il tonno e la ventresca di tonno insieme al battuto di alici, i pinoli ed i pistacchi, facendo bolire il tutto per pochi minuti per poi aggiungere la pasta al dente cospargendo di menta fresca.

Il vino Un Orvieto classico Bigi abboccato, suadentissimo

L’acqua Una oligominerale tra le tante d’Umbria

L’Olio Buio di Terre Francescane, CRUFOL Spoleto. Blend di cultivar umbre ottenuto con processi produttivi in assenza dil luce ed ossigeno. Caro quanto prezioso.

N.29 –  ZUPPA DELLA NEVE DI DON MARCELLO

E’ bellissima canzone di Franco Califano splendidamente interpretata da Mia Martini ma anche ritorno a quell’algido febbraio di meta’ novecento quando la neve cadde per un mese intero su tutt’Europa. Io, allora bambino, non ho memoria di quell’eccezionale evento climatico ma nonna Elvira mi raccontava di piantoni gelati, condutture sell’acqua spaccate, tetti crollati e di Topolino e Millecento musone ansimanti sul ghiaccio dove slittavano e sbandavano. Molto piu’ avanti nel tempo, Don Marcello, prete filosofo di Orvieto e buongustaio, mi racconto’ una volta proprio di quel nevoso tempo e di una donna in eta’ avanzata in campagna , il cui figlio, piangente, gli si rivolse per i sacramenti estremi, credendola morente. Cosi’, reclutato in caserma un giovinotto sottotenente e due soldati, si avvio’ con loro e con la campagnola grigioverde dell’Esercito, tra cumuli di neve, in quella remota dimora dove pero l’anziana, nel frattempo ristabilitasi, non trovo’ di meglio che offrire al canonico, all’ufficiale ed alla truppa una zuppa calda. Ad Orvieto, una nota trattoria offre da tempo la Bistecca di Don Marcello; anch’io voglio ricordarlo proprio per l’episodio citato , con una mia personalissima

Zuppa della neve di Don Marcello

Procuratevi bietole, lenticchie di Castelluccio e patate rosse di Colfiorito, lavatele e sistematele per poi bollire il tutto. Cotti che siano legumi e verdure, fate soffriggere stravergine umbro con aglio rosso in camicia su tegame di coccio e ponetelo sulla brace aggiungendo pomodori pelati di qualità e un po’ di conserva, senza sale. Fate sobbolire la salsa quindi aggiungete i legumi e le verdure tenute da parte, sale q.b. e peproncino e un po’ di brodo od acqua. A cottura quasi ultimata, mettete in pentola delle strisce lunghe e sottili di scorza di parmigiano raschiata e delle acciughe schiacciate ed infine un uovo fresco intero a commensale che farete cuocere nel coccio prima di scodellare. Suggerisco una degustazione comunista, cioe’ tutti nel coccio che terrete caldo come fosse una fonduta.

Il vino Gonfiateci un rosso di corpo come Anima Umbra di Caprai, sangiovese e cannaiolo, di un bel rosso rubino intenso con importanti e marcati sentori di frutta nera e floreali. Secco e fresco.

I luoghi Trattoria La Palomba Orvieto per la bistecca di Don Marcello.

L’acqua San Faustino di Massa Martana (Pg ). Dall’Ottocento, questa oligominerale altamente digestiva e piacevolmente frizzante

L’olio Primissimo dell Soc. Agr.Trevi . Solo 5 mila bottiglie di questo olio primo e quindi migliore. Bassa acidità ed alto contenuto di polifenoli per questo splendido prodotto .

N.28 SUA ECCELLENZA LO N’TOCCO

Io sono nato a Sangemini dove ho anche vissuto la mia prima fanciullezza, di cui ho flebili ricordi, brevissimi flash della memoria tra i quali quelli delle 10 lire che mia madre Gina mi dava, insieme al “culetto” del pane, per comprare, in pari misura, lo n’tocco, venduto per strada , li for di porta, sotto casa del dottor Berruti. Cibo magico, assoluta eccellenza gastronomica, ottenuta dallo scolatura della porchetta in cottura in una teglia sottostante contenente i quinti quarti del maiale, cioe’ fegati, interiora, sangue cagliato a cubetti, zampetti, orecchie et similia, il tutto aggiunto di sale e pepe quanto basta. Il norcino sapra’ poi gestire sapientemente la cottura al forno inserendo prima le parti piu’ dure, preventivamente ma non necessariamente lessate, poi, gradualmente, quelle piu’ morbide, come i fegati, ed infine , l’ingrediente nobile, il sangue a pezzetti. La pietanza, cosi’ orchestrata, trovera’ nel pane di Terni cotto a legna e fresco di forno, il suo ideale compagno di viaggio gastronomico, insieme ad un bicchiere di rosso di corpo di cui, purtroppo , in quei tempi ho fatto necessaria ammenda.

Il vino. Sagrantino di Montefalco . Non tutti i produttori si equivalgono, ma suggerire un Sagrantino comunque ben fatto e di buona storia senza necessariamente sceglierne uno, va certamente bene perche’ si trattera’, in ogni caso, di un grande vino in accompagnamento di un grande cibo

I luoghi. Purtroppo, for di porta a Sangemini, sotto la casa del dott. Berruti, non c’e’ piu’ il venditore dell’intocco a poche lire ma una comunissima banca, come tale tristissima. Tuttavia, mi risulta che qualche norcino sangeminese, preparatore di splendidissime porchette, sia ancora presente in loco e , sporadicamente, prepari lo n’tocco.

L’acqua. A Sangemini, e’ solo Sangemini. Ma qui non serve, come l’olio.

L’affabulazione geniale del racconto cinematografico di Fellini ambientato nella Romagna di fine anni ’30 del secolo scorso richiama, nel nome, quella che ho riportato nell’incipit di quello splendido “amarcord!”, con la differenza che da noi la cadenza dialettale rende il termine piu’ stringato ed essenziale dell’opulento linguaggio della terra dove regnarono Guidi e Malatesta e il Passator Cortese. Resiste tuttavia un legame forte, rigidamente negato in terra d’Emilia e Romagna, ma in realta’ presente e concreto, quello cioe’ del piatto, dello stesso villano che, deposta la ronca,afferra la scodella ( mi scusi il ricordo del Poeta di S Mauro per l’abuso dei suoi scritti!) proprio come noi nelle campagne d’Umbria, in particolare per Natale, quando il desco diventa rito, caldissimo focolare, saga e il cappelletto, uguale e diverso dal tortellino, diventa cucina solo nostra, divinita’ della tavola, fatto solo a mano senno’ non vale, in quei giorni freddi d’ultimo inverno, quando si spezza il maiale e si cucina il gobbo, in numeri che si rincorrono quasi in gara tra di loro: 500,1000, 2000 …. e piu’!Poi il brodo, solo di cappone grasso ed infine il piatto colmo, il bis, quasi in ricordo di quella gola antica che fece decretare ad un Vescovo di Citta’ della Pieve, sul finire del quattrocento, nell’esercizio di un potere assolutamente temporale e laico in materia di igiene e profilassi, un limite d’uso a persona, proprio nelle feste, non superiore….a cinquecento!

Procuratevi della uova freschissime e farina tipo zero in misura che qualunque ricettario vi dira’ piu’ scrupolosamente di me, un mattarello od anche una macchinetta da pasta, impastate il tutto e tirate la sfoglia, quindi, con adeguato attrezzo, anche un semplice bicchierino, riducete l’impasto a piccole forme circolari capaci di contenere un pizzico d’impasto di cui vi diro’, richiudendo a forma di cappelletto la pasta cosi’ formata. Per l’impasto avrete usato carne di manzo e pollo in egual misura, cervella di vitello, noce moscata e mortadella, sale pepe q.b., che cuocerete brevemente in brodo di cappone ottenuto immergendo il pollo pulito e eviscerato in acqua fredda salata aggiunta di sedano, carota e cipolla chiodata e poi sgrassato. Tuffati i cappelleti nel brodo caldo, affogateli di parmigiano per servirli.

Il Vino Custodi Pertusa Orvieto

N.26 – LO GNOMO DEI FUNGHI

Nell’ottobre del ‘settantatre, il giorno prima di partir soldato,con mia sorella Letizia e mio padre Federico, in un boschetto di Monteleone , verso Piegaro, c’imbattemmo in un prato di porcini cosi’ esteso che mai piu’ avrei rincontrato e persino la mia allora giovanissima germana riusci’ a coglierne numerosissimi.Oggi i funghi appaioni nascosti e rarefatti, assai piu’ di allora, quasi introvabili, sottraendoci anche quella piccola gioia semplice e povera del ritrovamento piu’ che del loro consumo. Sara’ pure cambiato l’habitat, il microclima et similia, ma rimpiango quelle innocenti soddisfazioni non sapete quanto.Inoltre, quel boschetto non c’e’ piu’. Devastato da un incendio, la successiva colpevole inerzia dell’uomo lo ha destinato a spettrale luogo di abbandono. Tuttavia e per contro,ho rivisto di sfuggita lo gnomo che trovai in quel tempo di prim’autunno sotto un boleto grosso e nero, incazzatissimo per averlo disturbato a casa.

Forse non era lui, ma per chi ancora crede nelle favole come me,”io speriamo che me la cavo”

Tutto al plurale perche’ i funghi sono innumeri come il loro modo di cucinarli. Pensiamoli fritti, senza pastella, salati dopo cottura od ancora cotti in padella rigorosamente senza liquidi e poi aggiunti di pomodoro per il sugo o in padellino con aglio e mentuccia, come faceva Luciola di Angelino, con un profumo conseguente che ti accompagnava fino alla Quercia della Benna. Ancora secchi, siano porcini, palombelle o trombette dei morti od anche prataioli, lardaie o sanguinacci, quest’ultimi aggiunti di latte , pomodoro e salsicce per un sugo senza confronti. Quelli secchi, non fateli rinvenire ma grattuggiatelli sopra la pasta, come il parmigiano, quelli freschi da consumarsi subito con un goccio di olio e limone e un po’di sale, come i coprini, accompagnati da fragole fresche e funghi dell’aglio. Eccellenti.

