PSG-Real Madrid, l'analisi e il racconto della partita | L'Ultimo Uomo

2022-10-08 19:14:52 By : Ms. Jinshi Tian

In una partita decadente il lampo di un fuoriclasse.

Prima di quell’ultimo grande momento di rivelazione, PSG-Real Madrid non era stata all’altezza delle aspettative. Ma come poteva esserlo, quante partite di Champions League negli ultimi anni abbiamo visto crollare sotto il peso dell’hype che si portano dietro?

Un piccolo classico dell’immaginario del calcio contemporaneo: l’ancien régime del Real Madrid contro la nuova ricchezza del PSG; la squadra della vecchia monarchia spagnola contro quella degli sceicchi arabi; quella che vince esercitando la propria mistica europea, e l’altra che in genere la subisce, che ogni anno trova il modo più pirotecnico per farsi eliminare dalla Champions League, nonostante gli investimenti disperati della sua proprietà.

Le facce dei protagonisti contengono questo dramma con la freddezza distante delle aziende del tardo capitalismo. Le loro storie sono state rimasticate così a fondo che sembra una serie tv che gli sceneggiatori hanno tirato troppo per le lunghe. Sergio Ramos in tribuna, col suo look stratificato come le vite attraversate, ci chiediamo se sia ancora un calciatore. Angel Di Maria, col viso lungo e gli occhi spiritati, che a Madrid ha vinto una Champions League con Carlo Ancelotti in panchina, attuale allenatore del Real, già al secondo remake. Lionel Messi, con questo improvvisato numero 30 sulle spalle, autore di 26 gol e infiniti dispiaceri al Real Madrid, che a pensarci dà un po’ la nausea. Avrà voglia di segnarne ancora, quanto ha da dare una singola persona al calcio? A un certo punto da un’inquadratura distratta compare persino Gareth Bale, o la sua versione da Madame Tussaud, incanutito come chi ritorna da un lungo viaggio; così alieno a quest’epoca calcistica che sarebbe stato meno scioccante vederlo in giacca e cravatta assistere alla partita col disimpegno delle vecchie glorie. Infine c’è Kylian Mbappé, l’Elena di Troia di questo scontro di mondi. In estate il Real Madrid si è inventato delle offerte scandalose per comprarlo: 160 milioni di euro, tirati fuori dal salvadanaio segreto di Florentino Perez pochi mesi dopo i piantarelli per la Superlega. Come era successo per Neymar, la dirigenza del PSG ne ha fatto una questione politica: non si comprano i gioielli della corona qatariota, mai mostrarsi deboli agli occhi dell’occidente.

Il mercato si è chiuso, le speculazioni sono proseguite, si parla di un accordo che dovrebbe far arrivare Mbappé a Madrid per 200 milioni di euro a giugno. Il principe del trash calcistico, Josep Pedrerol, ha promesso dimissioni dal palco del Chiringuito nel caso in cui non dovesse concretizzarsi il trasferimento. Nel frattempo però Mbappé indossa ancora la maglia Jordan del PSG, e gli sta con quella particolare perfezione ad alta definizione con cui i supereroi indossano le divise sportive. Dopo trenta secondi dall’inizio della partita lancia un messaggio chiaro: ieri sera avrebbe potuto trasformare il nulla in tutto in un istante. Il Real Madrid pressa in alto, fino alla linea di fondo avversaria; Presnel Kimpembé lancia una palla addosso a Mbappé, che con un controllo orientato schiva Carvajal e si apre il panorama davanti. Cambia gioco con un piatto forte e preciso verso Di Maria e poi scatta come un quattrocentista verso la profondità, pregando per un passaggio che non gli tornerà mai.

Quel pressing del Real Madrid è il classico bluff della prima mano di poker, dove si è abbastanza leggeri da provare qualcosa che non si farà più. Dopodiché la squadra di Ancelotti si stende tranquilla nella propria metà campo e si rimbocca pure le coperte. Scende negli abissi di una narcolessi tale che quando si ritrovano la palla tra i piedi i suoi giocatori paiono svegliati di soprassalto, mal messi, tutti lontani fra loro, presi a pensare ai propri sogni. La riperdono subito e il PSG così ricomincia a far girare la palla con leziosità. Da anni possiamo darlo per scontato: il PSG non ha alcun tipo di struttura. Almeno se non consideriamo struttura una nuvola di giocatori che si addensano attorno alla palla reclamandola come i bambini al parco. Ciascuno deve sbrigarsela da solo, sono pagati profumatamente per farlo e il loro talento glielo può permettere. Come in una partita di FUT andata troppo in là con le ore di gioco, è una squadra assemblata con ambizione scandalosa, ogni calciatore dà la sensazione di poter scavare una buca e trovare l’acqua nel deserto. Quando riescono persino a comunicare fra loro, attivando associazioni spontanee, ci sono momenti di chiara bellezza.