L’olio Quello del molino Stella di Cataloni Miranda a Monteleone d’Orvieto

L’acqua Quella sorgiva della Fonte di Monteleone se ne hanno ripristinato la potabilita’, come mi auguro

Il Vino Un Orvieto rosso DOC, Azienda PACE Poggiocavallo Orvieto

ma buone anch’esse se immerse in olio bollente, secondo nostro detto umbro.

Per l’invero, assai difficile risulta resistere alla tentazione del fritto, nelle sue innumeri versioni, ma soprattutto di risvegliare , almeno in me , nascosti istinti di ruberia domestica in quanto mia madre Gina ed ora mia moglie Antonella, scodellando fritto caldo, scatenavano l’irresistibile impulso di non aspettare il servizio a tavola ma di letteralmente rubarlo dalla carta gialla dove si fa scolare. Inesplorabili meandri della mente e della gola,mi inducono ancora a considerarlo piu’ buono cosi furtivamente sottratto di quanto comunque possa esserlo a tavola.

Per l’invero alla cucina romanesca va ascritto il merito del fritto reale piu’ che a quella umbra, sempre un po’ in ombra tra Lazio e Toscana. Tuttavia, da sempre, anche dalle nostre parti i cibi si esaltano friggendoli, oggi con olio di semi di girasole ad elevato punto di fumo per gli alti oleaci, ieri a casa con quello stravergine d’oliva, con punto piu’ basso ma implementabile, e d i molto,con semplice aggiunta di burro chiarificato..

Preferendo quest’ultima soluzione, assai piu’ saporita,immergete nell’olio divenuto bollente su padella nera, a dispetto di ogni friggitrice,meglio assai se vissuta, tutto quello di commestibile che vi viene in mente, comprese le fette di banana od il gelato. Rimanendo nel solco della tradizione, preferite le zucchine, le patate tagliate sottilissime non a spicchi,la salvia grossa e fresca, i funghi porcini e non, le melanzane, con o senza pastellatura, cosce di rana, ali e cosce di pollo, cervella ed animelle pastellate, risotto coi regagli e la mozzarella del giorno prima a mo’ di suppli,filetti di baccala’, fettine di vitella e quant’altro.

La frittura dovra’ risultare morbida e croccante, servita caldissima a spese del cuoco che, si sa, per questo non potra’ gustare del suo stesso lavoro.

Il VINO Cervaro della Sala ANTINORI Grande prodotto che fa a meno delle mie modeste valutazioni. Perfetto in abbinamento coi fritti , ladri di acidita’, per riequilibrare cio’ che questa cottura chimicamente sottrae.

L’OLIO Quello umbro nuovo, aggiunto di burro chiarificato ottenuto separando l’acqua dalla massa grassa

I LUOGHI Il Boccone del Prete Porano Gia’ menzionato, ma rimane il migliore anche per il fritto

In giro per l’Italia gastronomica, assai piu’ articolata di quella geografica, il bollito riceve complimenti un po’ dovunque, in particolare in quel di Verona, li’ accompagnato dalla salsa peara’ di pan grattato, brodo e midollo di bue, splendidissima anche se degustata, come m i tocco’ in sorte, all’inizio della caldissima estate del 2015 nella citta’ dei Capuleti e Montecchi, per la storia e per il racconto di Shakespeare, Cappelletti ed Agnolotti per Toto’ contro Fabrizi nei “Tartassati” di Steno. Piu’ sommessamente, mia madre preparava l’allesso, secondo sua sangeminese dizione, ovverosia il lesso, destinato ad eccelsi brodi facendo lungamente sobbollire in pentola o, se si vuole, pila, quella sempre di Toto’ e Sordi, per il primo la stessa di mamma e per l’altro quella di Volta, sulla Zoppas a legna con i pezzi di carne insieme ad una patata, pomodoro scottato, sedano, carota , cipolla e sale grosso. Del manzo, si utilizzavano le parti piu’ adatte, muscolo e biancostato, sempre con giusto filo di grasso e si accompagnava come pietanza alla minestra, con un po’ di brodo sotto , la richiamata patata e gli odori con maionese di casa con uova freschissime. Profumi e sapori mai dimenticati.

Oltre al muscolo ed al biancostato di vitellone, meglio chianino IGP, procuratevi anche parti e pezzi di pollo e tacchino, che hanno meno cottura,, lingua , zampone e cotechino da cuocersi a parte, coda ed ossa di ginocchio con rosicarelli vari, musetto e nervetti della stessa bestia, ponendo il tutto in una pentola con acqua fredda che porterete ad ebollizione aggiungendo sale grosso ed aromi come cipolla chiodata, sedano, carote e pomodoro scottato e privato della buccia, una o due patate e qualche grano di pepe grosso schiacciato. Fate bollire il tutto fino a giusta e morbida cottura, utilizzate il brodo per gli usi comuni mentre la carne andra’ posta in una capace fiamminga, accompagnata da zampone e cotechino con lingua in salsa verde di prezzemolo ed aglio, avendo cura di selezionare qualche buona salsa di accompagnamento.

IL VINO Doveroso suggerire un bel Lambrusco. Volendo rimanere in Umbria,uno spumante di qualita’ come il Decugnano dei Barbi Brut Millesimato 2012, da uve chardonnay e pinot noir, sboccato a mano. Con fine e persistente perlage, frescoa e piacevole. Che figurone!

L’olio Dai frantoi e dalle olive umbre, adesso a novembre, olio nuovo e piccante.

L’acqua Flaminia Nocera Umbra. Da possente fonte, appena sotto Nocera, sgorga quest’acqua pura, ricca di bicarbonato ed equilibratissima.

Il luogo Trattoria Via Gramsci Foligno In questa citta’, fin dai primi anni settanta, frequentatore della Scuola Ufficiali e Sottufficiali di Artiglieria, mitica SAUSA, il mio commilitone compagno di corso ed avvocato Natalini mi inizio’ al bollito, tradizione locale che , mi dicono, questo locale preserva e continua.

Dicesi di materia scadente, di infima fattura e qualita’, utilizzabile per il piu’ umile degli insaccati di maiale, la coppa umbra, appunto. Ed in questa semplice verita’ sta l’eccezionalita’ del fatto: l’ingrediente povero, anzi poverissimo che diventa eccellente anzi, eccellenza. La manovra di fabbricazione e’ assai semplice e di regola praticata negli scantinati della campagna umbra, da dicembre a tutto gennaio, per l’ammazzatura, quando la carne di risulta del maiale appena macellato, cioe’ la cotica, il musetto, la testa, le orecchie ed i pezzetti di ciccia matta sminuzzati grossolanamente e lessati, vanno pasticciati con buccia di limone ed arancia, sale e pepe, pressata per una notte con dei pesi per perdere liquidi in eccesso e poi infilata in una saccoccia di juta per appenderla in ambiente giustamente fresco e ventilato, poco umido ed anche buio e poterla gustare gia’ qualche giorno dopo. La coppa è uno dei tanti rituali della macellazione del maiale, oggi quasi tutti scomparsi, di cui ho vividissima memoria, come la padelletta dell’assaggio della salsiccia, le coste lette o costa ricce sulla brace ed i fagioli col grasso e il rosmarino. Dicembre è il mese delle saghe contadine umbre ed il porco, che avrei preferito per il gonfalone regionale al posto dei troppi geometrici ceri, il suo grande protagonista.

Della coppa ricondita Affettate sottilmente una bella coppa fresca e sugosa, grigia e non rossastra,grassa e non rinsecchita, e conditela con un poco di stravergine umbro che avrete salmorigliato con succo di limone e foglioline di menta fresche, qualche bacca di ginepro, pistacchio e pepe verde in grani. Aggiugete poi una julienne sottilissima di limone ed arancia in bccia, servendola su piatto grande con adeguato contrasto cromatico con il bel colore della coppa ricondita, gustandola con pane di Strettura alla Brace.

Il Vino Un bel Sagrantino di Montefalco, con tannini pronunciati ed evidenza di glicerina.

I luoghi Anche a casa , se fate da soli o vi servite di un vero macellaio che non usa conservanti.

N.22 IL CIRCOLO DEI PERACOTTARI

Pur avendo abitato a Monteleone d’Orvieto per oltre vent’anni, in tale lungo periodo non avevo mai sentito parlare della pera di Monteleone, frutto autoctono di quel territorio ed oggetto di successivi interessanti studi di carattere scientifico, in particolare quello di Isabella Dalla Ragione svolto all’interno di un suo qualificato impegno di ricerca e recupero del patrimonio arboreo originario in Umbria. Manca tuttavia una qualunque letteratura gastronomica di merito e, per quello che mi riguarda, una più precisa esperenzialità che consenta di suggerire l’uso in cucina di questo frutto. In ogni caso ho sicurezza del disuso in quanto, cruda, questa pera, detta anche papera, presenta particolare astringenza e legnosità, così che si deve desumere l’opportunità di un suo utilizzo previa manipolazione, come la cottura al forno o la riduzione a melassa od anche, perché no, una sua conservazione ed addomesticamento sotto spirito. Poiché i locali fanti di Slow Food pare non riescano a procedere sulla strada, pure interessante dei Presidi, che mi dicono presentino tra l’altro pesanti aspetti monetari (del resto, si sa, Petrini è innanzitutto un abile manager aziendale!) colgo anche qui l’occasione di proporre il Circolo dei peracottari per valorizzare:

quella di Orvieto, e non di Spoleto, dove l’eccellenza di quest’ultimo è invece il farro, che suggerisce un gemellaggio per l’otto di dicembre quando il curato del posto distribuisce la zuppa di quel legume che potremmo immaginare aggiunta di piccoli pezzi della nostra pera. Procuratevi in autunno delle pere di Monteleone che troverete su qualche albero del posto ancora conservato o tra Castel Giorgio e Castel Viscardo, dalle parti di Viceno, dove ce né uno grosso e visibile al ridosso della provinciale. Pulite sotto l’acqua la frutta, ed immergetela in alcool puro a 95%, lasciandola macerare per qualche tempo e poi consumarla tal quale utilizzando l’alcool in miscela di acqua e zucchero di canna caramellato per farne una bevanda particolarmente piacevole, una specie di Calvados nostrano. Ancora, vorrete cuocere le pere al forno, per gustarle accompagnate da salsa di cioccolato fondente Perugina e foglioline di menta; oltre, bollitele adeguatamente e trattatele come per le ordinarie marmellate, con aggiunta di succo di limone o di arancia, brandy italiano o grappa od anche liquori al limone o agrumi amari.