Nel primo tempo il PSG dava però la sensazione delle sue giornate peggiori: undici giocatori più interessati al pallone che a un’idea complessiva di gioco; nessuno da servire in profondità che possa offrire un minimo di compiutezza a tutto l’impianto barocco messo in piedi. Tutti vogliono palleggiare, nessuno vuole segnare, a parte Mbappé. È lui, dopo cinque minuti, a puntare dritto davanti a sé, sterzare e ri-sterzare con quella particolare frenesia da macchina sportiva in velocità, mettere sui piedi di Di Maria un pallone buono da mettere in porta (finito alto); è sempre lui, dopo un quarto d’ora, ad avere l’idea di muoversi senza palla per andare a vedere cosa c’è dietro la difesa del Real Madrid. Ad attivarlo un lancio incredibile di Lionel Messi. Paredes – in campo solo per passargli la palla nel più breve tempo possibile – gliela dà, lui si gira, alza un attimo la testa e tira questo sinistro in avanti con sensibilità da massaggiatore. La palla prende uno strano giro quando rimbalza, rimane sospesa in aria e Mbappé non sa che fare. Aspetta che scenda, ma si fa tardi, ha Courtois addosso e gli tira sui piedi.

Ultimamente Mbappé sembrava afflitto da questa mistica al contrario: se a inizio carriera riusciva a essere decisivo anche solo soffiando sul pallone, ora pare mancare tutte le opportunità, schiacciato dal peso delle aspettative che lo circondano. In quel momento ci siamo forse chiesti se la partita con la Svizzera, quel rigore sbagliato, non abbiano manomesso qualcosa nella sua consapevolezza, nella sua capacità di essere all’altezza dell’immagine che abbiamo di lui.

Il Real Madrid, nel frattempo, non pare poi avere grande voglia di giocare la partita. Ancelotti è invecchiato e forse si è stancato di ricercare cose troppo difficili. È stato richiamato a un passo dal ritiro per sistemare le cose, e ha cercato di farla semplice. Il Real Madrid che sta dominando una Liga decaduta è questo: una squadra che si difende in basso e poi riparte attivando il talento residuale delle proprie leggende. Il cuore tecnico della squadra, però, è Vinicius Jr.: i suoi dribbling, le sue lunghissime conduzioni palla, la capacità di caricarsi sulle gambe tutti i metri che il Real Madrid deve percorrere dalla propria porta a quella avversaria. Vinicius però ha poco più di vent’anni: in alcune partite pare onnipotente, in altre sembra aver mandato in campo il suo clone svogliato. A fine primo tempo Benzema e Vinicius imbastiscono un primo contropiede, e fanno una fatica che è il contrario della leggerezza con cui di solito il Madrid abita le partite di Champions. Da inizio stagione Ancelotti è costretto  a difendersi sulla bassa qualità di una squadra abituata all’aristocrazia: «Sono orgoglioso di dire che il Real Madrid può giocare in contropiede, perché non è facile farlo». Magari quindi la sua squadra avrebbe giocato in modo così difensivo a prescindere, ma di certo aver tolto la regola dei gol in trasferta non ha incoraggiato il Real Madrid a essere più propositivo. Vedremo già da stasera, ma per ora la novità non promette bene.

Dopo 45’ avevamo visto poco e niente, ed è stato naturale chiedersi: tutto qui, quello che può produrre lo scontro fra queste due superpotenze? Questo spettacolo stanco e decadente? PSG e Real Madrid ultimamente si stanno sforzando così tanto per restare grandi che si sono scordate come si fa davvero a esserlo.

Sono diventate due squadre inallenabili (come altre di questo post-modernismo calcistico, per motivi diversi: Manchester United, Barcellona, Juventus). Una, che ne è consapevole, ha preso in panchina Ancelotti, un amico, uno che è piacevole avere intorno in attesa di tempi migliori; l’altra invece ha assunto un allenatore ambizioso e gli ha legato le mani. Cosa c’è di Pochettino, in questo PSG? Si limita a scegliere un giocatore piuttosto che un altro, ricercare un equilibrio impossibile con la rosa a disposizione, convincere gli esclusi a non essere tristi. Con la mascherina nera a bordo campo e lo sguardo preoccupato, è diventato uno di quei politici ombra che si prendono tutte le colpe e nessun merito. Lo sa anche lui: se vince il merito è dei calciatori, se perde è colpa sua.

Ad alimentare il sentimento grigio di questa partita, il fantasma di Lionel Messi, triste e solitario sulla trequarti di campo. Un animale meraviglioso esposto in una gabbia d’oro, e privato di qualsiasi energia vitale. Cammina spaesato, parla in una lingua che nessuno capisce più, sbaglia un calcio di rigore e se ne rimane a pensare ai propri dispiaceri con le mani nei capelli per qualche minuto. Ogni tanto, scuotendo i nervi, si inventa qualcosa. Quella palla a Mbappé nel primo tempo, altre nel secondo che può immaginare solo lui. È doloroso vederlo così.