Pertusa Custodi – Bella vendemmia tardiva con lunga persistenza, suadente, con ottimo rapporto prezzo qualità

Vi suggerisco ancora la San Gemini la cui leggerezza straordinaria ben si sposa con i sapori della pera, comunque cucinata.

Indubbia regina delle tavole d’Italia,la pasta, corta o lunga, fresca o secca,si caratterizza per la straordinaria varieta’ di forme e formati nonche’ per la fantasia della nomenclatura, con cadute financo toponomatische od onomatopeiche come, da noi, l’umbrichello o la zuppa blo blo, che rendono l’idea di un popolo solare per allocazione territoriale e cultura.Il ditalone racconta il ditale, quello in metallo dorato e sbalzato delle sartine nostrane per non pungersi e meglio indirizzare l’ago,e prelude al piu’ moderno digitale, insieme a ceci e castagne, i primi del solco dritto della Tuscia umbro laziale, le seconde i marroni di Melezzole dove, a breve, verranno festeggiati insieme ai primi mosti, ci ricordano di una minestra eccellente, frequentatissima dalle nostre parti, quella di

Lessate i marroni in acqua salata quanto basta per pelarli, dopo freddati, con facilita’ ed eliminate le pellicine interne, cosi’ come lesserete i ceci. Cotti e sistemati che siano, fate insaporire il tutto in un soffritto di olio stravergine umbro,adesso nuovo e piccante,aglio rosso di Colfiorito e rosmarino abbondante, fresco e profumato. Versate quindi sopra all’intingolo del brodo di pollo precedentemente preparato fino a raggiungere una giusta densita’ che potrete regolare a piacimento con parte dei ceci frullati anziche’ interi,ed aggiungete i ditaloni fino a cottura.Scolatela senz’altro cospargendola solo di pepe fresco macinato. Volendo, in cottura, potrete aggiungere alla minestra qualche pomodoro saporito, del tipo ramato, ciliegiolo o piccadilly, privato, previa scottatura, della buccia. Per una serata elegante di cibo povero, utilizzate una minestra con prevalenza di ceci frullati, quasi una crema,versandola in larghi calici da spumante o aperitivo, aggiungendo a crudo olio trattato con rosmarino pestato in guisa che sia divenuto verde,cospargendo i bordi dei calici con pepe del Madagascar, rametti di rosmarino e pezzetti di marroni intrisi di Branca menta o Strega.

Il vino Trebbiano spoletino Arneto. Tenuta Bellafonte Spoleto

Di un bel colore giallo paglierino carico, al naso rende immediati sentori di fiori e frutta bianca. Di ottimo equilibrio complessivo, giustamente sapido, strutturato e persistente. Un bel vino.

L’olio Colleruita Az.ag. Viola .Foligno

Marco Viola ha sempre tenuto il fronte di una particolare valutazione:un prodotto di eccellenza merita un giusto prezzo.Reputo abbia ragione, difficile tuttavia da affermare in un contesto commerciale che propone olio stravergine a 3 euro al litro. Colleruita comunque segue questa logica. Migliore dop della sottozona Assisi Spoleto, presenta un fruttato medio con aromi decisi di carciofo e d erba fresca.

L’acqua Fonte Tullia Sellano PG

Acqua sorgiva da fenditura di roccia, captata senza particolare interventi. Sgorga in area incontaminata per assenza di allevamenti , attivita’ pastorizie ed industriali, mantenendo integre le eccellenti qualita’ organo letti che.

I luoghi Da Ada SMaria di Monteleone d’Orvieto

Abbiamo gia’detto dell’uso del quinto quarto tra le cucine povere e in quella umbra. Partendo tuttavia dal presupposto che, in realta’ ed in assoluto, non esistono vere e proprie cucine regionali ma una varieta’ numerosa di quelle territoriali, queste, a loro volta, risentono di diverse influenze come, da noi ed a esempio, nella parte meridionale della regione,tra ternano ed orvietano, di quella romanesca piu’ propriamente detta.Tra questa, le interiora, sia di agnello che di vitello ed anche, almeno un tempo, di pollo(splendide al sugo di pomodoro o in bianco col limone!). Qui riportero’ la brevissima ricetta di un piatto di assoluta eccellenza per quanto oggetto di diffidenza da parte di molti, cioe’ la pajata ovvero una parte dell’intestino del vitello da latte lavorata tradizionalmente con i rigatoni ,( quelli di Albeto Sordi ne”il Marchese Del Grillo” – “E’ merda!) od anche bruschettati sulla brace o cotti al forno.

Procuratevi una bella pajata, finalmente tornata tra noi dopo anni di insensato ostracismo dell’OMS, ripulitela delle aderenze, ungetela con olio, sale, pepe, rosmarino e finocchietto selvatico, dividetela in pezzi da circa tre etti e ponetela al forno o sulla griglia, in tal caso rivoltandola spesso e facendola cuocere almeno una quarantina di minuti. Per i rigatoni, legate la pajata in ciambelle di circonferenza di 6/7 cm e, dopo averli soffritti in olio stravergine e aglio in camicia, salati e pepati, aggiungeteli di pomodoro o, s e li volete in bianco, di acqua e vino bianco finche’ non risulteranno teneri e non piu’ gommosi.Cotta che sia la pajata, conditeci i maccaroni senza aggiungere formaggio.

Il vino Orvieto Amabile Bigi Orvieto Nell’originale Gaudy, un vino tradizionale abboccato (non dolce!), con prevalenza di procanico, con chiama di tenori zuccherini pronunciati che gia’ anticamente si producevano per la lunga stanzialita’ del vino in cantine molto fredde, tipiche delle zone di Orvieto.Di grande morbidezza e suadenza.

L’olio DOP Poggio Amante RANCHINO Porano

Raffinato e leggero, con evidenti note di frutta verde ed erba appena calpestata, per dirla con Finardi,e’ il classico dop orvietano che ben si sposa a tutte le cucine umbre di qualita’

L’acqua Contessa SIAMI Spa Gubbio – Piacevole oligominerale eugubina di buon rapporto prezzo qualita’

I luoghi Il Boccone del Prete Porano Il Conte Orvieto

N.19. Procambarus – La Conventicola del Budelluzzo

Ho avuto a che fare, da ragazzo Presidente della Provincia di Terni, con il ripopolamento ittico, in forza del quale gettammo nelle acque del Nera e del Velino moltissimi di gamberi di fiume, di cui però rapidamente si persero le tracce, vuoi per pesca irregolare vuoi per modifiche dell’habitat e del microclima. Oggi la specie si è assai ripresa, anche per l’introduzione del procambarus americano, molto resistente ma nemico giurato della bio diversità e quindi da sottoporsi ad attenta vigilanza di cui gli operatori provinciali, nonostante la minacciosa legge Del Rio, sono sicuro, sapranno farsi solerti interpreti. Insieme ai gamberi, i fiumi nostri regalano anche anguille e granchi, ottimi per le zuppe.

Quello tipico è riferibile all’area del Trasimeno ed è una zuppa costituita da diversità di pesci di lago cotti in salsa di pomodoro. Quello che vi propongo è invece farina del mio sacco e non è detto vi risulti gradita. Comunque, procuratevi gamberi di fiume, granchi, anguille e persici di piccola pezzatura e procedete come segue:

In quanto ai gamberi, bolliteli in acqua salata finchè non diventino arancioni, fateli freddare, conditeli con abbondante succo di limone, sale e peperoncino quanto basta, per impastarli poi in olio extravergine di oliva umbro, aglio rosso di Colfiorito e prezzemolo finemente tritato, lasciandoli insaporire in frigo almeno un giorno;

Per i granchi e l’anguilla, una volta sistemata quest’ultima e privata della pelle e della testa, poneteli in una padella a farli soffriggere sempre con olio umbro ed aglio in camicia per poi cuocere il tutto in brodo che gli verserete sopra, ottenuto con parte degli stessi pesci e crostacei, un pò di vino bianco e qualche pomodorino per avere una zuppetta da servirsi tiepida;

Prendete infine i piccoli persici, privateli della lisca centrale, passateli in olio di oliva, aglio ed un trito grossolano di alloro, quindi poneteli sopra una brace leggera di cannucce di lago fino a “bruschettarli” molto bene (si chiamano infatti, a Piedilugo, “carbonaretti”).

Imbandite la tavola con uno, due e tre, come fosse un unico piatto di portata. – Buon appetito.

I luoghi Da Settimio a San Feliciano del Lago

Il vino Orvieto classico DOP Poggio Cavallo – Canale di Orvieto – Az.Agricola Pa.Ce. Piacevole e fresco, tradizionale nel gusto ed innovativo nella belle ed elegante bottiglia borgognotta.

L’olio Az.Agricola Ranchino Eugenio di Porano – Poggio Amante DOP Umbria – Orvieto Le caratteristiche di leggerezza ed intensità aromatica, in particolare l’erba tagliata, fanno di questo prodotto un top dell’area orvietana poranese.

L’acqua Sasso vivo – Foligno

Non ho certezza che questa oligominerale con una storia di qualità che data dal 1940, sia ancora in commercio, essendo scomparso il dott.Massenzi, che fu titolare della ditta individuale proprietaria del marchio, fin dall’inizio. speriamo di sì, in quanto acqua che si è fatta onore tra le minerali umbre.

N.18 – Supplì e maccaroni riscaldati

L’avanzo,quel che rimane in pentola di pranzo o cena, e’ dalle nostre parti oggetto di cucine a parte, non del riscaldato ma del ricuci nato, quindi,vero e proprio cult. Praticamente, nessun cibo rimasto sfugge ad una possibile ricucina, salvo, a mio avviso,gli arrosti ad eccezione del pollo freddo, lo stesso che un mio compagno di scuola, esatto esatto il 1 luglio 1971, alla prova d’esame di maturita’ liceale, per colazione, davanti a me, giovin ribelle dalla riccia capigliatura recisa praticamente a zero su ordine del tiranno mia madre e vestito cachi con cravattina a dispetto del collettivo giuramento in forza del quale saremmo dovuti tutti presentarci all’esame con chioma fluente e jens scampanati che, ugualmente tutti in forza di eguale tirrania, tradimmo;io con un tramezzino di Montanucci di Orvieto, lui con un pollo intero! Che dire se non chiedere, con lo stesso tono dispotico di mia madre, una coscia dello stesso?E’vero, l’amico era solito far colazione col portapranzo e pasta e fagioli ed io con la panna di Adriano ma, insieme in gita e comunemente, il nostro sentimento gastronomico profondo si evidenziava in chiaro di fronte al panino con la frittata e la fettina panata preparati, sempre dallo stesso titranno, la sera prima. Neanche Beck o Cracco saprebbero fare tanto.

Trionfali, tra gli avanzi, i suppli di riso e la pasta riscaldata. I primi, di origine romanesca e storpiatura francese, sono da sempre in uso anche in Umbria ed hanno bisogno del risotto del giorno avanti, fatto con sugo rosso di carne, cipolla , qualche porcino secco, rigagli di pollo, brodo di carne , abbondante parmigiano, sale e pepe q.b..Fermato che si a per 24 ore, e’ pronto per i suppli’ cui dovrete solo aggiungere, nel mezzo, mozzarella filante e dopo, assunti in forma d’uovo, rigirarli in sottile pane grattato e fritti a fuoco dolce. I maccheroni, sempre avanzati dal giorno prima e conditi dello stesso sugo, vogliono diversa cottura, semplicemente su padella nera dove andranno bruschettati e un po’ attaccati.

L’acqua Provate quella di fonte libera che sgorga per pubblica cannella in loc. Fanello di S.Venanzo di Terni, sulla provinciale orvietana, detta Fontandicori.

L’olio Azienda agricola PA.CE. Stravergine Poggio Cavallo Orvieto, loc. Le velette.

Olio pregevolissimo da cultivar tipiche della zona, pastoso e leggermente amarognolo, con percettibile e gradevole pizzicorio, specie se nuovo. Prodotto in quantita’ assai limitata.

Il Vino Grecante di A. Caprai Montefalco Perugia

Grechetto in purezza, con sentori caratteristici di frutta gialla matura e nota gessosa in finale. Fresco e persistente.

I luoghi Dove, di volta in volta, si riunisce La Conventicola del Budelluzzo o a casa di mia sorella Letizia.

e’ la mitica stufa economica della trevigiana ditta di Ferdinando e figli con la Z a mo’ di tre rovesciato di teutonica origine e tanto di slogan (Zoppas li fa e nessuno li distrugge) di cui ho memoria vividissima di quando, nei rigidi inverni monteleonesi degli anni settanta, scaldava l’intera cucina di casa, con accanto, a destra,la tivvu’ b.n. che trasmetteva da Saigon i drammi della grande guerra del Vietnam ed a sinistra il piccolo focolare con i sacchetti di iuta con dentro i porcini da essiccare. Sulle stecche del tubo, mutande e fazzoletti, sulla piastra la pila del brodo,nel fornetto, a volte e di domenica,lo strepitoso

Prendete un bel coniglio, magari allevato in campagna,cospargetelo di sale e di abbondante pepe a mulinello, mettendo da parte le interiora. Riempitelo quindi di finocchio selvatico fresco, patatine a pezzetti precedentemente insaporite, le interiora ripassate in padella con un po’ di salvia, cipolla e rosmarino, qualche pezzetto di guanciale di maiale e chiudetelo infine con spago da cucina.Riponetelo in una teglia stretta, irroratelo di olio umbro stravergine e lasciatelo cuocere nella Zoppas aut similia o nel forno a legna finche’ non diventera’ di un bel marrone lucido, croccante e sapido al palato. Buon appetito.

Cervaro della Sala Antinori Ficulle Tr.

Splendidissimo prodotto del terroir da uve chardonnay e grechetto, cosi’ a lungo e giustamente decantato da apparire la mia voce banale dentro il coro.Il coniglio apporchettato e’ abbinamento ardito, ma consigliato.

L’olio Frantoio oleario Miranda Cataloni Monteleone d’Orvieto TR

Mario Stella e sua moglie Miranda sono indigeni monteleonesi, culla dell’olio umbro di qualita’. Cercate, tra diversi e tutti ottimi prodotti, quelli, pure presenti, dei soli cultivar locali, lavorati nel loro moderno oleificio. Ditegli che vi mando io.

L’acqua Provate l’acqua di una delle tanti fonti e vene umbre, fatta appena bollire , poi lasciata raffreddare e messa in frigo, con apposita bottiglia ed Idrolitina Gazzoni.

I luoghi Per il coniglio, mi dicono Mamma Angela ad Orvieto, ma non ho provato.

Per il finocchio, le greppe dell’Umbria

N.16 – LA LINGUA DI BUE ALLA MANIERA DELL’ARTUSI

Mio padre Federico aveva una vera e propria inclinazione pedagogica, forse derivante dal suo essere maestro elementare cui i fatti della vita avevano negato il pubblico insegnamento destina ndolo ad altre e diverse attivita’ professionali. Cosi’, mano sulla spalla con me ragazzino alle prese con le declinazioni latine e mano nella mano, come Renato Zero nella sua bellissima “Il carrozzone”, per terre e boschi di basso Lazio dove eravamo approdati per venture lavorative, mi fece conoscere un fungo detto”lingua di bue”, parassita arboreo di eccellente commestibilita’ anche da crudo, in tutto simile alla vera lingua bovina, oggetto dell’odierna digressione, e della relative cure culinarie di mia madre Gina che la propinava nei pranzi casalinghi nella succulenta maniera salmistrata, cioe’ condita con prezzemolo finemente tritato, aglio a pezzetti minimi.,alici, capperi, olio e poco sale.

A quella tradizionale di casa, ne contrappongo una alla moda dell’Artusi (mi scusera’ il Maestro solo per averlo nominato!) assai facile da preparare, salvi i tempi di salamoia, e sapidissima al palato.

Lingua di bue alla maniera dell’Artusi e condimento di casa

Procuratevi una lingua di vitello o di manzo e cospargetela di abbondante sale grosso, tenendola in un contenitore alimentare a marinare per 6/7 giorni, consentendola ad una abbondante salamoia. Trascorso il tempo,ponetela in una capace pentola con solo acqua che farete bollire fino a ridurla morbida e facilmente infilabile da una forchetta. Privatela poi della pelle superficiale, lasciatela raffreddare e quindi tagliatela a fette sottilissime, meglio con una affettatrice. Disponetela sul piatto di portata ricoprendola con la salsa sopra descritta, arricchita, se volete, di pinoli e senape tradizionale. Contornate di funghi lingua di bue lavorati come credete.

Il vino Lungarotti Rubesco Vigna Monticchio

Se l’avesse assaggiato, Mario Soldati avrebbe certamente rivisto il suo poco lusinghiero giudizio sul vino top della cantina Lungarotti. Di ottima struttura, caratterizzato dalle note eleganti del Canajolo in uno col Sangiovese, dal rubino dei suoi riflessi emana netti sentori, decisi e piacevoli, di mora, ciliegia matura e viola mammola. Tannini morbidi e d equilibrati con lunghissima persistenza.

L’olio Az. Agraria Bacci Noemio. Gualdo Cattaneo.

Meritatissimo diploma di gran menzione per il Dop Colli Martani Biologico, con sentori appropriati di carciofo ed erbe di campo.

L’acqua Fonte Aurea Sangemini

Dalla mia Sangemini, questa bell’acqua, povera di sodio e con effetti diuretici. Con prezzo di fascia bassa, si pone come prodotto di buon rapporto costo- qualita’.

I luoghi I boschi del Monte Peglia, verso nord e nel muschio e d’ottobre,alla base delle querce, per il fungo.

Qualche trattoria ternana, ogni tanto, per la lingua.

N.15 – IL GHIOTTONE ERRANTE ED ORVIETO

Paolo Monelli, dottore in giurisprudenza, scrittore e giornalista, sottotenente nella prima guerra mondiale e colonnello nella seconda, sempre di complemento in quanto impegnato, tra un conflitto e l’altro, a scrivere l’affabulante “Il Ghiottone errante” storia di gastronomie vagabonde in terra d’Italia ed anche d’Orvieto coglie dai vicoli della citta’ un odore acre e piacevole di senape e scopre la bistecca del curato, la cui toponomastica riconduce all’erudita e dominante ghiottoneria prelatizia, alla pari del boccone del prete, ovvero il culo della gallina, rintracciata nelle viuzze nostrane di cui almeno una , invece che al Vittorio Emanuele di turno,potremmo appunto titolare all’illustre e saporito nodino di vitello tipico orvietano.