Dopo il rigore sbagliato, e una grande parata di Courtois, il PSG continua a sembrare una squadra maledetta. Quella che trova sempre la strada più tortuosa per farsi eliminare, mentre la strategia ultra-difensiva del Real Madrid sembra pagare. Il PSG però continua ad attaccare con intensità crescente, con energia. Certo, un’energia tutta sua: oscura, senza armonia ma con la spinta dell’inerzia del proprio talento, della montagna dei soldi che ha accumulato grandi giocatori. Tutti impilati in questa squadra che sembra sempre una stanza troppo affollata di persone costrette a fare amicizia. Ma bisognerebbe distogliere lo sguardo, per non capire dov’è l’anima di questo PSG. È Marquinhos, con la fascia da capitano, che da anni accetta l’impresa titanica di difendere in una squadra che difende in 8 nel 2022; è Verratti, che in queste serate di Champions trasforma i prati dei migliori stadi d’Europa nella piazza di Manoppello. Scivola, contrasta, dribbla, porta palla con frenesia e coraggio per tutta la trequarti, da destra a sinistra, ogni conduzione un secchio d’acqua portato all’attacco. Non senza un po’ di commedia. È il centrocampista con più cartellini gialli in Europa dopo Sturaro. Per novanta minuti è passato attraverso Kroos, Modric e Casemiro, facendoli stingere come nelle foto dimenticate nelle scatole di latta. È sembrato davvero su un altro livello.

Marco Verratti vs Real Madrid pic.twitter.com/aWI4pIkZdj

Il PSG esercita una pressione sempre maggiore, ma si scontra su una enorme prestazione della strana coppia Militao-Alaba: mostruosi della difesa dell’area di rigore, sempre i più lesti sugli infiniti cross bassi che il PSG metteva dall’esterno. 

Mentre il conto dei tiri dei parigini si avvicina al venti e le squadre sono stanche, Pochettino manda in campo uno dei migliori calciatori al mondo. Neymar è rimasto seduto in panchina per tutto quel tempo, al rientro da un infortunio alla caviglia, ma è lui l’altra anima di questa squadra. Come scritto da Jesse Marsh su  The Athletic , «Neymar è il cuore della squadra. È evidente che è il giocatore più influente e più amato. I compagni lo cercano con gli occhi in ogni momento»; come dichiarato da Thiago Silva nel recente documentario di Netflix, «Quando Neymar sta bene la squadra vola». A differenza di Messi, al PSG Neymar pare a casa sua: l’energia individualista – insieme creatrice e distruttrice – di questa squadra, è la sua energia. A due minuti dal suo ingresso in campo fa un tunnel a Toni Kroos, comincia a prendersi responsabilità, cambi di ritmo, dribbling, aggiunge una dimensione in più.

Quando all’ultimo minuto di gioco ha la palla tra i piedi, due giocatori del Real gli sono addosso; Lucas Vazquez è stato magneticamente attirato da lui, e ha lasciato Mbappé libero sull’esterno. Allora Neymar lo serve con un tacco pigro ma intelligente. Mbappé comincia a convergere verso l’interno con l’aria da predatore. Ha due uomini davanti, sposta la palla con la suola in attesa del momento giusto, sa che due difensori troppo vicini possono anche pasticciare, e lui li inganna con una finta; si apre un varco fra loro, poi conclude di piatto sul secondo palo, un tiro leggermente deviato che supera Courtois. Prima di partire in conduzione, tra lui e la porta c’erano cinque avversari: Mbappé li ha battuti, direttamente o indirettamente, con la sua velocità, con la sua tecnica, ma anche col senso di minaccia che si porta dietro ogni volta che prende palla. Ciò che può fare Mbappé precede quello che farà realmente, inclinando la catena degli eventi sempre dalla sua parte. Guardate le facce dei giocatori che lo guardano tirare: le facce di chi ha visto materializzarsi la propria peggiore paura senza poterci fare proprio niente. Se volete riguardare il gol per la trecentesima volta, eccolo.

Poco dopo il cameo finale di Gareth Bale, mandato in campo da Ancelotti come in una partita tra vecchie glorie, Mbappé si è preso la scena ricordando a tutti di essere l’unico fuoriclasse in campo davvero di questa epoca. I filtranti di Messi, le conduzioni di Modric, i lanci di Kroos, i dribbling di Di Maria appartengono ormai a un tempo passato, incapaci di parlare al presente se non a piccoli sprazzi, rievocando l’eternità delle cose antiche. È Mbappé, però, che è qui e ora, a darci ancora un’idea di futuro in una serata in cui il calcio era parso particolarmente stanco.

Emanuele Atturo è nato a Roma (1988). Laureato in Semiotica, è caporedattore de l'Ultimo Uomo. Ha scritto "Roger Federer è esistito davvero" (66thand2nd, 2021).

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