Ai tempi del liceo, ancora aperte le osterie di fuori porta, in una curiosa bottega di cucina detta Quirino lo Zozzo, su mandato e raccomandazione della mamma di un compagno di scuola, gustai primiparo la bistecca di cui trattasi, forse ancora coi profumi sentiti dal Monelli quarant’anni prima. Oggi, per dirla ancora con Guccini,”la gente che ci andava a bere ……e’ tutta morta” con l’evidente, temporanea eccezione di chi scrive e gli osti non esistono piu’, rintracciandosi solo tristissimi chef. Posso solo – e lo faccio volentieri –ricordare quella che reputo sia la vera

Scegliete per la carne un nodino di vitello, parte del taglio di lombata, fatelo cuocere delicatamente in rosa, in una padella con solo stravergine d’Umbria e un po’ di sale.Avrete avuto cura nel frattempo di pestare nel mortaio un generoso ciuffo di basilico fresco, meglio se riccio, un cucchiaio di maggiorana, fresca anch’essa e tritata, qualche ago sminuzzato di rosmarino, mentuccia, uno spicchio d’aglio rosso per commensale, mezzo cucchiaio di senape in polvere , due acciughe dissalate a testa, un succo di un limone per ognuno, aceto forte di casa, olio nostro, sale q.b. A cottura ultimata, cioe’ pochi minuti, cospargete la salsa sui nodini caldissimi aggiungendo pepe a grani di diversa maturazione.

Umbria rosso IGT Prova d’Autore 2014Roccafiore Todi

Blend equilibrato ed assai originale di sagrantino , Montepulciano e sangiovese,dall’elegante riflesso granato, con sentore netto di spezie e frutta rossa matura, assecondati al palato dagli aromi vanigliati del legno.Vellutato, elegante e potente, si chiude dopo una lunga e piacevole persistenza degli aromi.

Classico Giulio Mannelli Bettona Pg

Tradizionale composto di moraiolo, leccino e frantoio, presenta evidenti note amare di carciofo ed erbe di campo,piacevolmente orchestrate e ricomposte nel caratteristico ammandorlamento dei tre cultivar.

Le Fonti del Clitunno Campello Pg

Secondo Virgilio, nelle Georgiche, le bestie immerse nella acque delle fonti ne emergevano bianche e pure.Meta di grandi poeti, da Plinio il Giovane a Lord Byron, ebbero in Carducci il loro massimo cantore.L’acqua che vi sgorga appare purissima e ove potabilizzata piacevolissima e fresca al gusto.

N. 14 –  LE FACIOLE CON L’OSSO DEL PROSCIUTTO

Si dira’ che c’e’ da dire;invece no, anzi si, c’e’ da dire e molto. Non parlo infatti dell’etto di prosciutto magro comprato al supermercato in quanto nulla ha a che vedere col prosciutto di rito e sapore antichi in uso in Umbria. Intanto, capitolo primo, del porco.Il prosciutto non si ottiene dal maiale ma dal porco, antichissimo centurello allevato allo stato brado “a ianne”, macellato intorno al quintale e mezzo, per una coscia di circa 10 chili, al netto nove. Svenato che sia del sangue della cava e posto in frigo a testa in giu’ per un giorno, si scoperchia, a pera secondo l’uso di Norcia, e si rifila dopo aver spremuto l’eventuale sangue residuo dell’arteria tramite adeguata pressione. Capitolo due. Della salatura. Salate il pezzo con sale grosso ripistato, sfregatelo sulla cotica e copritelo con una dose salina non inferiore al peso del prosciutto, pepatelo adeguatamente con grani di diversa maturazione. Dopo una settimana , nella quale avrete conservato il prosciutto ad una temperatura non superiore ai 10 gradi,spazzolate sale e pepe e ripetete l’operazione. Decorsi ancora venti giorni, togliete il sale, lavate il prosciutto con acqua tiepida ed asciugatelo con un canovaccio tenendolo ancora al fresco e ventilato, dopo averlo sugnato in particolare intorno all’osso che fuoriesce dal magro. Appendetelo dentro una retina contro le mosche per dieci mesi almeno. Sara’ presciutto e non prosciutto.

Le faciole con l’osso del prosciutto

Occorrono fagioli bianchi secondi del piano di Orvieto che lascerete rinvenire una notte in acqua non salata, dopo aver fatto rinvenire, sempre in acqua , l’osso di un prosciutto con qualche pezzo di carne ancora attaccata ,per almeno tre giorni. Predisposto in ampio recipiente un soffritto di stravergine ed aglio rosso, con sedano tritato fine, cipolla a fettine trasparenti e carota sminuzzata, vi adagerete i fagioli che avrete prima fatto adeguatamente lessare e poi l’osso del prosciutto spezzato in tre o quattro parti. Fate adeguatamente insaporire e coprite con pomodori ramati fino a cottura. Il piatto vuole poco sale,abbondante pepe e ciuffi di salvia.

L’olio Lyris Luigi Teca. Monocultivar moraiolo Molino IL Fattore Vescia di Foligno (Pg) Spiccati sentori di menta, erbe di campo come la cicoria, amaro deciso e piccante assestato da mandoralato in piacevole evidenza

Il Vino Armaleo Palazzone Rocca Ripesena Orvieto TR Cabernet sauvignon con piccola aggiunta di franc, piacevolmente barricato. Dal bel colore rubino con bordolesa nera che dona riflessi elegantemente scuri,e’ vino intenso e deciso gia’ al solo naso mentre in bocca sviluppa la componente di frutta rossa e nera con straordinaria resistenza.

L’acqua Umbra Celeste Cerreto di Spoleto Pg

Piacevole e giovane prodotto del sistema delle acque minerali umbre, note per le loro qualita’, e’ prodotto naturale assai grato al palato.

I luoghi Per i facioli secondi del piano, Costantino Pacioni, al mercato di piazza ad Orvieto. Il giovedì ed il sabato.

N.13 – IL BAFFO CON L’ACETO E LA SALVIA

Di quell’inizialmente noioso pomeriggio primaverile in quei primi anni settanta ho identica memoria di Guccini nella sua bellissima Statale 17 o, se volete un risvolto da inventore della dinamite, di Dylan in Highway 61 Revisited. Non avevo pero’ la 1100 del babbo di Giuseppe ma quello di papa’ Federico cosi come non ci recammo da Piumazzo a Sant’Annapelago ma da Monteleone a Citta’ della Pieve, all’osteria di Maria de Giovanni, sulla Statale 71, nota come umbrocasentinese, e naturalmente non c’erano neanche John e Dean sulla vecchia Pontiac del 50 ma Ivo, Ermanno, Fausto ed io, fermo il resto. Ci trovammo cosi’ cazzoneggiando a casa di un curioso minuscolo contadino, detto Tassino, di linguaggio ed origine marchigiani, amante del buon vino ed anche di quello meno buono, che cortesemente ci ospito’ offrendoci baffo e aceto cotto sulla stufa economica e pane di forno a legna di casa. Ha ragione Francesco, mi consentira’ di chiamarlo cosi’, che gli americani”ci fregano con la lingua” ma noi li freghiamo, stessero certi, col guanciale del porco che nulla, dicasi nulla, ha a che fare con uova e bacon serviti ad Omaha o Tucsonn o lungo la U.S Route 66, per quanto mitica sia.

La ricetta, di estrema semplicita’, deve essere fatta col cuore. Occorre un baffo, cioe’ un guanciale di maiale o meglio di scrofa, ben stagionato, tagliato finissimo e posto a cuocere, sen’altro,in una padella di ferro. Non appena sfrigolera’,aggiungete due o tre belle foglie fresche di salvia,spruzzando il tutto , un paio di volte, con del buon aceto di casa,sia rosso che bianco, fino a cottura che vorra’ essere croccante e morbida.

Il Boccone del Prete di Porano offre una piacevole variante con la fagiolina del Trasimeno DOP.

Il piatto non vuole olio ed acqua.

Rosario Madonna del Latte Orvieto (Tr)

Bel prodotto della spumantizzazione regionale, con perlage fine e resistente, degno del miglior brut, a base paritaria di Cabernet franc e sauvignon.Piacevolmente agrumato, dai sentori di rosa canina ed olive di crognolo, ben si adatta agli aperitivi, ai fritti ed ai piatti acidulati

N.12 – OCO, NANA E POLLASTRONE

Il linguaggio in uso a Monteleone d’Orvieto risente molto dell’incedere sonnolento e cantilenoso del dialetto orvietano quando, lì vicino assai, a Città della Pieve, corre uno strillato ed altisonante perugino. Curiosità, diversità ma anche comunanze d’idioma per cui l’oca bianca del Campidoglio è, ovunque in quel territorio, l’oco, l’anatra muta o chiacchierina, la nana, i polli ruspanti nostri i pollastroni, tutti comunque concorrenti ai pranzi di trebbiatura, di solito portati da crostini coi rigagli misti bagnati nel loro brodo, maccheroni al sugo ed infine, maestoso l’arrosto misto. Così, dopo le faticose giornate di trebbiatura nel caldo di primestate, le tavole, tanto quella dei “machinisti” che quelle della “pula”, si arricchiscono di sapori e profumi straordinari ed antichi, maturati per sapienti cotture e condimenti nei grandi forni a legna odorosi di ginepro.

L’OCO APPORCHETTATO COLLE ORECCHIE DI MAIALE

Procuratevi una bella oca novella, ripulitela con pazienza di tutti gli spuntoni e conservate gelosamente fegato ed interiora, insieme ad un orecchia di maiale che lascerete bollire, fino ad ammorbidirla, solo con un po’ di sale grosso. Battete poi le interiora e l’orecchia con una mannaia insieme ad un generoso ciuffo di finocchio selvatico, un po’ di salvia, qualche ago di rosmarino e due “coccole aulenti” di ginepro, aggiungendo grasso di maiale o di prosciutto, sale e pepe q.b.. Infilate il battuto nell’oca, che avrete provveduto a “picchettare” con una parte dello stesso battuto nonché a salare ed impepare, ponendola al forno, meglio se a legna, con una temperatura di 220 gradi, inizialmente coprendola con una carta stagnola. Una volta che l’arrosto avrà preso colore soffrigendo, bagnate il tutto con un intingolo di olio stravergine, vino bianco e un po’ di succo di limone, lasciando sfumare il tutto e proseguendo nella cottura per circa un ora e comunque fino a quando l’oca risulterà croccante. Servite contornando di patate che, a tocchetti, avrete cotto nella stessa teglia dell’oca.

Il vino Castello di Corbara * Sangiovese e Merlot Umbria IGT – Orvieto (TR)

Da uve sangiovesi e merlot, un bel rosso dai profumi piacevoli e decisi di frutta rossa matura e richiami di tabacco. Tannini delicati e gusto avvolgente, esaltato da una breve barrique ed un giusto affinamento in bottiglia. Equilibrato rapporto prezzo/qualità.

Emozione / Azienda Agricola Decimi – Bettona (PG)

Dalle varietà moraiolo, San Felice, frantoio e leccino, un olio con accentuati sentori erbacei, giustamente amaro e piccante con sapori caratteristici di carciofo, dal bel colore verde dorato.

Da ragazzi la fonte era luogo principe d’acqua per le nostre povere marine estive, nel gran vascone antico. Lì di presso sgorgava, come adesso, un’acqua purissima e leggerissima, quasi eterea, dal sentore accentuato ma piacevole dello solfo. Piacevolissima alla beva ed inimbottigliabile industrialmente, occorre prelevarla quotidianamente in piccola quantità, berla al mattino a digiuno per il beneficio di fegato e d’intestino ma anche durante i pasti.

Ristorante “I morti di fame” chiedendo però di Maria del Peglia e prenotando – Collazione (PG) Terme di Parrano (TR)

Non proprio e non solo “core”, ma, in senso più ampio, corata ovvero coratella, uno dei cibi poveri più tradizionali, non solo d’Umbria. Tuttavia, alla nostra regione appartiene un piatto di frattaglie d’agnello tutt’affatto tipico e caratteristico nella sua preparazione, anche se quasi sempre disturbato da parte di sedicenti cuochi o, peggio chef, per l’aggiunta di ingredienti estranei, come carciofi o pomodoro, alla nostra ricetta, ripresa e ricopiata da quella di mia madre (brava come tutte le mamme, la mia di più!) nonché, unico e solo, da quella di Gianfranco Vissani.

CORATELLA DI AGNELLO IN USO IN UMBRIA

Procuratevi una corata di agnello con tanto di animella ed omento, cioè la ratta, e predisponetela per una notte al frigo insieme con gli odori, in particolare il rosmarino. Reperite altresì il sangue di agnello, cui aggiungerete del caglio dello stesso animale che troverete facilmente nei negozi e nelle macellerie dedicati. Soffrigete quindi in padella con olio umbro stravergine, uno spicchio di aglio rosso in camicia, facendovi appassire una cipolla di Cannara, dove aggiungerete la corata (animelle, polmone, cuore, fegato, reni, budellucci intrecciati, trachea) e la ratta ammorbidita in acqua e vino bianco, con due belle fette di limone di Amalfi, il tutto sminuzzato molto piccolo. Fate quindi insodare il sangue a bagnomaria e tagliatelo a piccoli pezzi che aggiungerete solo in ultimo alla padellata, il cui contenuto avrete aggiustato con sale e pepe quanto basta e sfumato con vino bianco ed un po’ di succo di limone. Evitate assolutamente il pomodoro ed i carciofi il primo perché del tutto estraneo alla qualità della ricetta, il secondo perché appartenente ad altro procedimento della tradizione romanesca. Il tutto andrà ben cotto ma dovrà risultare morbido.

Il vino Bianco Torre di Giano – Vigna il Pino – Lungarotti – Perugia

Un esempio di come da vitigni di ordinario profilo, quali Trebbiamo e Greghetto, si possa ottenere un risultato di eccellenza. L’elegante borgognotta conserva un vino dagli accentuati sentori floreali, di ottima beva, con un retrogusto sapido e persistente. Il lungo affinamento ne sottolinea gli aromi e la particolare fragranza.

L’olio Flaminio DOP – Assisi – Spoleto – Soc. Agricola Trevi “Il Frantoio” – Trevi (PG)

Fruttato e morbido, inventato dal Cav.Perotti, dell’antica e veneranda scuola di assaggio umbra, rappresenta un top della nostra produzione regionale. Prodotto anche in versione non filtrata.

L’acqua Altea – Motette – Scheggia e Pascelupo – Perugia

Rinveniente da un bacino idrico in località Valdorbia, al confine con le Marche, è una oligominerale di elevata qualità particolarmente adatta alle diete povere di sodio. Sgorga all’interno dello splendido Parco del Monte Cucco.

Provate a cucinarla in casa, non è poi così difficile

L’argomento sughi è sempre di complessa rubrica in quanto si rincorrono, uguali e spesso identici,da una regione all’altra e perche’ e’ assai difficile individuare l’esatta origine territoriale della gran parte di essi. Cosi’, se indubbio risultera’ il DNA dell’amatriciana rossa o gricia, a secondo se originaria di quella disgraziata terra reatina o di Roma Roma o dei busiati trapanesi con mandorle ed agghia,da noi la ricaduta di diverse esperienze ha senz’altro confuso le piste anche se non le paste. Provero’ comunque a raccontarvi un tradizionale primo sia nostro che bolognese e centritaliano, con piccola variante

TAGLIATELLE AL SUGO DI NONNATE

Secondo la ricetta depositata alla CCIIAA di Bologna, la fettuccia a cottura ultimata deve avere altezza di 6/7 decimi di millimetro ed 8 mm di lunghezza. Tuttavia , le scuole nostre sono diverse e divise su spessore, modi e tempi di essiccazione. Tanto premesso, acqua e farina q.b., secondo ricette e pesi che troverete ovunque, uova fresche e mezz’ora di riposo per l’impasto cellofanato, poi , anche con la macchinetta, otterrete delle buonissime fettuccine che condirete con un sugo fatto come segue:su una cazzeruola larga fate soffriggere in stravergine umbro uno spicchio d’aglio di Colfiorito avendo cura di rimuoverlo tempestivamente. Aggiungete poi degli zampetti di pollo ruspante prima bolliti e privati di callosita’ e rampi e d ancora rigagli dello stesso, creste sbollentite e budellucci insieme ad una carota ed una cipolla anche intere.Legate poi il tutto con abbondante sugo di pomodoro, conserva e ciliegioli scottati prima in acqua bollente e pelati, addomesticando la fiamma e facendo sobbollire il tutto assa i lungamente e lentamente. Solo infine, voila’, aggiungerete un grappolo di nonnate, uova di gallina non nate, rimaste appunto all’interno della pollastra, fino a farle giustamente assodare. Versate il sugo sulla paste con abbondantissimo parmigiano e un po’ di pepe a mulinello. Trovare le nonnate e’ difficile ma non impossibile. Buona ricerca.

Prodotto da macchine a ciclo continuo chiuso di ultima generazione.,in grado di assicurare massima sanitarizzazione e totale copertura di fragranza, .L’Etichetta nera fruttato non filtrato nasce da un olivaggio di moraiolo, leccino, frantoio e dolce agogia, cultivar tipici umbri che consentono, sotto la velatura caratteristica che copre il color verde oro, un sapore decisamente fruttato e ricco, di media amarezza e piccantezza

Trebbiano spoletino Perticaia Montefalco PG

Raffinato, dal colore paglierino e riflessi verdognoli, si apre con una gamma di frutta tropicale matura e fiori gialli per finire con note piu’ mature , leggere ed eteree. Fresco e sapido, con importante dolcezza di fondo.

Acqua dei Papi e del piu’laico Felice Bisleri, quello del Ferrochina, per intenderci, accreditata di virtu’ salutari, sgorga nei Bagni di Nocera dove soggiornarono Vincenzo Monti e Luigi Pirandello.Fu oggetto di interessanti studi da parte di Gay Lussac.

Trattoria del Conte Orvieto. Prenotate per tempo e ditegli che vi mando io

N.9 – LA FACCIUTA DELLA VALNERINA

Tipica dell’Umbria meridionale, la Facciuta è una capra diffusa in Valnerina e rinomata, tra l’altro, per la qualità dei capretti che raggiungono in poco tempo dimensioni notevoli in aggiunta alla particolare gustosità della carne. Difficile ma non impossibile da reperire, nelle antiche sopravvissute piccole macellerie della zona, il tentativo vale il viaggio. La carne del becco, meno pregevole, è tuttavia ideale per una zuppa povera e dimenticata di cui vi do descrizione.

ZUPPA DI BECCO E PANE DURO

Fate sobbollire la carne di becco in abbondante acqua salata, anche un pezzo di scarso pregio, insieme ad una carota, una cipolla ed un pezzo di sedano, schiumando ripetutamente. Ottenuto il brodo, versatelo su scodelle dove avrete disposto delle fette di pane vecchio abbrustolito, aggiungendo abbondante pecorino, foglioline di menta fresca e julienne di limone di Amalfi. Non dimenticate di aggiungere qualche pezzetto scelto della carne lessata. Volendo potrete impreziosire la zuppa con un po di fagiolina del Trasimeno, precedentemente lessata e insaporita in padella con un battuto di odori primaverili.

Il vino Chardonnay Aurente – Lungarotti

Eccezionale blend di Chardonnay al 90%, in quota residua Greghetto. Giustamente barriccato, ha pronunciati sentori di frutta gialla esotica, in particolare banana. Morbido e persistente, si pone come migliore performance dei bianchi d’Umbria.

Grazia – San Gemini. Altra Sangeminese di qualità, naturalmente effervescente picevolissima al palato.

Quinta Luna – Frantoio Gaudenzi. Prodotto con olive raccolte i primi di Ottobre, la quinta luna dopo la fioritura, è straordinariamente fragrante, di eccezionale complessità aromatica ed equilibrio, da potersi senz’altro considerare tra i migliori extravergini d’Umbria.

Forse qualche pastore della valnerina

Contrario ai dazi, imporrei comunque una gabella sull’olio, piccolissima tassa regionale costituita dall’impegno per tutti i turisti vaganti in Umbria ad assaggiare una fetta di bruschetta con l’olio nostro, magari nuovo, se di stagione. Il pane, quello di Strettura, l’olio, comunque stravergine, comunque d’Umbria una strisciata d’aglio rosso di Colfiorito, ed ecco che il più povero dei

cibi si esalta e ne diviene principe.

La divertente variante: SPAGHETTI ALLA BRUSCHETTA CON FERNET BRANCA E LIQUIRIZIA

Fate lessare 350/400 gr di pasta, spaghetti grossi trafilati al bronzo, in abbondante acqua salata e conditeli con una bruschetta (frantumata) ovvero pane secco spezzato finissimo precedentemente stropicciato in aglio ed intinto in olio stravergine, con aggiunta di due acciughe pestate e qualche cappero di Pantelleria. Svuotate il tutto in una coppa larga da spumante, quelle di una volta, con l’ausilio di un coppa pasta, accompagnando il tutto con una piccola salsa al fernet branca, con cui avrete fatto insaporire, fin dalla sera prima, alcuni pezzetti di radice di liquirizia, poi frullati al mixer insieme ad un po dell’olio nostro.

Olio extravergine di oliva goccia Umbria prodotto da Marcella Patrizi a Castel Viscardo, è frutto di una attenta ricerca iniziata già alla fine degli anni ’80. Dal gusto inconfondibile, armonioso e fruttato, è il risultato di un equilibrato brend delle tre cultivar tradizionali dell’orvietano, frantoio, leccino e moraiolo.

Brio Blu Rocchetta – Oligominerale di piacevole frizzantessa, prodotta a Gualdo Tadino in provincia di Perugia e presentata in coloratissima pet da un litro e mezzo.

Prova d’autore Roccafiore – 2014 – Sagrantino di Montefalco.

Tradizionale sagrantino dai riflessi granato scuro, con intensità olfattive caratterizzate da frutta rossa matura, vaniglia e ritorni del legno di affinamento. Potente, morbido e vellutato. Di lunga persistenza.

Oh!! Di certo gli amanti di finissime pasticcerie trionfalisticamente decadenti, sul genere di quella di Ernst Knam, per capirci, resteranno inorriditi quando e semmai dovessero leggere quello che sto scrivendo, ma il dolce d’Umbria più diffuso non è a base di creme pasticcere o Chantilly, ma di sangue, proprio sangue nel senso di liquido ematico, e di maiale per altro, che si chiama appunto sanguinaccio, nella versione dolce arricchito di cacao, pinoli, uva passa, buccia d’arancio e guanciale del porco. La realizzazione è piuttosto semplice, ma occorre qualche attrezzo norcino per cui è consigliabile acquistare il prodotto da qualche macellaio che ancora lo vende, magari a Terni, Sangemini o dintorni. Comunque, per più precisa informazione, si procederà mescolando cacao amaro, zucchero di canna, uova passa, pinoli e gli altri ingredienti col sangue di maiale, fino ad ottenere un impasto sufficientemente sodo e tuttavia morbido che va infilato in un budello di maiale moderatamente pressato, fino ad ottenere una sorta di salame, giustamente consistente, di una lunghezza di circa 25/30 cm, di medio spessore, da far bollire per una mezz’ora. Tolto il sanguinaccio dall’acqua lo faremo asciugare per uno/due giorni, per poi tagliarlo in fette di 2/3 cm da “bruschettare” ovvero “abbruscare” in una padella nera quanto basta. In uscita accompagneremo le fette di sanguinaccio con una salsa di menta fresca, legata da vino muffato e zucchero di canna leggermente caramellati.

Muffato della Sala – Antinori – Ficulle

Se dovessimo paragonare la qualità di questo bere splendido con il campione mondiale della pourriture noble Chateau Yquem, difficilmente noteremmo quella differenza marcata dal prezzo che, pur rimanendo elevato per la dolce beva ficullese, è di regola pari ad 1/10 della più celebrata muffa nobile bordolese. Miele liquido, frutti bianchi maturi e dolci, lunghissimo, è veramente straordinario strumento di meditazione.

Proveniente da un bacino acquifero svincolato da apporti meteorici stagionali, a lentissima ricarica, configurante una particolare struttura geologica del circuito sotterraneo percorso, atto a garantire una purezza pressochè assoluta.

Le macellerie di Terni, Sangemini e dintorni nel periodo dell’ammazzatura

N. 6 -GLI SPAGHETTI DI TORTA AL FORMAGGIO          

Non c’è, in Umbria, cibo più tradizionale della torta o pizza al formaggio, così rituale da non essere apprezzata fuori dal periodo pasquale, senza lievita lunga e magari forno a legna, uova sode, capocollo e vino forte, anche di mattino.

La procedura, semplice e laboriosa nel contempo, prevede un impasto di farina, meglio di tipo 0, uova fresche, lievito non istantaneo ovvero madre, olio e latte, magari di pecora, abbondanti pecorino, parmigiano ed emmenthal, lo svizzero di casa, sale e pepe q.b., teglie alte ed unte con lo strutto.

Le pizze debbono gonfiare, debordare i limiti delle teglie, stare sempre al caldo, ed essere infornate e cotte a 180 gradi per circa tre quarti d’ora, per consumarsi il giorno dopo.

Di seguito, una mia facile variante

CHITARRE DI TORTA AL FORMAGGIO

Disponete l’impasto come sopra, evitando il lievito ed utilizzando i formaggi solo finemente grattugiati e non a tocchi.

Con la chitarra, otterrete degli spaghetti o, “abbicando”, delle ciriole che condirete, dopo cottura, con una crema di cacio e pepe che avrete ottenuto dall’impasto di questi ingredienti con un poco d’acqua di cottura della pasta. Aggiungerete in uscita dei fiocchi di mazzafegata umbra salata fresca oppure delle strisce ottenute dalla stessa salsiccia barzotta.

Blend paritario di merlot e sangiovese coltivati sulle sponde meridionali del lago Trasimeno, nella tenuta che fu del mitico Ferruccio, col quale ebbi l’onore di brindare con un suo splendido “Sangue di Miura”, negli ormai lontani anni ’70.

Dopo un anno di barrique francese e sei mesi di affinamento in vetro, il vino assume una colorazione rosso rubino con pronunciati sentori di frutti di bosco neri, cuoio, cacao e liquirizia. Lunga persistenza e consistenza quasi da mordere.

DOP Umbria Colli Martani – Monini

Netta prevalenza di moraiolo con conseguente spiccato e gradevole sentore amarognolo, con note erbacee e legnose, giustamente piccante.

Viva – Cerreto di Spoleto – Perugia

Giovane oligominerale, prodotta dalla famiglia Notari. Nasce nelle profondità di un bacino idrico posto al centro del Parco Naturale dei Monti Sibillini, nel contesto incontaminato della Valnerina.

Per la torta, supermercati Superconti

Per la mazzafegata – Macelleria Prosperini Orvieto

La Pasqua Umbra è, nel mio vissuto, periodo di sovrapposizione tra sacro e profano, ultimo inverno e primo sole, discesa nel quotidiano di morte e resurrezione.

Nel bianco e nero della festività il cibo diviene rito, la torta pasquale con uova sode e capocollo, ostia e vino dell’altare, l’agnello fritto o al forno fratello di quello sulle spalle del Signore.

Così, dopo clerici vagantes delle Compagnie della Buona Morte, venerdì santi e Cristo morto, la venerazione popolare si accomoda poi tra odorose pizze di cacio, lombetti e vino rosso sangue.

Solo la domenica santa però, le tavole si imbandiscono, stanche di digiuni, in maniera più attenta, conoscendo anche di una minestra d’uova di tradizione romanesca, ma assai diffusa in Umbria, nota col nome di stracciatella, di cui vi racconto la mia particolare ricetta.

STRACCIATELLA CON UOVA DI QUAGLIA NEL LORO BRODO

16 uova di quaglia, odori, parmigiano reggiano, una buccia di limone senza bianco, due quaglie viscerate, tartufo bianco.

Preparate un brodo con le due quaglie e gli odori con mezza buccia di limone, se volete aggiungendo anche un pò di vitella, in particolare l’osso del ginocchio. Nel frattempo avrete sbattute le uova di quaglia con abbondante parmigiano, mentuccia, sale e pepe q.b..

Pronto il brodo, aggiungerete l’impasto sbattendolo da una parte all’altra, “stracciandolo” appunto. Versate la minestra caldissima nei piatti aggiungendo una julienne di tartufo bianco, di Fabro o di Città di Castello, e striscioline di limone.

Poggio Canneto bianco Umbria IGT

Da uve chardonnay e pinot bianco, un vino giallo carico e di grande potenza alcolica. Decisi profumi floreali, di miele e frutta bianca. Ampio e persistente, assolutamente armonico. Raffinato ed elegante.

Soc.Agr.Il Frantoio – Olio Trevi Umbria – DOP – Colli Assisi Spoleto

Di solo moraiolo, deciso e corposo, con intenso retrogusto caratteristicamente amarognolo, olio umbro per eccellenza con olive raccolte già all’inizio di ottobre, dal sapore pronunciato e piccante.

Amerino – Sorgenti San Francesco – Acquasparta – Terni

L’acqua aurea del medico tuderte Antonius Cornelius, sgorga nei pressi del parco amerino dove ancora visibile il vecchio impianto termale. Pura e leggera, consentì la frequentazione del parco a Gabriele D’Annunzio per cui ancora oggi, al Vittoriale di Gardone Riviera, rimane esposta una bottiglia.

N.4 – De arte venandi cum avibus

La caccia con gli uccelli, nella specie richiamata in titolo falconi, cantata dallo “stupor mundi”, Federico II di Svevia detto il Barbarossa, trova ancora ai giorni nostri, quasi mille anni dopo la sua nascita, ampia pratica, pur senza rapaci, in diversi territori d’Umbria, in particolare le aree boschive e venatorie del foglinate, del tuderte e del ternano amerino nella “caccia alla palomba”, ovvero il colombaccio o piccione selvatico che nelle prime due decadi di ottobre muove, migrando, verso l’Africa in stormi numerosi.

La caccia avviene in complesse stazioni di capanni con l’utilizzo di “aves”, stavolta zimbelli e volantini, i primi palombi posti su un trespolo precario ad occhi coperti, i secondi piccioni addestrati al richiamo.

Poi, giornate di attese, trepidazioni, ansie, trasformazioni neopaniste dannunziane di facce sudate in “volti silvani” ed infine “un colpo, un ala che si stira….. poi nulla. No, non nulla. Dall’altra parte ci sarà un uomo che raccoglierà non solo il capo di selvaggina ma anche tutto quello che questo era da vivo: libertà, sole, spazi, tempeste”. (Mario Rigoni Stern. Il Bosco degli Urogalli. La vigilia della caccia.)

Vi racconto, con approssimazione di umilissimo discente, la ricetta secondo Anita dell’omonima storica trattoria di Amelia, trafugata più di trent’anni orsono.

n.2 palombe intere, un litro di vino rosso di buona qualità, olive in salamoia di tipo moraiolo od altro cultivar locale, polpa d’oliva (anche Rio Mare in tubo) qualche foglia di salvia, una buccia di limone senza il bianco, capperi, due acciughe dissalate, olio extra vergine umbro, qualche uccelletto pelato ed intero, sale q.b.

Svuotate la palomba dopo averla spiumata conservando a parte le interiora; infilatela quindi sullo spiedo o sulla rocca facendola girare di fronte alla fiamma viva per una ventina di minuti, per aggiungere, solo a quel punto, abbondante sale sull’animale in cottura.

Nel frattempo avrete preparato nell’apposito contenitore di coccio detto leccarda (ancora reperibile in qualche bottega artigiana dell’Umbria, ma affrettatevi!) una salsa, appunto “ghiotta”, composta dal vino rosso e tutti gli altri ingredienti ad eccezione delle acciughe, che aggiungerete solo in fine cottura e dell’olio che spargerete poco alla volta sulla palomba per ungerla in cottura.

Ponete la leccarda al di sopra di un po’ di brace ed al di sotto dell’uccello e proseguite la cottura per circa un’ora, quando toglierete dalla salsa la buccia di limone e le foglie di salvia nonché gli uccelletti che spolperete per poi riporre nella leccarda insieme alle acciughe ed alle interiora sminuzzate.

Fate cuocere per un ulteriore quarto d’ora e comunque fin quando la salsa risulterà omogenea e sufficientemente densa, quindi servite le palombe nella misura di mezza a commensale, cospargetele di salsa caldissima, contornando di olive intere, salvia fresca e riccioli di buccia di limone ed un sottilissimo giro d’olio.

Sagrantino di Montefalco Antonelli “Contrario”

Colore rubino rosso carico caratteristico, al naso intenso ma fresco, al palato piacevolmente agrumato con richiami netti di frutti di bosco maturi. Un modo nuovo e leggiadro, anche delicatamente femminile, di degustare un grande vino.

DOP Umbria Colli Assisi Spoleto – Frantoio di Spello

Blend di moraiolo, leccino e frantoio con netta prevalenza del primo sugli altri. Intenso di sentori erbacei e piacevolmente amarognoli e piccanti, fruttato deciso.

Misia –Borgo Cerreto di Perugia

Prodotto giovane, legato al nome della moglie del primo proprietario, Artemisia contratto in Misia. Rinveniente da un profondissimo bacino idrico, sgorga a Ponte di Cerreto di Spoleto, luogo da sempre vocato alle acque come dimostrano resti ancora presenti di stazioni termali romane.

Trattoria da Sara – Moricone di Narni – (TR)

E’ difficile pensare ad un qualche accostamento tra la ruvida semplicità della gente delle campagne d’Umbria ed i Parigini, i più raffinati dei raffinati francesi.

Eppure esiste un collegamento, un trait d’union per rimanere in linguaggio d’oltralpe, di carattere squisitamente gastronomico: la lumaca, escargot, nella Ville Lumiere.

Certo i profili eleganti e slanciati con i nasini graziosamente arricciati delle femmes de Paris mentre alla Coupole a Mont Matre degustano il gasteropode in salsa di Borgogna con burro salato di Bretagna, allium ed aglio Messidrome poco somigliano alle sovietiche nostre figure di donne contadine quasi ficcate nel piatto sugoso di pomodoro e finocchio selvatico con sullo sfondo il campanile della Collegiata di Monteleone che non sarà la Tour Eiffell, ma è pur sempre affascinante, ma la lumaca è lì, uguale e tale, più piccola o più grande, ma sempre lì, vendetta popolare sull’aristocrazia dei modi, novella ed affilatissima ghigliottina gastronomica per le eleganti e diafane gole parigine.

LUMACHE IN ZIMINO D’UMBRIA

Circa 80 lumache di campo (non di vigna), 2 kg di pomodori pelati, 2 spicchi di aglio rosso di Colfiorito, abbondante finocchio selvatico, peperoncino calabrese Rossoardente Diavoletto, brodo vegetale, olio extra vergine d’oliva, sale q.b.

Fate bollire lungamente le lumache in acqua ed aceto, senza preventivo spurgo. Dopo circa tre ore toglietele dalla bagna e, una per una, estraetele dal guscio togliendo la parte finale e nera dell’intestino. Rimettetele nel guscio e ponetele in un ampia pentola dai bordi alti facendole soffriggere brevemente in olio aromatizzato con due spicchi d’aglio in camicia. Aggiungete quindi il pomodoro pelato passato, il peperoncino il sale ed il finocchio selvatico, allungando la salsa con il brodo durante la cottura che potrà durare, a fuoco moderato, circa un ora. Servitele caldissime con il solo ausilio di comuni stecchini, poiché la piacevolezza sta anche nello sporcarsi le dita e succhiarsele, avendo cura di ripulire il piatto con il metodo della scarpetta. Non sarà proprio una raffinatezza parigina ma provate ugualmente. Resterete soddisfatti.

Splendidissimo prodotto del terroir ficullese. Chardonnay in purezza fratello minore di solo prezzo del più noto Cervaro. Vino di giusto equilibrio aromatico, di fresca acidità con sentori netti e prolungati di vaniglia e spezie esotiche.

Stravergine biologico “Costa del Ripiano” – Azienda agricola Viola – Foligno (PG)

Elegante fruttato medio, erbaceo, fine e complesso, con sentori di cardo e carciofo.

Motette – Scheggia e Pascelupo – Perugia.

Acqua oligominerale a bassa concentrazione di residuo fisso, diuretica, leggera e molto digeribile.

Il Boccone del Prete – Osteria umbra – Porano (TR)

N.2 Chiare, fresche et dolci acque. La regina in porchetta

Doglianza antica degli umbri è quella di avere terra senza porti, immaginati solo di mare.

In realtà è luogo d’acqua, laghi e fiumi dove mancano triglie e dentici ma abbondano lucci, persici e quant’altro. A tavola, l’esperienza più straordinaria è quella della regina in porchetta, dove la carpa incontra i sapori tradizionali del maiale al forno con cui,  che tempo fa sorpresi Heinz Beck, mio ospite gradito, il quale esclamò e scrisse: “Una (k)arpa! Splendida”. Ve la racconto.

Una carpa regina di medio peso (4/5 kg) del lago di Corbara o Trasimeno –  abbondanti rami di finocchio selvatico – 2/3 etti di fegato di maiale – 1 o 2 patate – aglio rosso di colfiorito – strutto e ratta di maiale – sale q.b. pepe a mulinello.

pulite ed eviscerate la carpa, avendo cura di conservarne le uova che pulirete e terrete da parte dopo averle condite con succo di limone, foglie di alloro, bacche di ginepro, sale ed un po’ di peperoncino ed infuse in un filo di stravergine di oliva ed utilizzate poi come caviale d’Umbria su crostini di uovo sodo.

Picchettate la bestia con gli spicchi d’aglio, sale e pepe dopo averla riempita di finocchio selvatico e fegatelli di maiale molto piccoli, salati e pepati che avrete battuto grossolanamente con lo strutto, le patate e l’aglio.

Cucite la pancia, avvolgete la carpa con la ratta di maiale, infilatela allo spiedo o meglio nella rocca, dopo averla avvolta in stuoine di lago unte nello strutto e ponetela di fronte al fuoco vivo del camino avendo cura di porre sotto la carpa soltanto poca brace, facendo colare lo strutto avvolto in fogli di carta gialla ed infilzati su uno spiedo direttamente sul pesce.

Controllate con uno stecco la cottura misurando la morbidezza del pesce, che dovrà risultare comunque croccante.

Tiratela via appena cotta, pulitela lasciando nel piatto di servizio anche la pelle, che è squisita, servitela con un giro d’olio guarnendola di patate cotte sotto la brace e condite con sale grosso e rosmarino. In alternativa al camino, potete usare anche il forno di casa, ma non è la stessa cosa.

Orzalume Castello di Corbara IGT – piacevolissimo bianco orvietano ottenuto da un blend equilibratissimo di greghetto e sauvignon blanc. Netti i sentori sia al naso che in bocca di fiori bianchi e frutti a polpa gialla maturi, insieme ad un retrogusto di legno che ne consente una importante persistenza degustativa. – Ottimo rapporto prezzo qualità.

Forse la più storica delle acque minerali umbre, lievemente ed anzi quasi impercettibilmente effervescente, leggermente sapida per la ricca presenza di calcio. Da sempre considerata altamente digeribile.

Marfuga DOP – Campello sul Clitunno (Perugia)

L’erbaceo intenso si lega ad un pronunciato, ma non eccessivo, fruttato, con note amarognole e vegetali che ricordano la mandorla acerba.

Tradizionale blend di moraiolo, frantoio e leccino.

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